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Se la politica fa più vittime della ludopatia

09 dicembre 2019 - 09:39

Mentre alcuni plaudono alla scelta del governo di aumentare le tasse sul gioco, lo Stato dispone la morte di molte imprese creando disoccupazione e senza ridurre le dipendenze.

Scritto da Alessio Crisantemi
Se la politica fa più vittime della ludopatia

Diciamolo chiaramente: l'industria del gioco pubblico è da ritenere “inferiore” rispetto a qualunque altro settore che contribuisce all'economia nazionale. Ormai non è più un mistero. Anzi, viene espresso alla luce del sole, da politica e (un pezzo di) istituzioni, senza più nascondersi dietro a un dito. Come se quelle imprese che costituiscono la filiera del gioco e il suo indotto non fossero pari alle altre e costituite – esattamente come le altre – da lavoratori, quindi persone e famiglie che nulla avrebbero da nascondere né tanto meno di doversi vergognare. Eppure, l'uguaglianza non esiste né tanto meno c'è mai stata. Solo che oggi il governo riesce addirittura a manifestarlo pubblicamente, senza preoccuparsi degli squilibri che una tale presa di posizione potrebbe comportare. Certo il più delle volte non si tratta di affermazioni dirette ma di posizioni deducibili, ricavate indirettamente da altre prese di posizione, atteggiamenti o dichiarazioni.

Ma il messaggio suona comunque forte e chiaro. Basta guardare ciò che sta accadendo attorno ai lavori per la stesura della nuova legge di bilancio e ascoltare le dichiarazioni del governo. Dopo le ultime settimane di grandi tensioni, tra maggioranza e opposizione (ma anche all'interno della sola maggioranza, che è peggio), per via dei vari aumenti di tasse su specifici settori che rischierebbero di compromettere varie attività e pezzi dell'economia, come quelli da applicare sui prodotti in plastica o sulle merendine, il governo ha trovato la soluzione, partorendo il topolino che ormai tutti conoscono e sono abituati a veder uscire dalla montagna di Palazzo Chigi, ogni dicembre: ovvero, un nuovo aumento della tassazione sui giochi, per generare nuove entrate scongiurando i rincari su tutti gli altri comparti. O, almeno, mantenendoli a livelli accettabili. Ma solo negli altri settori. Senza preoccuparsi minimamente della sostenibilità di tali misure per le imprese del gioco, com'è evidente dai conti che non possono tornare. Nonostante il governo avesse già previsto aumenti a dismisura sul comparto, andando ad attingere da ogni segmento del gioco pubblico, con la stessa manovra - come già avvenuto nelle ultime finanziarie, con ben dieci rincari in appena di sei anni - anche le ultime manovre sulla manovra (ci sia perdonato il gioco di parole) rilanciano la leva fiscale sui giochi. Con buona pace di maggioranza e opposizione e pure svariati consensi dentro e fuori il Parlamento. “Abbiamo trovato una soluzione che mette tutti d'accordo”, hanno proclamato, fieri, vari esponenti del governo. Con il premier Giuseppe Conte che ha spiegato, con estrema franchezza, che sulla plastic tax "ci siamo resi conto che poteva qualche impatto problematiche”, dopo che “sono arrivate varie segnalazione dalle imprese”, che hanno spinto l'Esecutivo a “ridurre l'impatto dell'85 percento, dunque è un'imposizione fiscale che partirà dal 1 luglio, così le imprese avranno tutto l'agio per organizzarsi". La sugar tax invece "partirà dal 1° ottobre" in modo che le aziende "abbiano tutto il tempo per riformulare le loro linee produttive". Tutto bello, anzi bellissimo, per le imprese che producono imballaggi o dolci, le quali, se non altro, sono state ascoltate. Diverso è invece lo scenario per le migliaia di imprese che compongono la filiera del gioco pubblico e il suo indotto, per le quali la “soluzione” governativa suona quasi come una “Soluzione finale”. Estremamente punitiva e inspiegabilmente crudele. Come se gli imprenditori di questo settore fossero non solo figli di un Dio minore, come pare ormai conclamato, ma come se si trattasse dei veri e propri criminali da punire, ridurre allo stremo e non considerare.
 
Sia chiaro: che il governo debba intervenire sul gioco pubblico rivedendo le modalità di distribuzione e offerta sul territorio, non è soltanto giusto, ma anche urgente e non solo necessario. Come scriviamo da tempo e ripetiamo praticamente ogni giorni, invocando una riforma che sia in grado di razionalizzare la presenza del gioco sul territorio nazionale, fisico e virtuale (ricordando che esiste anche una dimensione online e non soltanto quella terrestre, come sembrano dimenticare sistematicamente quei legislatori che propongono limitazioni orarie o distanze da luoghi sensibili). Com'è pure altrettanto chiaro a tutti e senz'altro condivisibile che è meglio tassare un “vizio” piuttosto che una necessità o un bene di primo consumo. Peccato però che tra tutti i settori ritenuti “a rischio”, il governo riesce soltanto a scagliarsi contro quello del gioco, offrendo sconti a chi produce bevande zuccherate (che di centro non fanno bene alla salute), o evitando addirittura aumenti su tabacchi, alcolici e così via. Arrivando dunque all'evidente paradosso rispetto al quale tutti sono d'accordo sul fatto di tassare l'azzardo, plaudendo pubblicamente all'iniziativa politica, senza preoccuparsi degli altri “vizi di Stato”. E senza neppure accorgersi né indignarsi, per esempio, che negli stadi o negli avvenimenti sportivi in tv, dove non possono più esserci pubblicità di giochi, si è ora sommersi di promozioni di alcolici. O di altri prodotti comunque dannosi per la salute.
Ma quel che è peggio e che diventa oggi insopportabile è la palese ipocrisia con cui vengono portate avanti tali politiche punitive nei confronti del gioco. Sì, perché se davvero si trattasse di iniziative legislative dettate da una precisa progettualità politica e di una scelta di campo, per esempio dovuta a un governo che decida di eliminare o ridurre fortemente prodotti ritenuti dannosi per i cittadini, allora tutto questo avrebbe un senso. Ma oltre a dover essere esteso lo stesso principio e modus operandi a tutti i settori a rischio, come appena indicato, senza limitarlo soltanto al gioco, l'aumento della tassazione dovrebbe anche essere supportato e accompagnato da una serie di altre misure di prevenzione e contenimento che invece non vengono neppure prese in considerazione dalla politica, al di là di qualche slogan o di alcuni pubblici proclami che rimangono sistematicamente parole al vento. Mentre, al contrario, nelle stesse manovre con cui si vanno ad aumentare le tasse, si va comunque a legare sempre di più i conti dello Stato con i proventi del gioco. Rendendo, di fatto, indispensabile l'esistenza di una raccolta del gioco per la sopravvivenza (economica) del paese. Che è l'esatto contrario rispetto alla decisione di ridurre un “vizio” o di contenerne la diffusione. Eppure, ciò avviene sotto gli occhi di tutti e pure in maniera sistematica, da diverse legislature. Senza che nessuno si indigni, al di là della filiera che continua a non avere voce. Per un malcostume politico che continua a perpetrarsi nel tempo, e alla luce del sole. In un “delitto perfetto” nascosto dietro a quei conti, come lo ha definito su Repubblica il costituzionalista Michele Ainis, riferendosi alla manovra in senso generale e al modo di affrontarla dei vari governi, caratterizzata da formule ambigue come quella delle misure adottate “salvo intese” (che definisce “un’approvazione disapprovante”),al ricorso pressoché sistematico al voto di fiducia preceduto dalla tagliola del maxiemendamento cucito nelle stanze di Palazzo Chigi, con un solo articolo, magari con dentro 1365 commi, che sostituisce ogni osservazione dibattuta in precedenza dal Parlamento. Azzerando la dialettica e imponendo una volontà, in modo apparentemente democratico.
Di sicuro il delitto che lo Stato, attraverso l'attuale governo, sta compiendo con l'approvanda manovra è nei confronti delle imprese del gioco e dei suoi lavoratori, che preannuncia un numero molto più ampio di vittime rispetto a quelle della dipendenza da gioco, in termini di famiglie destinate a finire sul lastrico, a causa della chiusura di migliaia di imprese che sembra inevitabile leggendo le ultime formulazioni del testo di legge. Anche se lo stesso governo (e il Parlamento) aveva(no) dimostrato di capire e conoscere la necessità e l'urgenza di risolvere la situazione del comparto promettendo un Riordino generale del comparto mirato al raggiungimento di una sostenibilità che certo non potrà essere garantita da nessuna razionalizzazione dell'offerta se non ci saranno più le imprese alla base dell'offerta di gioco legale. Solo che se non ci sarà più un mercato (legale) del gioco, non ci saranno più neppure i fondi da destinare alla prevenzione o alla cura delle dipendenza e, ancor prima, non ci saranno quelle maggiori entrate messe nero su bianco nella manovra e promesse a Bruxelles. A quel punto sì che la frittata sarà fatta e il numero delle vittime di Stato sarà molto più alto di quello che si può immaginare.
Ma il messaggio suona comunque forte e chiaro. Basta guardare ciò che sta accadendo attorno ai lavori per la stesura della nuova legge di bilancio e ascoltare le dichiarazioni del governo. Dopo le ultime settimane di grandi tensioni, tra maggioranza e opposizione (ma anche all'interno della sola maggioranza, che è peggio), per via dei vari aumenti di tasse su specifici settori che rischierebbero di compromettere varie attività e pezzi dell'economia, come quelli da applicare sui prodotti in plastica o sulle merendine, il governo ha trovato la soluzione, partorendo il topolino che ormai tutti conoscono e sono abituati a veder uscire dalla montagna di Palazzo Chigi, ogni dicembre: ovvero, un nuovo aumento della tassazione sui giochi, per generare nuove entrate scongiurando i rincari su tutti gli altri comparti. O, almeno, mantenendoli a livelli accettabili. Ma solo negli altri settori. Senza preoccuparsi minimamente della sostenibilità di tali misure per le imprese del gioco, com'è evidente dai conti che non possono tornare. Nonostante il governo avesse già previsto aumenti a dismisura sul comparto, andando ad attingere da ogni segmento del gioco pubblico, con la stessa manovra - come già avvenuto nelle ultime finanziarie, con ben dieci rincari in appena di sei anni - anche le ultime manovre sulla manovra (ci sia perdonato il gioco di parole) rilanciano la leva fiscale sui giochi. Con buona pace di maggioranza e opposizione e pure svariati consensi dentro e fuori il Parlamento. “Abbiamo trovato una soluzione che mette tutti d'accordo”, hanno proclamato, fieri, vari esponenti del governo. Con il premier Giuseppe Conte che ha spiegato, con estrema franchezza, che sulla plastic tax "ci siamo resi conto che poteva qualche impatto problematiche”, dopo che “sono arrivate varie segnalazione dalle imprese”, che hanno spinto l'Esecutivo a “ridurre l'impatto dell'85 percento, dunque è un'imposizione fiscale che partirà dal 1 luglio, così le imprese avranno tutto l'agio per organizzarsi". La sugar tax invece "partirà dal 1° ottobre" in modo che le aziende "abbiano tutto il tempo per riformulare le loro linee produttive". Tutto bello, anzi bellissimo, per le imprese che producono imballaggi o dolci, le quali, se non altro, sono state ascoltate. Diverso è invece lo scenario per le migliaia di imprese che compongono la filiera del gioco pubblico e il suo indotto, per le quali la “soluzione” governativa suona quasi come una “Soluzione finale”. Estremamente punitiva e inspiegabilmente crudele. Come se gli imprenditori di questo settore fossero non solo figli di un Dio minore, come pare ormai conclamato, ma come se si trattasse dei veri e propri criminali da punire, ridurre allo stremo e non considerare.
 
Sia chiaro: che il governo debba intervenire sul gioco pubblico rivedendo le modalità di distribuzione e offerta sul territorio, non è soltanto giusto, ma anche urgente e non solo necessario. Come scriviamo da tempo e ripetiamo praticamente ogni giorni, invocando una riforma che sia in grado di razionalizzare la presenza del gioco sul territorio nazionale, fisico e virtuale (ricordando che esiste anche una dimensione online e non soltanto quella terrestre, come sembrano dimenticare sistematicamente quei legislatori che propongono limitazioni orarie o distanze da luoghi sensibili). Com'è pure altrettanto chiaro a tutti e senz'altro condivisibile che è meglio tassare un “vizio” piuttosto che una necessità o un bene di primo consumo. Peccato però che tra tutti i settori ritenuti “a rischio”, il governo riesce soltanto a scagliarsi contro quello del gioco, offrendo sconti a chi produce bevande zuccherate (che di centro non fanno bene alla salute), o evitando addirittura aumenti su tabacchi, alcolici e così via. Arrivando dunque all'evidente paradosso rispetto al quale tutti sono d'accordo sul fatto di tassare l'azzardo, plaudendo pubblicamente all'iniziativa politica, senza preoccuparsi degli altri “vizi di Stato”. E senza neppure accorgersi né indignarsi, per esempio, che negli stadi o negli avvenimenti sportivi in tv, dove non possono più esserci pubblicità di giochi, si è ora sommersi di promozioni di alcolici. O di altri prodotti comunque dannosi per la salute.
Ma quel che è peggio e che diventa oggi insopportabile è la palese ipocrisia con cui vengono portate avanti tali politiche punitive nei confronti del gioco. Sì, perché se davvero si trattasse di iniziative legislative dettate da una precisa progettualità politica e di una scelta di campo, per esempio dovuta a un governo che decida di eliminare o ridurre fortemente prodotti ritenuti dannosi per i cittadini, allora tutto questo avrebbe un senso. Ma oltre a dover essere esteso lo stesso principio e modus operandi a tutti i settori a rischio, come appena indicato, senza limitarlo soltanto al gioco, l'aumento della tassazione dovrebbe anche essere supportato e accompagnato da una serie di altre misure di prevenzione e contenimento che invece non vengono neppure prese in considerazione dalla politica, al di là di qualche slogan o di alcuni pubblici proclami che rimangono sistematicamente parole al vento. Mentre, al contrario, nelle stesse manovre con cui si vanno ad aumentare le tasse, si va comunque a legare sempre di più i conti dello Stato con i proventi del gioco. Rendendo, di fatto, indispensabile l'esistenza di una raccolta del gioco per la sopravvivenza (economica) del paese. Che è l'esatto contrario rispetto alla decisione di ridurre un “vizio” o di contenerne la diffusione. Eppure, ciò avviene sotto gli occhi di tutti e pure in maniera sistematica, da diverse legislature. Senza che nessuno si indigni, al di là della filiera che continua a non avere voce. Per un malcostume politico che continua a perpetrarsi nel tempo, e alla luce del sole. In un “delitto perfetto” nascosto dietro a quei conti, come lo ha definito su Repubblica il costituzionalista Michele Ainis, riferendosi alla manovra in senso generale e al modo di affrontarla dei vari governi, caratterizzata da formule ambigue come quella delle misure adottate “salvo intese” (che definisce “un’approvazione disapprovante”),al ricorso pressoché sistematico al voto di fiducia preceduto dalla tagliola del maxiemendamento cucito nelle stanze di Palazzo Chigi, con un solo articolo, magari con dentro 1365 commi, che sostituisce ogni osservazione dibattuta in precedenza dal Parlamento. Azzerando la dialettica e imponendo una volontà, in modo apparentemente democratico.
Di sicuro il delitto che lo Stato, attraverso l'attuale governo, sta compiendo con l'approvanda manovra è nei confronti delle imprese del gioco e dei suoi lavoratori, che preannuncia un numero molto più ampio di vittime rispetto a quelle della dipendenza da gioco, in termini di famiglie destinate a finire sul lastrico, a causa della chiusura di migliaia di imprese che sembra inevitabile leggendo le ultime formulazioni del testo di legge. Anche se lo stesso governo (e il Parlamento) aveva(no) dimostrato di capire e conoscere la necessità e l'urgenza di risolvere la situazione del comparto promettendo un Riordino generale del comparto mirato al raggiungimento di una sostenibilità che certo non potrà essere garantita da nessuna razionalizzazione dell'offerta se non ci saranno più le imprese alla base dell'offerta di gioco legale. Solo che se non ci sarà più un mercato (legale) del gioco, non ci saranno più neppure i fondi da destinare alla prevenzione o alla cura delle dipendenza e, ancor prima, non ci saranno quelle maggiori entrate messe nero su bianco nella manovra e promesse a Bruxelles. A quel punto sì che la frittata sarà fatta e il numero delle vittime di Stato sarà molto più alto di quello che si può immaginare.

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