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Purché non si tratti di gioco

16 dicembre 2019 - 09:50

Mentre il gioco rimane un tabù, pur essendo un bancomat, lo Stato sdogana qualunque altro settore, al di là dei rischi.

Scritto da Alessio Crisantemi
Purché non si tratti di gioco

 

Ormai è un fatto. In Italia la politica può parlare di tutto, proponendo soluzioni alternative e misure artificiose, di qualunque tipo: soprattutto se a dettarle è la (solita) emergenza di dover far quadrare i conti, specialmente a fine anno. Si può affrontare la legalizzazione della cannabis, la privatizzazione di qualsivoglia settore e si può addirittura introdurre un aumento dell'Iva, seppure futuro, senza che il popolo si indigni. Al massimo, si può andare a incontro a qualche leggero malumore, ma nulla di  più. Lo stesso accade di fronte a salvataggi milionari di banche o aziende, anche se queste sono in perdita e in crisi totale da troppi anni, richiedendo più di un intervento economico da parte dello Stato. Nulla da ridire. Né dalla cittadinanza, né tanto meno dalla stessa politica, al di là di qualche temporaneo sussulto dell'opposizione di turno. Ma guai a parlare di un intervento nei confronti del gioco pubblico: di certo non in termini di aiuti alle imprese che lo compongono o di sconti di qualunque natura, ci mancherebbe altro. Basta pronunciare il nome di quel comparto (peraltro sistematicamente distorto in “gioco d'azzardo”, se non addirittura apostrofato come “lobby dell'azzardo”) per ritrovarsi di fronte a una levata di scudi generale e a un'indignazione diffusa. L'unico modo per poter affrontare il tema del gioco è quello di introdurre nuove tasse, spiegando che si intende penalizzare quel settore perché ritenuto nocivo: e allora sì che possono addirittura scattare gli applausi.

Come minimo, si ha la certezza di non doversi scontrare contro alcun parere contrario, perché a nessuno verrebbe mai in mente di schierarsi “a favore” di quel comparto, anche di fronte a un evidente scempio come quello che si sta consumando in queste ore con l'approvazione dell'ennesima manovra finanziaria che minaccia di far saltare il banco, letteralmente. E con esso, le migliaia di aziende (legali) che lo compongono, destinate a finire sul lastrico, lasciando a casa i propri dipendenti, a causa dell'ennesimo rincaro che stavolta posiziona l'asticella fiscale ben oltre la soglia di sostenibilità. Eppure, nessuno sembra preoccuparsene. Nonostante lo sfacelo a cui si è destinati ad andare incontro. Non tanto e non solo per le conseguenze che le nuove misure provocheranno ad aziende e lavoratori (come se non fosse abbastanza grave già in sé), quanto piuttosto per gli ulteriori rischi in termini di diffusione dell'illegalità, evasione e sicurezza per i consumatori. Anche se tali scenari sono stati puntualmente evidenziati non soltanto dall'industria ma anche da numerosi studi e analisi circolati anche all'interno di Palazzo Chigi e messi nero su bianco anche nei dossier a cura dei tecnici parlamentari, nessuno vuole prendersi la briga di valutare la situazione da un punto di vista oggettivo, né tanto meno di introdurre una riforma che possa essere in grado di ripristinare la situazione di regolare svolgimento dell'attività per gli addetti ai lavori, anche in virtù degli aumenti della tassazione che si intende proporre: visto che molte aziende sono già state messe in difficoltà dalla diffusione di norme locali in palese conflitto con la Riserva di legge ancora vigente (sulla carta) in materia di gioco e di certo non potranno continuare a operare con l'ulteriore aumento della tassazione. Quindi se proprio si vogliono tirar fuori maggiori entrate dal settore - ammesso che ciò sia possibile, sotto qualunque condizione – che lo Stato si prenda almeno la briga di sistemare la situazione in cui verte da troppo tempo il comparto che sta pregiudicando sempre più l'attività delle imprese. Invece, no. Da noi non è possibile. Possiamo parlare di tutto, in Italia, purché non si tratti di gioco. Una formula che sembra richiamare l'articolo 19 della Costituzione: quello sulla libertà di culto, secondo il quale “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma” (…), “purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Anche il gioco, evidentemente, continua ad essere considerato un “cattivo costume”. Dalla politica, però, più che dalla cittadinanza. In perfetta contraddizione rispetto all'articolo 4 della stessa Carta, in virtù del quale “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Andatelo a dire a quelle imprese che si trovano sull'orlo del baratro a causa di interventi, disposti o mancati, da parte dello Stato: come quelle del Piemonte o dell'Emilia-Romagna, che si trovano con l'acqua alla gola a causa dell'introduzione di restrizioni estreme imposte dal legislatore regionale che pur essendo ormai ritenute eccessive o fuori luogo a livello pressoché generale, continuano a rimanere in vigore a causa di un'impasse politica dovuta al rischio – in termini elettorali – di intervenire nei confronti di un settore inviso all'opinione pubblica per evitare strumentalizzazioni e attacchi da parte delle opposizioni. In un balletto continuo e uno scarico di responsabilità che prosegue da troppo tempo, di elezione in elezione, sia a livello nazionale che locale, di cui a farne le spese sono sempre le imprese, quindi lavoratori, cittadini, persone. Quelle stesse persone che lo Stato promette di tutelare, ogni volta che legifera. Salvo poi ritrovarci con una nuova crisi, nuovi ammanchi e nuovi piani lacrime e sangue da dover attuare. E digerire. Ma tutto continua ad andare, se non si parla di gioco. Basta guardare l'iter di approvazione della manovra economica 2020 per capire: la Manovra delle retromarce, come è stata prontamente ribattezzata dalla stampa generalista, che ha visto il governo fare ben 15 dietrofront in 80 giorni. Rimangiandosi gran parte delle misure più blasonate: dalla tassa sulle auto aziendali, alle misure sul contante e i pos al carcere per gli evasori, e così via. Ma non quelle sui giochi: dove, anzi, in maniera del tutto opposta, c'è stato un susseguirsi di aumenti e di aste al rialzo, e mai al ribasso. Solo che prima o poi, se ne dovrà parlare per forza, di giochi e di riforme. Forse già dal prossimo anno, quando i conti inizieranno a non tornare e qualcuno dovrà per forza (pre)occuparsene.

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