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Non tutto il mondo è paese, nel gioco

24 febbraio 2020 - 10:05

Nonostante il gioco “d'azzardo” sia un tema scottante in qualunque paese, non tutti adottano atteggiamenti estremi come l'Italia: ma anche da noi emergono nuove esigenze.

Scritto da Alessio Crisantemi
Non tutto il mondo è paese, nel gioco

Ha fatto discutere, dentro e fuori i confini nazionali, la dichiarazione del ministro spagnolo al Consumo, Alberto Garzón, nel presentare il progetto di decreto reale contenete (ben) cento misure nel settore del gioco, con limiti alla pubblicità delle scommesse online (dalle 1 alle 5 del mattino, per garantire “la massima protezione dei minori”). Il ministro ha spiegato che il regolamento proposto, pur essendo simile a quello del tabacco, prevede delle "proporzionalità": perché sarebbe "imprudente" vietare la pubblicità di un attività che, ha ricordato, è e rimane legale. Aggiungendo peraltro un riferimento diretto al “caso Italia”, spiegando che, su questi temi, "Non è necessario essere proibitivi, ma regolamentare”, visto che “il divieto totale ha generato in Italia un gioco illegale che non si può controllare”. Aggiungendo infine, in maniera molto chiara e – diciamolo pure – concreta: “Non vogliamo appuntarci una medaglia sul petto oggi e poi vedere che fra due anni il problema è peggiorato".

Parole sante, verrebbe da dire. Soprattutto ascoltandole dal nostro paese, dove gli addetti ai lavori stanno ancora facendo i conti (letteralmente, pure) con le varie difficoltà e alterazioni del mercato generate dall'adozione del decreto Dignità e del divieto di pubblicità dei giochi in esso contenuto. Se, da un lato, gli operatori del segmento del gioco online denunciano uno squilibrio a favore del gioco “fisico” generato dall'introduzione del “total ban" - il quale, come noto, ha impatto prevalente proprio sul gioco in rete, visto che la quasi totalità delle campagne pubblicitarie riguardava questo tipo di segmento -, dall'altro, si ravvisano conseguenze non banali anche per le sale da gioco terrestri. E, peggio ancora, per la sicurezza dei giocatori. Sì, perché tra i peggiori risvolti che scaturiscono dal divieto, c'è da considerare il fatto che se un operatore italiano apre oggi una nuova sala da gioco, gli è impedito promuoverla su qualunque canale, non potendo neppure informare la cittadinanza dell'inaugurazione. Cosa che, fino allo scorso anno, avveniva unicamente per le sale da gioco illegali o non autorizzate, che continuano ad essere presenti nella Penisola e in particolar modo in determinate zone del paese. Ed è questa, forse, la conseguenza più grave (e assurda) del decreto Dignità, che ha portato a un'equiparazione di fatto del gioco legale con quello illecito. Con tutti i rischi che questo comporta, con l'indistinguibilità dell'offerta illegale che va a beneficio unicamente degli operatori fraudolenti e, quindi, della criminalità che spesso controlla le attività illecite sul territorio. Cosa che non è sfuggita, a quanto pare, al governo spagnolo, analizzando il caso italiano: ma che purtroppo continua a sfuggire al nostro governo, visto che non vengono adottati provvedimenti risolutivi, nonostante anche le indicazioni dell'Autorità garante delle comunicazioni al riguardo. 
Eppure, anche da noi, qualche presa di coscienza si inizia in realtà a intravedere. Non rispetto al divieto di pubblicità, per il quale servirebbe inevitabilmente un intervento legislativo per abrogare o comunque modificare le disposizioni governative: bensì rispetto alle altre restrizioni limitative che riguardano il gioco, introdotte nel tempo dai legislatori regionali. Dopo anni di battaglia senza quartiere nei confronti del comparto, che ha causato anche qualche “vittima” tra le aziende e tra i lavoratori, alcune regioni hanno iniziato a rendersi conto dell'impatto fortemente critico che le misure adottate contro il gioco legale hanno nei confronti della comunità locale, sia in termini di sicurezza e ordine pubblico che di occupazione. Al punto che già quattro o cinque territori hanno eseguito una sorta di “revirement” sospendendo gli effetti espulsivi delle proprie leggi. Riscrivendone le misure previste o prorogandone l'entrate in vigore. Come accaduto in Liguria, Abruzzo, Marche, Calabria e più di recente in Campania. Purtroppo, si tratta ancora di casi isolati che vengono contobilanciati da atteggiamenti ostinatamente contrari e proibizionisti di altre regioni, come il Piemonte o l'Emlia-Romagna, dove i legislatori locali non hanno intenzione di fare nessun passo indietro (almeno per ora): forse per non correre il rischio di apparire “vicini” alle esigenze del settore, ancora oggi vituperato agli occhi dell'opinione pubblica e ritenuto alla stregua di una potente lobby criminale. Dimenticando (colpevolmente) che dietro al comparto operano imprese, quindi persone e famiglie del tutto normale e non dissimili da quelle di ogni altri comparto legale. 
 
L'aspetto più frustrante di tutta questa storia, e non solo dal punto di vista degli operatori, è il fatto che basterebbe davvero molto poco per capire quale tipo di approccio sia da ritenere “corretto” nei confronti di questa materia. Con una lezione che ci viene offerta proprio dalla Spagna dove, nonostante la campagna elettorale condotta dai movimenti populisti e dal partito socialista dichiaratamente “contro” al settore del gioco, la decisione adottata dal nuovo esecutivo, per quanto restrittiva e severa, appare comunque molto pragmatica e ragionata, più che ragionevole. Senza bisogno, cioè, di entrare nel merito della decisione, valutandone punto per punto le singole misure, ma limitandosi ad osservare come, a differenza dell'Italia, in questo caso siano stati considerati tutti gli effetti politici, sociali ed economici, di un approccio proibizionista, che è stato quindi accantonato. Non tutto il mondo è paese, dunque, nei confronti del gioco. O, quanto meno, non tutto il mondo è proibizionista. 
Tornando in Italia, tuttavia, lo spunto offerto dalla Spagna – e, più che altro, dai vari dietro-front adottati dalle regioni – dovrebbe far riflettere non solo gli amministratori locali ma anche (e soprattutto) il governo centrale, della pericolosità delle misure introdotte in questi ultimi anni nei confronti del comparto, sia a livello nazionale che sul territorio, e degli squilibri che ne conseguono. Tornando a valutare fin da subito l'opportunità di attuare quel Riordino del comparto già previsto dai precedenti esecutivi e mai compiuto, con tutte le conseguenze del caso. Anche se le giunte di Roma e Torino sbandierano come una specie di successo il fatto di aver limitato fortemente il gioco (legale) sul territorio di loro competenza, i diversi allarmi che iniziano a diffondersi sulla diffusione del gioco illecito dovrebbero preoccupare e non poco i legislatori. Soprattutto adesso che c'è sempre più bisogno di denari nelle casse dello Stato: e ne avremo ancor più bisogno adesso, con gli effetti del coronavirus sull'economia italiana che si materializzeranno già nei prossimi mesi.
 

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