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Basta psicosi e speculazioni: il momento di responsabilità e buon senso

09 marzo 2020 - 10:19

L'epidemia da Covid-19 sta destabilizzando l'Italia, in un continuo susseguirsi di eventi sempre più critici ed emergenziali: ma serve lucidità, soprattutto dal governo, chiamato a salvare  (anche) imprese ed economia.

Scritto da Alessio Crisantemi
Basta psicosi e speculazioni: il momento di responsabilità e buon senso

Il buon senso deve prevalere sulla paura. A tutti i livelli. E' questo l'auspicio (e l'invito) generale che sta cercando di prevalere nelle ultime ore nel nostro paese: il più colpito, dopo la Cina, dall'epidemia da coronavirus che continua a diffondersi nella Penisola. Insieme al panico. Nonostante una certa “resistenza” psicologica di una parte della popolazione che non sembra aver compreso fino in fondo la serietà della situazione. E la drammaticità degli eventi che si stanno susseguendo. Ma il richiamo vale per tutti: politica e istituzioni comprese, in una situazione non gestita alla perfezione anche tra i governatori del nostro paese, come rivela la fuga di notizia che ha creato la situazione di delirio nel Nord Italia. Stiamo commettendo tutti degli errori: alcuni madornali, ed è un fatto. Da qui il richiamo al buon senso. Anche se, la storia insegna, non è esso stesso sufficiente a ripristinare la situazione di normalità. Eppure, non si tratta di una situazione “nuova”, come ci insegna la storia (e la letteratura): sia nelle cause che negli effetti.

Come scriveva molto tempo fa Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”, descrivendo la peste di Milano attraverso il contagio di massa della popolazione. Fatti realmente accaduti, che risalgono al giugno del 1630, un tempo che era già lontanissimo per Manzoni, e ormai completamente sepolto per noi abitanti del ventunesimo secolo, per i quali la peste, i monatti e gli untori sono diventati pallidi ricordi consegnati a memorie libresche. Eppure, quelle pagine conservano un'inquietante attualità, che torna inevitabilmente in voga alla luce della nuova epidemia da coronavirus. E ancor più, quella frase: senza neanche il bisogno di estrarla come un cammeo dalla narrazione di una città che tracolla incapace di orientarsi dentro un evento che la annichilisce, e di governanti disinteressati e imbelli che non riescono in alcun modo a governarla. Con il senso comune che si propaga come una cascata di gesti incongrui e irrazionali, il buon senso che ancora sussiste ma è costretto a stare in disparte per timore che l’onda lo travolga: una descrizione certo esasperata dal tono tragico di una catastrofe che riempie di morti le strade, che tuttavia possiede la capacità di comunicarci qualcosa che ha a che fare con ciò che stiamo vivendo adesso. Anche se il coronavirus non è certo da paragonare, in termini medici, e in condizioni sanitarie, alla peste nera di allora. Più centrato, invece, sembra apparire il paragone con i governanti: loro non stanno con gli occhi rivolti da un’altra parte, come accadeva per gli spagnoli di allora, descritti da Manzoni. Al contrario, sospinti dal popolo stesso che li ha votati (o non), si impegnano con le parole e con i fatti ad alimentare un senso comune che sembra non aspettare altro per diventare protagonista o illudersi di esserlo. Mentre il buon senso, più che rintanato nella paura, sembra essere tagliato fuori, espulso dal senso comune. Così il disastro assume le caratteristiche di un male che si va allargando ogni giorno e che più si estende, più rende difficile immaginare che si possa ristabilire un’unità. Senza di essa, non solo la situazione non sarà più governabile tendendo a scivolare verso il peggio, ma è inevitabile che il senso comune, già dilagante, diventi il padrone assoluto della politica: una massa anonima destinata a muoversi senza avere consapevolezza del luogo verso cui sta andando e del perché sta facendolo.
Per questo è necessario e urgente non soltanto adottare il buon senso, ma recuperare, al tempo stesso, il senso dello Stato e delle istituzioni, che già richiamavamo qualche giorno fa. Ma anche il ruolo dello stesso Stato: in tutte le accezioni possibili. Di certo, nonostante gli errori, non si può non notare come in Italia lo Stato abbia dimostrato di esserci e, in parte, di funzionare: com'è evidente dallo straordinario apporto del sistema medico e sanitario nella gestione di un'emergenza straordinaria così ampiamente diffusa, che dovrà far riflettere anche sull'importanza della rete pubblica, che ultimamente sembrava poter essere addirittura messa in discussione. Adesso però le risposte concrete dovranno arrivare dall'altro fronte, cioè quello economico e produttivo, con il governo – e, quindi, lo Stato – che dovrà gestire una situazione tutt'altro che semplice e uno stato di crisi generale che rischia di far saltare migliaia di imprese, provocando l'ulteriore perdita di posti di lavori, in un momento già particolarmente delicato per il nostro paese, al di là del virus.
Risposte che dovranno inevitabilmente riguardare anche l'industria del gioco pubblico, colpita nel vivo dalle restrizioni imposte dall'Esecutivo per contenere l'epidemia, prima a livello locale, nelle diverse zone rosse o gialle disseminate nella Penisola, poi a livello nazionale, con l'ultimo decreto della presidenza del consiglio dei Ministri che impone lo stop a tutti i locali di gioco del paese (almeno) fino al prossimo 3 aprile. Una situazione insostenibile per le imprese del comparto, che rischia di mettere in strada centinaia di migliaia di lavoratori. Con le restrizioni dovute all'epidemia che giungono nel momento forse già più difficile in assoluto nella storia del settore: con il segmento delle videolottery che aveva già registrato un crollo della raccolta (-35 percento) nei primi due mesi dell'anno, a causa dei nuovi obblighi normativi e della nuova tassazione, e con il resto del comparto degli apparecchi da intrattenimento in declino a causa di nuovo della tassazione e della sostituzione delle slot nei locali imposta dalla diminuzione del payout. Processo, quest'ultimo, che si interrompe bruscamente con la chiusura dei locali, insieme alla raccolta delle giocate, che si ferma completamente per un mese, in tutta Italia. Da qui la richiesta delle associazioni di categoria di promulgare una moratoria sul versamento di tutti i tributi, sui mutui pendenti sulle aziende di gioco e su tutti gli oneri che diventano oggi insostenibili per le categorie coinvolte.
Una richiesta che il governo, stavolta, non potrà ignorare, anche perché i danni provocati al settore sono evidenti e pure di facile e diretta contabilità, visto che a fermarsi, insieme alla raccolta, sarà anche il gettito erariale per le casse dello Stato.
Certo, ci sarà pure chi considererà un bene il fatto di veder chiudere i locali di gioco, anche se questo dovesse avvenire in maniera permanente con il cessare di alcune attività, ritenendolo un bene per la società. Dovremmo aspettarcelo. O, peggio ancora, ci potrà essere anche chi riuscirà a protestare di fronte all'introduzione di misure di tutela in favore delle aziende del gioco pubblico, qualora dovessero essere concessi strumenti di tutela fiscale. Ma è anche qui, diventa centrale il richiamo al buon senso. E al senso di comunità, oltre a quello dello Stato, provando a capire, almeno stavolta, che dietro all'industria del gioco (legale), come in ogni comparto, ci sono aziende, persone, famiglie: vite reali. Pezzi del nostro paese e di una nazione, oggi sempre più invocata da quel sovranismo, più dilagante di ogni altro virus. Per il quale, forse, si potrà trovare un antidoto nella ricerca di una normalità che dovrà necessariamente scaturire dalla quiete che tutti attendiamo di poter raggiungere, una volta superata la tempesta del Covid-19.

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