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Andrà tutto bene: ma iniziamo a dire come

06 aprile 2020 - 08:11

A un mese dalla chiusura dei locali di gioco pubblico si inizia a parlare di “fase due”: ma oltre al quando, serve capire come sarà possibile ripartire.

Scritto da Alessio Crisantemi
Andrà tutto bene: ma iniziamo a dire come

Ripartire. E' questo il pensiero fisso - e l'esigenza - di ogni imprenditore, di ogni lavoratore e dell'intera industria italiana. E lo è in particolare per gli addetti ai lavori del gioco pubblico: tra i più colpiti dalle misure restrittive adottate dall'esecutivo per il contenimento della pandemia, e i primi a dover fare i conti con la serrata totale delle attività. A un mese dall'introduzione del lockdown, tuttavia, non è ancora chiaro quando si potrà riaprire i battenti delle aziende e dei locali pubblici e,  soprattutto, come si potrà tornare alla normalità. O, meglio, a quella nuova forma di normalità che si andrà a delineare quando gli italiani potranno di nuovo uscire dalle proprie abitazioni. Ad oggi, non sappiamo ancora nulla. Solo una serie di ipotesi – spesso confuse e pure contraddittorie – dalle quali è emersa l'unica certezza relativa al gioco, che sarà l'ultimo settore a tornare veramente operativo, nella progressiva riapertura, volendo tenere le persone lontane dai centri di aggregazione.

L'ultima indicazione fornita dal premier Giuseppe Conte, tuttavia, è (di nuovo) del tutto indicativa: “Non si può ancora dire quando finirà il lockdown”. Ma di certo non prima di Pasqua e, con tutta probabilità, neppure prima del primo maggio. Per evitare scampagnate e raduni di massa. Specificando, ancora una volta, che la decisione sarà condizionata dalle indicazioni che arriveranno dalla comunità scientifica. Ma nonostante i bollettini sul contagio siano ritenuti relativamente “incoraggianti” (per quanto improprie possano apparire considerazioni di questo tipo, parlando di decessi), è ancora troppo presto per fare ipotesi concrete. Meglio scegliere la prudenza, come ha fatto il numero uno della Protezione civile, spostando la palla avanti alla seconda metà di maggio: fermo restando che nel frattempo, sia pur lentamente, i contagi da coronavirus iniziano a calare, come ha detto domenica 5 aprile il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.
Anche se alcuni scienziati pensano comunque a scenari peggiori rispetto anche a quelli annunciati dalla Protezione civile. Come ha spiegato piuttosto chiaramente Alessandro Vespignani, fisico informatico e direttore del Laboratory for the modeling of biological and Socio-technical Systems, alla Northeastern University di Boston (tra i massimi esperti di "epidemiologia computazionale”) che in un'intervista al Corriere della Sera, senza tanti giri di parole, afferma: “Dobbiamo cominciare a dire agli italiani una verità scomoda. Mi rendo conto che è difficile farlo con un Paese praticamente in ginocchio, ma non possiamo illuderci di tornare alla completa normalità a giugno o a luglio. Queste sono le settimane in cui l’Italia deve dotarsi di un’infrastruttura di controllo che neanche immaginava fosse necessaria quattro settimane fa”. Portando ad esempio il modello della Corea del Sud. Aggiungendo, peraltro, che il coronavirus cambierà inevitabilmente le nostra vite, come è accaduto, per molti aspetti, dopo gli attentati in America dell’11 settembre e in seguito ad altre crisi. 
Una serie di elementi che pur lasciando i lavoratori italiani nella più totale incertezza, confermano comunque un futuro destinato a cambiare notevolmente rispetto al passato.
Niente sarà più come prima: nelle abitudini degli italiani, ma anche nelle possibilità di consumo e – soprattutto – di intrattenimento. A cambiare saranno inevitabilmente le modalità di accesso ai locali pubblici (probabilmente, già a partire dai bar), con restrizioni riguardo al numero di avventori di ogni ambiente, sulla logistica e organizzazione degli spazi e nuovi obblighi di strumentazione e controlli a scopi sanitari. Anche qui, tuttavia, siamo ancora nel campo delle ipotesi. In attesa che da Palazzo Chigi escano indicazioni ufficiali. Oltre alle misure di carattere economico che tutti attendono, tra provvedimenti che prendono forma (vedi il cosiddetto “decreto Aprile”) e l’incessante produzione di decreti e ordinanze con cui si ordina agli italiani di stare a casa e si tenta così di bloccare la diffusione del virus, con l’ultimo decreto che individuava nel 13 aprile la fine di completo lockdown e che tutti sperano che non venga smentito da un successivo provvedimento.
Questa è dunque la settimana chiave per capire quale sarà il futuro del paese. Non soltanto per capire quando potrà effettivamente partire la tanto attesa “fase due” della riapertura, ma anche dal punto di vista della nostra tenuta economica e (si spera) della futura ripresa. L’appuntamento economico cruciale è l’Eurogruppo del 7 aprile, momento in cui si capirà se i cosiddetti coronabond hanno qualche chance di vedere la luce o restano solo pretese dei paesi del Sud Europa più colpiti dalla pandemia come Spagna e Italia, comunque appoggiati dalla Francia. Ma saranno anche da monitorare i verbali delle recenti riunioni di Federal Reserve e Banca centrale europea (il Consiglio direttivo dell’11-12 marzo che saranno pubblicati questa settimana), tutti focalizzati su unico tema: come superare l’impressionante shock economico da pandemia. Dalle indicazioni (e dagli aiuti) provenienti dall'Europa dipenderà dunque il futuro del nostro paese: con alcuni, piccoli segnali incoraggianti che derivano dall'idea – sempre più condivisa – della necessità di una sorta di “piano Marshall” per risollevare gli Stati membri dopo la pandemia. Proprio come auspicavamo già diverse settimane fa, su queste pagine: con la speranza che anche gli altri nostri auspici possano trovare riscontro nei piani economici e politici nazionali e internazionali.
A partire dalla necessità di considerare il gioco pubblico uno dei settori strategici di cui tenere conto per rilanciare l'economia della Penisola. Per quanto assurdo possa apparire, specialmente agli abituali detrattori del comparto, preoccupati (comprensibilmente, pure) del fatto che, in periodi di crisi, bisognerebbe fare tutto fuorché incentivare locali di gioco dove gli italiani potrebbero essere tentati di dilapidare gli ultimi risparmi. Eppure la “questione gioco” va vista, stavolta più che mai, in un'ottica completamente diversa, iniziando a parlare – una volta tanto - del gioco pubblico come un vero comparto economico. Neanche tanto insignificante, essendo in grado di offrire un contributo diretto di oltre dieci miliari di euro l'anno all'Erario, nonché capace di garantire l'occupazione di oltre 120mila persone. Occorre, dunque, inquadrare la situazione da una prospettiva più ampia, per comprendere l'effettiva necessità di salvaguardare un segmento industriale di primo piano come quello del gioco. Ripartendo dalle parole dell’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che dalle colonne del Financial Times ha evidenziato come la priorità assoluta, in questo momento, è proteggere la popolazione dalla perdita dei posti di lavoro. E' da questa angolazione che va inquadrato il problema, avendo chiara in mente la necessità che gli investimenti non si fermino ma che, al contrario, ripartano e il prima possibile. Per confermare la base imponibile che determina la stabilità di uno Stato e consentire, al tempo stesso, al tessuto eonomico e produttivo del paese di ripartire, per poter quindi contribuire alla conservazione del sistema generale. Un passaggio che non è però possibile senza la necessaria liquidità, che diventa così, gioco forza, il punto centrale. Per far questo, nel gioco e non solo, bisognerà quindi adottare misure importanti, figlie di scelte coraggiose, di carattere straordinario, ma inevitabile. A partire dalla revisione del sistema impositivo, che dovrà essere in grado di proporre qualcosa di diverso da quello precedente, evolvendo a un paradigma che consenta di reperire risorse ulteriori e garantire il mantenimento dei settori più importanti. Servono una serie di provvedimenti, che riguardano ogni settore della nostra economia, ma che diventano ancor più rilevanti in quelli che hanno subito l'interruzione totale, come: turismo, spettacolo, sport e gioco legale, che hanno subito uno stop completo a causa dalla pandemia. Soprattutto il gioco, che oltre a essere uno dei più colpiti, a causa della maggiore durata del lockdown, risulta essere anche uno dei più prolifici per l'Erario. Guardando al gioco pubblico dal punto di vista della base imponibile a cui accennava Draghi, ci si rende conto che un comparto che contribuisce in maniera diretta e significativa alle entrate erariali, può svolgere un ruolo altamente strategico per la ripartenza del sistema-paese. Senza contare, poi, che lasciare liberi degli spazi in un momento di difficoltà come questo, significa dare spazio alla criminalità. Per un rischio ulteriore oltre a quello che già si palesa in qualunque altro settore, potendo offrire liquidità notevole alle imprese in difficoltà. Non solo. Nel gioco, diversamente dal turismo, sport e spettacolo, si scontano situazioni ulteriori e ancora più gravi, che derivano dai provvedimenti presi in precedenza: guardando in particolare il segmento degli apparecchi da intrattenimento – il più significativo dell'intero comparto -, che a partire da quest'anno avevano già costretto le imprese alla sostituzione del parco macchine, andando a prosciugrare le aziende, che hanno anche dovuto sospendere a metà questa attività. In questo caso un intervento sull'imposizione fiscale che dia un sollievo al settore al momento della ripartenza sarebbe un primo intervento. Ma non certo l'unico. Oltre alle misure che di andranno ad attuare per tutti i comparti e per tutti i lavoratori, dunque, serviranno misure straordinarie e specifiche riguardo al gioco. Cogliendo l'occasione per compiere quella serie di riforme già attesa da tempo, che adesso diventa ancora più urgente e necessaria, trasformandosi tuttavia in un mero punto di partenza. Perché neppure il tanto agognato Riordino del comparto, potrà garantire oggi la vera ripartenza del settore e, quindi, garantire allo Stato le entrate erariali che un tempo era solito portare. Dal Riordino, quindi, si passa direttamente alla Ricostruzione: come quella che seguì il primo dopoguerra, sulla spinta proprio del più volte citato piano Marshall. Ma al di là dei nomi e delle etichette, è importante partire. Prima possibile. Iniziando a parlare del “dopo” e a ragionare sui provvedimenti da prendere per assicurare a tutti e davvero che andrà tutto bene.
 

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