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Col calcio che riparte il gioco pubblico

04 maggio 2020 - 08:23

Quando si tornerà a giocare? E quando ripartiranno i campionati, in Italia? Due domande più vicine di quanto si pensi. Con il futuro del gioco appeso al filo del calcio.

Scritto da Alessio Crisantemi
 Col calcio che riparte il gioco pubblico

L’Italia riparte, ma non del tutto. La Penisola riaccende i motori delle fabbriche e rimette in azione i cantieri privati a partire da questa prima settimana di maggio, facendo tornare il traffico sulle strade e con quattro milioni e mezzo di cittadini che - secondo i dati Inail - tornano a lavorare. Ma ad alzare la saracinesca sono soltanto le imprese della manifattura, della moda, del tessile, e il commercio all’ingrosso. Mentre gli altri, come gli operatori del gioco pubblico, dovranno aspettare la cosiddetta “fase 3”. Anche se, per alcuni, ci sarà anche una fase “2 e mezzo”, con qualche attività che potrà ripartire già dal 18 maggio. Compresi i pubblici esercizi che si occupano di ristorazione e somministrazione, che funzioneranno però a mezzo servizio. E in attesa di capire se in questi locali si potrà comunque riattivare qualche forma di gioco ad eccezione delle attività di ricevitoria e delle lotterie istantanee. Come è scritto nel Dpcm del 26 aprile, restano ancora sospese “tutte le attività produttive industriali e commerciali” (salvo quelle indicate nell’allegato 3 del decreto), comprese, quindi, anche le sale slot, i bingo e le agenzie di scommesse.

In ogni caso, dopo due mesi di lockdown imposti dal virus, che aveva chiuso in casa 7,8 milioni di lavoratori, è quindi ufficialmente iniziata la “fase 2”. Ed è già in sé una buona notizia. Nella speranza generale, però, che non ci sia una ricaduta in termini di contagi, altrimenti si rischierebbe una nuova serrata e un ulteriore slittamento dei termini di riapertura. Ma la ripartenza dei pubblici esercizi – giochi o non giochi – non è certo tutta rosa e fiori. Anzi. Come rivelato dal Centro studi di Unimpresa, il 30 percento delle attività legate al commercio al dettaglio e alla ristorazione a giugno non sarà in condizione di ripartire e non riaprirà: per almeno un terzo degli imprenditori, la ripresa di alcuni esercizi commerciali è “sconveniente sul piano economico”, tenuto conto dei costi fissi che non vengono in alcun modo congelati né ridotti (affitti, utenze, tassa sui rifiuti e sul suolo pubblico). Secondo l'organismo di rappresentanza delle imprese, inoltre, il crollo di negozi, bar e ristoranti si potrebbe tradurre, considerando le attività connesse, in una riduzione del giro d’affari complessivo che interessa 250 miliardi di euro di prodotto interno lordo: a questa cifra si arriva partendo dal presupposto che il 60 percento del pil è legato al mercato interno e che il 30 percento di questo mercato (ovvero il 18 percento del totale del Pil) potrebbe subire pesanti ripercussioni. Sul fronte delle finanze pubbliche, la riduzione del gettito potrebbe arrivare a 80 miliardi, mentre dalle casse dello Stato continuerebbero a uscire fondi in favore dei nuovi disoccupati. Tutto questo, aggiunge il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, le attività legate alla ristorazione e al commercio al dettaglio “non hanno avuto accesso ai 25 mila euro propagandati dal governo e tutti si dovranno attenere alle nuove disposizioni sulle distanze. In sintesi, un bar che riapre a giugno potrà lavorare con un terzo dei clienti semplicemente perché non li potrà fare entrare nel proprio esercizio. Vuol dire anche un terzo degli incassi, ma con gli stessi costi fissi come bollette, affitti, tassa sul suolo pubblico, rifiuti”. 
Una situazione che si prospetta in maniera perfettamente identica anche per i locali di gioco (i cui titolari, peraltro, hanno ancora più difficoltà nell'accesso al credito, come denunciato più volte dagli addetti ai lavori). Altro che rischio di assembramento o di derive patologiche, come segnalato dai vari detrattori del comparto, che invitano il governo a cogliere l'occasione del lockdown per rinunciare definitivamente al gioco. Il problema, per gli addetti ai lavori, è decisamente l'opposto al rischio di affollamento dei locali. Tenendo conto che la minore propensione alla spesa e la carente disponibilità di liquidi, oltre al timone generale di frequentare ambienti chiusi, probabilmente vedrà le sale rimanere vuote per un bel po' di tempo. Con tutte le conseguenze in termini di tenuta economica e occupazione che dovranno essere prese in considerazioni. A conferma del fatto che la riapertura dovrà essere soltanto il primo passo di un percorso molto più ampio di salvaguardia delle imprese di cui lo Stato dovrà inevitabilmente farsi carico. Anche per quanto riguarda il gioco. Oltre al fatto che, come più volte ribadito, le aziende di questo settore e i loro lavoratori non possono e non devono essere considerati come figli di un Dio minore: ma anche per il mantenimento di quella rete del gioco legale tanto preziosa per lo Stato sia in termini di entrate erariali che di liquidità e occupazione, ma anche dal punto di vista della sicurezza e dell'ordine pubblico. A spiegare con chiarezza i rischio a cui si andrebbe incontro facendo sparire l'offerta statale di gioco, basta attenersi alla cronaca più attuale e alla notizia proveniente da Palermo che nelle scorse ore ha fatto il giro d'Italia e del mondo. Dove si è disputata – con tanto di riprese video diventate virtuali sui social e non solo – una corsa di cavalli clandestina, nel cuore della città. Una gara in piena regola, come rilevato dai carabinieri del gruppo di Palermo del centro Anticrimine Natura, “iniziata in piazza Indipendenza, si è svolta lungo via Ernesto Basile ed è stata ripresa e diffusa su social dai presenti”. Tutto ciò, probabilmente, anche per sopperire alla mancanza di eventi sportivi su cui scommettere, legalmente, dovuta alla chiusura delle agenzia di scommesse (legali) e alla restrizione dei palinsesti dei bookmaker per mancanza di campionati.
Proprio per questo, dunque, non si può pensare neanche minimamente di fermare il gioco legale. Al contrario, è opportuno far ripartire prima possibile le attività di gioco, per evitare che le persone possano tentare la sorte in altri circuiti diversi da quello statale. Con tutti i rischi del caso. Soprattutto se a ripartire saranno i campionati di calcio e le altre competizioni sportive. Nel caso in cui, come si sta prospettando in queste ore, dovesse ripartire la Serie A e gli altri campionati, dunque, sarà assolutamente necessario riaprire le agenzie di scommesse (seguendo tutte le precauzioni vigenti per gli altri locali, naturalmente), altrimenti il risultato sarà quello di incentivare e rispolverare le scommesse clandestine. Che saranno ancora più facile da allestire: senza neppure bisogno, stavolta, di creare una corsa di cavalli per strada, come avvenuto a Palermo, se a tornare saranno gli sport ma non le agenzie. 
In questo senso, dunque, la ripartenza del gioco pubblico potrebbe essere legata indissolubilmente a quella del calcio e dei campionati sportivi. Come pure il futuro del comparto più in generale, visto che, un ulteriore spostamento dei termini, addirittura oltre l'estate, sarebbe deleterio per l'intera industria e letale per gran parte delle piccole e media imprese che compongono la filiera e che hanno dato lavoro, fino a oggi, a circa 150mila persone. Cittadini, anche questi, di cui ricordarsi, quando si invoca alla scomparsa di un settore.
 

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