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Pieni poteri per non decidere: emergenza politica più che sanitaria

13 luglio 2020 - 08:20

Lo stato di emergenza sarà prorogato almeno fino al prossimo autunno, con il governo che mantiene i poteri speciali pur continuando a evitare le riforme.

Scritto da Alessio Crisantemi
Pieni poteri per non decidere: emergenza politica più che sanitaria

Il governo ha deciso: lo stato di emergenza sanitaria sarà prorogato oltre il 31 luglio. Dopo gli annunci delle scorse ore, sono arrivate le conferme ufficiali, con la sola nuova ipotesi che, invece di arrivare alla fine dell'anno, la prossima scadenza potrebbe essere “anticipata” al 31 ottobre. In ogni caso, la decisione non cambia, nonostante le pressioni da parte delle opposizioni, che gridano allo scandalo per via della prolungata privazione della libertà inflitta agli italiani “per decreto”, per il mero mantenimento di quei pieni poteri garantiti (costituzionalmente) dalla straordinarietà della pandemia. L'unica differenza, rispetto a quanto inizialmente previsto dal governo, sta nelle modalità con cui verrà comunicato (imposto?) il nuovo piano, con un passaggio in Parlamento che anticiperà la decisione che verrà comunque adottata dal Consiglio dei Ministri. In particolare, martedì 14 luglio il Parlamento è chiamato a votare le comunicazioni del ministro della Salute Roberto Speranza sul nuovo Dpcm di prorogare delle norme anti-contagio in scadenza il 14 luglio. Mentre per quanto riguarda la proroga dello stato d’emergenza, che scade il 31 luglio, non può essere un Dpcm a stabilirlo ma è necessaria una delibera del CdM, su cui il premier Giuseppe Conte riferirà in Parlamento. 

 

Sul Dpcm che sostanzialmente proroga le norme già esistenti, il premier ha dunque delegato il ministro della Salute a riferire martedì, prima che il provvedimento venga firmato. Mentre sullo stato d’emergenza sarà lui in persona a riferire, prima del 31 luglio. Un escamotage politico e istituzionale che mira a risolvere i rischi di “deriva autoritaria” che potrebbero essere invocati dalle opposizioni in caso di una decisione unilaterale dell'esecutivo, con il premier che si è affrettato a sottolineare che una decisione definitiva sulla stato di emergenza non è stata ancora presa e che sarà affrontata in maniera collegiale “nel debito confronto con il Parlamento”. Con le dichiarazioni dei giorni precedenti che evidentemente servivano a preparare il terreno politico in quella direzione.
Pur provocando una certa irritazione anche tra le componenti della maggioranza, in una settimana già particolarmente delicata, visto che in questi giorni il governo dovrà disuctere con l'Europa il piano relativo al Recovery Fund, che già procede con non pochi problemi. Prima che il capo del governo confermasse il passaggio parlamentare, infatti, la scelta dell’esecutivo di prorogare lo stato d’emergenza che non era piaciuta all’opposizione aveva sollevato dubbi anche tra Pd e Italia Viva, non tanto per la proroga in sé (nessuno è convinto che l’emergenza sanitaria sia finita, con dieci regioni sotto osservazione per “rischio moderato”), quanto perché su certe decisioni è necessaria una maggiore collegialità. 
Per quanto riguarda il comparto del gioco pubblico, la proroga dello stato di emergenza – come anticipato - nulla cambia a livello operativo e per tale ragione non sembra rappresentare un problema visto che – come emerge chiaramente visitando le location di gioco italiane – gli ambienti di intrattenimento sembrano essere tra i più sicuri in assoluto e tra i più rigorosi nel rispetto delle regole di contenimento della pandemia. Con una disciplina forse addirittura superiore alle aspettative sia da parte degli esercenti e titolari dei punti vendita, ma anche da parte dei giocatori. Per questa ragione, nonostante il settore del gioco, come ogni altro, auspichi un rapido ritorno alla normalità e nel più breve tempo possibile - visto che i fatturati che si possono realizzare in questa fase sono inevitabilmente inferiori di quelli a regolare regime, come pure i numeri delle frequentazioni – è pur vero che un prolungamento della gestione straordinaria potrebbe consentire alle aziende di continuare a beneficiare di quelle misure di supporto all'occupazione che continuano ad essere indispensabili (anche se spesso non sufficienti) per evitare di mandare a casa i propri dipendenti. Quindi se il prolungamento dello stato di emergenza vuol dire anche prolungare i piani di incentivi e aiuto alle imprese (anche se le due cose viaggiano comunque su piani separati), ben venga la proroga: meglio ancora se il tempo maggiore a disposizione potrà servire anche per rinforzare e affinare quelle stesse misure di intervento predisposte dall'esecutivo nel Dl rilancio, decisamente modeste, soprattutto per il gioco. Sempre che non venga in mente a qualcuno di sfruttare il prolungamento dei termini legati all'emergenza anche per creare nuove interruzioni all'offerta di gioco proprio nella settimana in cui – finalmente – si torna a giocare in tutta la Penisola, dopo che anche nella provincia di Bolzano si potrà ripartire con le sale.
La vera nota stonata di tutta questa storia politica e istituzionale, tuttavia, è la beffa che sembra racchiudersi in questa fase di emergenza, in cui il governo continua a godere di poteri speciali, pretendendoli, salvo poi arroccarsi dietro a formule tecniche e iperburocratiche per evitare di prendere decisioni anche fondamentali per il futuro del paese, come accade per le questioni relative a giustizia, appalti e semplificazioni, rispetto alle quali la maggioranza ha annunciato un accordo “salvo intese”: quella specie di “formula magica”, come l'ha definita Luciana Fontana sul Corriere della Sera, diventata una moda nella nostra pratica di governo, che serve soltanto a guadagnare tempo, per non assumersi responsabilità e sperare che accada qualcosa che tiri fuori la maggioranza dai pasticci. Visto che “Tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia”, come suggeriva ai governanti dell’epoca Giulio Andreotti. Ne sa qualcosa il comparto del gioco pubblico, sul tirare a campare del governo italiano, che è una delle poche costanti delle ultime legislature. Ognuno dei quali ha soltanto sfiorato, quando non addirittura scansato, il tema dei giochi e quel Riordino: la cui necessità e urgenza è stata più volte messa nera su bianco dagli stessi governi, salvo poi ignorarla sistematicamente. Senza neppure ricorrere a formule come quella del “salvo intese”: riuscendo, anzi, in questo caso specifico anche a rimangiarsi le vere intese, già approvate e sottoscritte, ma mai attuate.
Eppure è ancora possibile (e ancor più urgente) invertire la rotta e ripartire proprio da quel accordo raggiunto in Conferenza unificata a settembre del 2017 per realizzare la tanto attesa riforma del gioco pubblico, che servirebbe oggi a evitare il collasso di un comparto, scongiurando la crisi occupazionale e contribuendo, al contrario, al rilancio dell'economia nazionale, in un modo che possa rivelarsi davvero sostenibile. Come ha promesso di fare il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta, ricevendo la delega ai giochi nei giorni scorsi, impegnandosi a riaprire quel tavolo di confronto: salvo intese, naturalmente.
 

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