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L'ora della consapevolezza e delle riforme

27 luglio 2020 - 09:02

E' giunto il momento – accelerato dalla pandemia – di compiere scelte coraggiose e attuare riforme (anche) nel settore dei giochi: lo impone la cronaca e non solo l'Europa.

Scritto da Alessio Crisantemi
L'ora della consapevolezza e delle riforme

 

Lo Stato, sul gioco, non può più fare finta di nulla. Come pure le singole istituzioni, amministrazioni pubbliche e compagnia cantante. Ma il primo a dover cambiare passo (e approccio) nei confronti di un settore così altamente complesso e delicato, è proprio lo Stato: che in questa fattispecie si traduce nel suo organo esecutivo, quindi il governo. Come pure il Parlamento, il quale non potrà certo sottrarsi a una presa di coscienza generale nei confronti del comparto: anche se, non c'è dubbio, la linea che potrà essere seguita dalle varie istituzioni e dagli altri organi legislativi del nostro paese, deriverà in modo (più o meno) automatico da un'azione chiara e concreta dell'esecutivo mirata a sovvertire l'attuale gestione del gioco.

Dopo anni di mancate risposte e ripetuti rinvii e in seguito a una sopraggiunta situazione straordinaria come quella dell'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19, che ha messo in evidenza tutti i limiti di una gestione approssimativa o fallace di vari sistemi e mercati, oltre a compromettere la sostenibilità di migliaia di imprese, il governo ha il dovere di avviare un cantiere di riforme che contenga, al suo interno, anche una revisione del comparto giochi

Del resto, a imporre una serie di riforme strutturali, serie e concrete (e sperabilmente durature, pure) è soprattutto l'Europa, che nel concedere il “bonus” da circa 390 miliardi di euro al nostro paese, ha imposto delle rigide condizioni di rilascio e utilizzo dei fondi, che invocano interventi radicali nel nostro paese. E un'attenta cabina di regia per verificare e disciplinare la loro attuazione. Anche per il questo il premier Giuseppe Conte ha deciso di costituire una nuova task force, interamente dedicata al piano italiano di gestione del Ricovery Fund. Anche se sui giochi, per ora, non è stata chiaramente pronunciata alcuna parola specifica, come del resto è comprensibile e forse anche inevitabile. In realtà, a voler essere ottimisti, qualcosa è stata scritta, più che detta, al riguardo: e ciò potrebbe valere in qualche modo anche molto più di una dichiarazione. Sì, perché il gioco è rientrato, una volta tanto, nel l'atto di indirizzo firmato dal Ministro dell'Economia Roberto Gualtieri per il triennio corrente, con tanto di indicazione di obiettivi da attuare, teoricamente, attraverso il famigerato Piano nazionale di Riforme (Pnr) che è stato redatto proprio in vista della discussione del Recovery Fund. Come pure, allo stesso modo, deve essere considerata l'assegnazione della delega ai giochi (o, meglio, alle attività disciplinate dall'Agenzia delle Dogane e dei monopoli) al sottosegretario Pier Paolo Baretta, dalla quale si può comunque ricavare un'ulteriore “dichiarazione di intenti” rispetto a un intervento sul settore. Visto che fino a pochi giorni fa, il settore non era mai stato preso in considerazione, se non nei vari provvedimenti di rincaro della tassazione, sempre attraverso misure estemporanee e un approccio emergenziale (e drammaticamente superficiale).

Ma tutto questo, diciamolo, rappresenta soltanto un primissimo passo – e soltanto potenziale – rispetto a quel cambiamento urgente e necessario che si dovrà compiere nei confronti del comparto del gioco pubblico. Che non può più aspettare. In effetti, oltre alle dinamiche interne (e drammaticamente importanti), che riguardano lo stato di crisi in cui si trovano le imprese del settore a livello nazionale, accompagnate da una pressoché totale incertezza degli enti locali nell'intervenire, dopo anni di irrisolta “Questione territoriale” che sono finiti con ingarbugliare anche le stesse regioni artefici del disastro, ci sono anche una serie di campanelli di allarme provenienti dal resto d'Europa e del mondo che non si possono più ignorare. A partire dal lavoro-denuncia presentato nelle scorse ore dall'organismo Glms (Global lottery monitoring system) sulla mancata regolamentazione delle sponsorizzazioni sportive da parte dei bookmaker irregolari, che lancia un allarme immane sui rischi che derivano da una mancanza di consapevolezza in ambito politico e istituzionali su determinate dinamiche e sui divieti adottati da alcuni paesi, con l'Italia in testa, a causa del suo decreto Dignità, che richiede una revisione ormai sempre più urgente.

Ma ci sono anche tanti e ulteriori segnali esterni che si possono né devono ignorare. Non soltanto leggendo le relazioni sulla criminalità organizzata (ultima, quella della Dia relativa al 2019) relative alla gestione illecita di attività nel settore del gioco, come in tanti altri. Si pensi ad esempio alla notizia che ha catturato l'attenzione di alcuni attenti osservatori internazionali, nei giorni scorsi, relativa all'introduzione della prima moneta digitale di Stato, in Lituania. Si chiama LBcoin, imperniata sulla stessa tecnologia blockchain alla base delle criptovalute e a emetterla il 23 luglio è stata la Banca centrale della Lituania, Paese che ha fatto dell’avanzamento tecnologico una bandiera, nonché un fattore di attrattività per il fintech di cui è ormai secondo hub in Europa. Ebbene, unendo i puntini che potrebbero collegare – come si discute ormai da tempo – l'evoluzione delle monete digitali, già utilizzate in qualche modo nel gaming, e i rischi di illegalità già evidenti e diffusi a livello internazionale, per un settore – come quello del gioco online – transfrontaliero per natura e vocazione, dovrebbe essere piuttosto evidente quando l'assenza di regole e azioni concrete per gestire e affrontare determinati processi, finisce col prestare il fianco ad operazioni illecite e criminali, con i legislatori che, al giorno d'oggi, dovrebbe anticipare i tempi piuttosto che rincorrere sistematicamente (e in estremo ritardo) i processi che scaturiscono dal progresso tecnologico. Per evitare di ritrovarsi come nel caso delle sponsorizzazioni sportive dei bookmaker asiatici, denunciata da Glms, o in situazioni ancora più gravi. Di cui non possono certo diventare complici paesi evoluti, a livello legislativo e non solo tecnologico, come l'Italia.

Per tutte queste ragioni, è arrivato il momento di intervenire, e alla svelta, iniziando a (pre)occuparsi del comparto giochi quale settore economico e produttivo del nostro paese. Guardando alla produttività non tanto nel senso etico del termine, quanto, piuttosto, in termini di occupazione e di risorse economiche. Compiendo anche qualche passo in avanti, con coraggio e determinazione, come potrebbe essere la revisione fiscale dell'intero sistema (con spunti suggestivi e importanti che potrebbero essere rappresentanti dall'introduzione di un meccanismo di scopo, come nel Regno Unito, in Spagna e tanti altri paesi europei e del mondo, o il passaggio alla tassa sul margine anche nel gioco fisico) o il famigerato Riordino di cui si continua a parlare e a sentire sempre più l'esigenza, salvo poi non vederlo tradotto in legge.

 

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