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L'incredibile normalità del gioco pubblico

21 settembre 2020 - 08:47

Nell'abituale bailamme che accompagna da sempre ogni dibattito relativo al mondo del gioco stupisce, o quasi, scoprire la “normalità” percepita all'interno di un locale.

Scritto da Alessio Crisantemi
L'incredibile normalità del gioco pubblico

 

“Come in un bar non trovi tutti alcolizzati, così in una sala non sono tutti malati di gioco”. E' questa la riflessione, solo apparentemente banale, che sente il bisogno di fare la dottoressa Manuela Vinai, intervista dal Corriere della Sera, per spiegare e sintetizzare il suo lavoro di ricerca antropologica svolto nel corso di un anno nel settore. Uno studio che ha condotto all'interno della sale da gioco, accanto ai giocatori: parlando con loro, ascoltandoli e provando a capire cosa si nascondesse dietro a quella voglia o esigenza di giocare. E cosa spingesse ogni avventore di quei locali a frequentarli, per lo più abitualmente. Un lavoro eseguito in un territorio “caldo” per il gioco pubblico come quello del Piemonte: una delle regioni ad aver adottate le misure più rigide contro il settore del gioco, determinandone l'espulsione in gran parte del territorio, alzando un polverone forse fin troppo esteso rispetto alle attitudini del pubblico locale, ma che appartiene ormai alla cronaca quotidiana. Provocando non pochi problemi agli addetti ai lavori del posto, già alle prese con le problematiche di carattere nazionale, che in Piemonte diventano ancora più critiche ed esasperate a causa della legge regionale dichiaratamente “espulsiva” dell'offerta di gioco legale. 

Secondo un'indagine condotta nel 2018 il 32,7 percento dei residenti in regione di età compresa tra i 18 e gli 84 anni, avrebbe giocato d'azzardo. Suscitando grande attenzione nella politica locale e notevole preoccupazione per il rischio di deriva patologica, che come noto rappresenta un rischio reale e concreto che caratterizza questo tipo di attività. Anche se nessuno, prima d'ora, si era mai preoccupato di provare a capire davvero cosa accade all'interno di questi locali e che tipo di giocatore si può individuare dietro a questi numeri. Ed è proprio quello che ha fatto l'antropologa Vinai, nel suo lavoro di ricerca, che ha portato alla stesura di un libro, presentato sulle colonne del quotidiano nazionale. Il risultato, è uno spaccato molto chiaro, preciso e completo della realtà del gioco pubblico italiano: fatto di persone che cercano intrattenimento, evasione, leggerezza. E qualche emozione. Tutte cose che, a quanto pare, riescono a trovare all'interno di questi locali. Per una normalità talmente banale, da riuscire a stupire. Soprattutto quelli che all'interno di questi ambienti non ci sono mai stati. Certo - va detto subito e a scanzo di ogni possibile equivoco – nel libro in questione non viene certo negato né sottovalutato il rischio o l'esistenza di comportamenti patologici e della possibilità di generare dipendenze: anzi, al contrario, nel lavoro di ricerca vengono evidenziati molti aspetti piuttosto interessanti relativi al rapporto tra uomo e macchina, al ruolo che giocano tante piccole e grandi componenti rispetto all'esperienza dei visitatori. Dalle musiche degli apparecchi a quelle degli ambienti, dai comfort ed optional delle sale messi a disposizione dei giocatori ai vari riti scaramantici o profetici a cui ricorrono molti utenti durante le loro frequentazioni. Tante piccole e grandi questioni, che dovrebbero essere alla base di ogni discussione e valutazione relativa a questo piccolo, grande mondo del gioco, così altamente vario e complesso. Invece, leggendo le considerazioni di questa antropologa, così altamente “coraggiosa” al punto di essersi spinta all'interno di luoghi così “pericolosi” come vengono spesso considerate le sale slot o gaming hall, stupisce la semplicità con cui vengono descritti e raccontati questi ambienti e queste persone: che appartengono sì a una società complessa, spesso superficiale e forse problematica, ma che rappresenta comunque la “nostra” normalità, alla quale appartiene – piaccia o no – anche il mondo del gioco. Come ogni altra forma di intrattenimento, di evasione o di ricerca della felicità. Proprio per questo il rischio che si corre sistematicamente nel trattare il gioco “di azzardo” come un fenomeno unicamente negativo, come una forma di deviazione e una specie di depravazione della società, è quello di creare una distorsione della realtà e un'alterazione che sfugge alla comprensione di quelle stesse persone che, al contrario, stanno semplicemente divertendosi con uno dei tanti giochi messi loro a disposizione dallo Stato. Portando a una ghettizzazione concettuale del gioco pubblico, che non porta ad alcun tipo di beneficio, e men che meno ad alcuna soluzione. E qui la ricetta fornita dalla Vinai è fin troppo concreta e razionale: “La chiave per gli operatori delle Asl è quella di collaborare con i gestori”, spiega nell'intervista concessa al Corriere. Suggerendo che tra i motivi che portano gli italiani a giocare è il desiderio di distrarsi dalla quotidianità, più che quello di vincere. Principio interessante e non certo nuovo per chi si occupa da tempo della materia, ma che dovrebbe essere approfondito e richiamato più spesso, al di fuori del comparto. Per riuscire a comprendere, una volta per tutte, che anche nei casi in cui il gioco può sfociare una dipendenza, forse quel problema è frutto di un altro disagio che in quell'ambiente ha solo trovato uno sfogo: quindi, se quell'ambiente venisse fatto sparire, di certo non si sarebbe estinto né curato quello stesso disagio, che troverebbe inevitabilmente altre declinazioni, altri sfoghi e altre conseguenze. Ma questo, forse, rappresenta già un passo in avanti nella trattazione della materia: per adesso siamo ancora fermi al primo passo, che è quello della comprensione del fenomeno. Lasciandoci stupire da questa straordinaria normalità che emerge dal racconto antropologico del gioco pubblico che abbiamo appena esaminato: che sarà pure scontato, per gli addetti lavori, ma non lo è affatto per il resto della popolazione. Giocatori esclusi, naturalmente.

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