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La crisi del gioco tra deregulation e iper-regolamentazione

19 aprile 2022 - 08:12

L'attuazione della precedente intesa tra Governo centrale ed Enti locali basterebbe a sminare i territori, scongiurando la scomparsa dell’offerta di Stato dai locali pubblici.

Scritto da Ac
La crisi del gioco tra deregulation e iper-regolamentazione

Si è appena chiusa la fiera Ice di Londra - l’evento di riferimento per l’industria globale del gaming - dove quest’anno, per via di varie e sfortunate situazioni sopraggiunte, il gioco terrestre è stato pressoché assente, in favore di quello online e delle tante nuove tecnologie, anche di frontiera, talvolta addirittura avulse dalla realtà del comparto.

Non è quindi un caso se, in apertura dell’evento, l’amministratore delegato della Gambling commission del Regno Unito, Andrew Rhodes, ha voluto concentrare l’attenzione sulle sfide in atto per i regolatori del gaming. Spiegando che, se da un lato la priorità assoluta continua ad essere quella di tutelare i consumatori dai possibili rischi di eccesso di gioco d’azzardo, aumentando i livelli di protezione oltre a massimizzare le attività di contrasto all’illegalità, dall’altro è emersa in maniera prepotente la necessità di fare qualcosa di fronte al dilagare di nuove offerte di consumo e “investimento” che vengono proposte ai cittadini, che non sarebbero classificabili all’intento dello spettro del gioco, pur rappresentando delle vere e proprie forme di azzardo.

Facendo riferimento al trading online, sempre più diffuso, ma anche alle criptovalute, agli Nft e alle varie forme di speculazione finanziaria legate a nuove tecnologie, sempre più diffuse e alla portata di tutti. Ma ancora prive di una regolamentazione specifica.
 
Tutto questo mentre gli operatori del gioco, al contrario, continuano a sentirsi spesso vessati da un eccesso di rigore, o comunque da una specie di persecuzione, enfatizzato da quel malcostume politico ormai presente in qualunque Paese, che vede gruppi di partiti o movimenti, spesso di matrice populista, scagliarsi contro il settore. Costringendo i legislatori a intervenire con norme sempre più severe o con restrizioni, anche quando non necessarie e spesso in modo spropositato.
Ecco quindi, ironia della sorte, che mentre il regolatore strigliava gli operatori verso un maggiore impegno su gioco responsabile e prevenzione, permettendo azioni ulteriori, nella stessa fiera si sentiva parlare in maniera sempre più prepotente di scambi di denaro virtuali, di transazioni in criptovalute e così via. Per una sorta di paradosso, che grida però vendetta. E lo sanno bene gli operatori italiani, per i quali i paradossi di questo tipo sono ormai all’ordine del giorno, da diversi anni.
Immersi nell’iper-regolamentazione che da sempre caratterizza il comparto del gioco pubblico, sfociato nella stratificazione normativa - che tutti conoscono - e nell’annosa questione territoriale, accompagnata dalla vera e propria deregulation che contraddistingue, invece, gli altri settori. Lo abbiamo già visto, in questi anni, dopo l’entrata in vigore del decreto Dignità che nel vietare ogni forma di pubblicità e promozione del gioco a vincita, ha spalancato le porte di stadi e squadre di calcio o altro sport al mondo del trading - prima - e delle criptovalute oggi: due mondi non ancora regolamentati e spesso addirittura al limite della legalità, che spopolano ormai sulle maglie di tanti club sportivi. Per una vera e propria beffa, alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti: anche di quelli che continuano a inveire contro il settore del gioco, dimenticando tutto quello che c’è attorno, palesemente fuori controllo.
 
Ma c’è dell’altro. Si perché, nel nostro Paese, il dibattito sulle altre forme di “azzardo” diverse dal gioco, non è ancora stato avviato. E, forse, neppure immaginato. Mentre l’intera filiera soccombe di fronte al persistere di varie norme locali e dell’insopportabile lassismo del legislatore, che nel continuare a promettere e invocare - attraverso il Governo - un attesissimo riordino, è finito col perdere anche l’ultima occasione possibile, essendo arrivati alla stesura semi-definitiva di una legge delega che sembra avere le carte in regola per sistemare ogni stortura normativa, ma quando non sembrano più esserci i tempi di attuazione, a meno di un anno ormai dalla fine della legislatura.
 
Sta di fatto, però, che di fronte alle ripetute esitazioni politiche sulla riforma del comparto, stavolta sottoposte a fin troppi alibi, tra lo spettro della guerra e l’onda ancora lunga della pandemia, una parziale soluzione per uscire dall’impasse sul territorio sembra essere comunque a portata di mano, se solo si volesse davvero intervenire: come suggeriamo sulle nostre pagine (cartacee e virtuali), ricordando alla politica l’esistenza, malgrado tutto, di una precedente intesa tra Governo centrale ed Enti locali che basterebbe a sminare i territori, quanto meno scongiurando la scomparsa dell’offerta di Stato dai locali pubblici.
 
Tutto questo mentre continuano a emergere situazioni di illegalità diffusa grazie al prezioso lavoro dell’Agenzia delle accise, dogane e e monopoli e delle forze dell’ordine, ormai in grado di smascherare un numero sempre più crescente e sofisticato di illeciti attuati sul campo: anche se rimane inevitabilmente difficile intervenire in maniera capillare sull’intera Penisola. Anche perché continuano a mancare pure degli strumenti normativi idonei per un’emersione completa, che solo attraverso la Riforma, o quanto meno mediate un intervento legislativo ad hoc, si potrebbero introdurre: per un ulteriore paradosso e un vero e proprio cul-de-sac dal quale non si riesce a uscire.
 
Finché non ci sarà una vera volontà di intervenire. Ed è proprio questa la cosa che prima di ogni altra continua a mancare. Almeno da noi.
 

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