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Quando la pratica supera la teoria, è ora di riscrivere i testi

26 aprile 2022 - 09:49

Il sistema normativo attuale che regolamenta il gioco pubblico non è più idoneo, come dimostrano i fatti sui territori: è dunque sempre più urgente e necessario (almeno) un riordino.

Scritto da Alessio Crisantemi
Quando la pratica supera la teoria, è ora di riscrivere i testi

Mentre il Legislatore attende, tergiversa, rimanda, il mercato deve fare da sé: adattandosi ai cambiamenti dei consumatori e alle nuove richieste ed esigenze, pur rimanendo all'interno dei perimetri pre-esistenti, anche se spesso troppo antichi, obsoleti, superati. Succede da sempre, soprattutto in Italia: con il diritto, in affanno, che rincorre l’evoluzione tecnologica. Ma se in alcuni casi la soluzione migliore passa per la pura e semplice auto-regolamentazione da parte dell'industria, in altri contesti, soprattutto nei più delicati come quello del gioco pubblico, accade che a inserirsi in questo processo sono altri soggetti e istituzioni, proponendosi come supplenti dello Stato centrale, per evitare derive. o talvolta anche solo per mostrare una propria operatività. In ogni caso, però, Regioni e Comuni hanno sempre agito in logica di piena (talvolta eccessiva) sussidiarietà, intervenendo cioè nello spazio lasciato vuoto o non ancora colmato dal governo o dal Parlamento. Fino ad arrogarsi però il diritto di dettare completamente le regole, arrivando addirittura a stravolgere anche i principi basilari dell'ordinamento italiano, introducendo anche nuove forme di regolamentazione e strumenti non previsti dallo stesso Legislatore. Come avvenuto nel caso del “distanziometro”, divenuto ormai elemento cardine di tutte le normative locali, pur essendo finito nell'occhio del ciclone a livello giurisprudenziale, quando assume un carattere espulsivo, praticamente abolizionista, creando un'alterazione della concorrenza e finendo con l'arrecare danni anche agli stessi consumatori che in realtà si proponeva di tutelare.
Ed è proprio questa la breve storia triste vissuta dal comparto del gioco pubblico italiano: neanche troppo breve, a dire il vero, visto che si protrae ormai da più di dieci anni, senza ancora arrivare a una vera soluzione. Non nella pratica, almeno. Nonostante i buoni propositi e le idee di riforma e riorganizzazione del comparto, più volte ascoltate dal governo, che per il momento sono rimaste soltanto parole, o poco più. In attesa di veder sfociare i primi lavori predisposti sulla carta in Consiglio dei Ministri o in Parlamento.
È evidente però che il legislatore, nel momento in cui rinunciava a intervenire sulla disciplina del comparto, lasciando di fatto carta bianca (o quasi) agli enti locali, non intendeva ammantare di novità le competenze tradizionali di quest'ultimi, in una diversa concezione della regolazione del mercato, ma era forse soltanto preoccupato di mantenere il consenso elettorale, evitando di intervenire su tematiche “scomode” e tutto sommato non urgenti, come potevano essere le esigenze di un comparto ad alto tasso di entrate erariali, ma a basso profilo (e non livello, si badi bene) istituzionale. Abituato cioè a lavorare sotto traccia, a braccetto con lo Stato, quale partner concessorio e quindi privilegiato, ma senza alzare la voce o reclamare chissà quale visibilità che invece vantano molte altre industrie. Nella convinzione generale, sia pure distorta, che chi propone gioco non abbia pari virtù di chi offre altri beni o servizi: come se ci fosse un rating delle esigenze o delle necessità della persona da utilizzare per catalogare le imprese: come purtroppo, invece, si è potuto ricavare, sia pure indirettamente, dalla normativa scaturita dalla prima fase di gestione della pandemia, quando la “non essenzialità” del gioco è stata messa per la prima volta nero su bianco. Anche se gli stessi principi, a quanto pare, non sono ritenuti valdi per altri settori tecnicamente non prioritari e comunque “a rischio” come quello degli alcolici o dei tabacchi: ma questa è un'altra storia (ma fino a un certo punto).
Sta di fatto però che oggi, dopo anni di lassismo (della politica) e rivendicazioni (degli operatori) si è arrivati a un punto di non ritorno, dove il mancato intervento del Legislatore impone agli altri soggetti (pubblici e privati) di rimediare ai propri errori da sé, provando ad adottare nuove soluzioni. Avviene con gli stessi enti locali e, in particolare, con le regioni, che dopo anni di “battaglie” senza quartiere nei confronti del gioco pubblico, si sono viste costrette – nella maggior parte dei casi – a deporre le armi e scendere a compromessi (legislativi) per rimediare ai danni creati dalle loro stesse norme, che attraverso meccanismi repressivi sono finite col mettere a rischio quel baluardo di legalità rappresentato dall'offerta di gioco di stato sul territorio.
Da qui il “revirement” di molti territori per salvare il salvabile ed evitare gli inevitabili squilibri e disagi causati (potenzialmente o concretamente, in base al livello di attuazione delle singole leggi locali) a imprese e cittadini di riferimento, che solo in alcuni casi non viene ancora praticato dagli amministratori regionali (Emilia Romagna e Lazio in testa, per ora), ma forse più per ostinazione o ideologia che per mancanza di necessità.
L’esperienza quotidiana ha ormai convinto anche i più scettici di essere dinanzi a una svolta epocale, accelerata fortemente anche dalla pandemia, di fronte alla quale non si può più rimanere ancorati alle vecchie convinzioni o ideologie, mentre di fuori il mondo avanza: i consumatori trovano nuove strade, anche alternative a quelle legali proposte dai legislatori, per intrattenersi o investire il proprio tempo e le proprie risorse e le imprese del comparto rischiano di soccombere, a causa dello Stato e delle istituzioni e non malgrado esse. Da qui il cambio di rotta, che però riguarda – di nuovo – soltanto la base e non ancora lo Stato centrale: divorato dalla quotidianeità e dalle interminabili emergenze che lo vedono continuare a rimandare quell'atteso riordino di cui oggi neppure si sente più parlare. A meno di un anno dal termine della legislatura corrente, che rende la Chimera sempre più sfuggente.
Forse è anche per questo che gli enti locali, da un lato, hanno iniziato a procedere spontaneamente alla revisione delle proprie leggi territoriali, mentre dall'altro la stessa industria ha iniziato a proporre degli spunti di autoregolamentazione che potrebbero rappresentare l'altra faccia della sussidiarietà (continuando a lavorare con i supplenti del legislatore). Un esempio concreto (e ben riuscito) lo abbiamo visto in questi giorni nel Lazio, dove le sigle che rappresentano il comparto sul territorio riunite in una “alleanza per la legalità”, hanno introdotto un nuovo format di locale pubblico, definito “Casa della legalità” pensato su misura del consumatore per una seria e concreta tutela dei cittadini e della salute pubblica anche attraverso nuovi strumenti di salvaguardia e accortezze superiori rispetto a quelle richieste dalle stesse leggi vitenti, sia nazionali che locali. Un percorso virtuoso che potrebbe rappresentare una via di uscita, almeno provvisoria, dalle varie impasse che continuano ad essere presenti su alcuni territori.
Tutto questo evidenzia dunque come, ancora una volta, è la pratica a superare le teoria, rendendo sempre più evidente (e urgente) l'intervento dello Stato con una riforma complessiva del sistema del gioco pubblico italiano, come viene messo in evidenza, peraltro, anche dal Consiglio di Stato, tornato a pronunciarsi sul distanziometro e sulle regole attuate in Emilia-Romagna. Renendo ancora più evidente come le richieste di maggiore libertà e responsabilizzazione da parte degli stessi operatori vadano coniugate con la nuova attenzione al mercato riscoperto nelle sue componenti meno tradizionali. Ciò comporta quindi l'avvio di un processo di revisione complessiva delle regole, nel quale ad un diverso e nuovo approccio di tipo culturale - una nuova teoria del diritto amministrativo - si dovrà affiancare la capacità di mettere in atto modalità di erogazione dei servizi di regolazione particolarmente innovative, magari pure una diversa prassi dell'agire amministrativo. Come è già emerso in vari dibattiti, non soltanto su sollecitazione del regolatore, ma anche da parte di vari tribunali e istituzioni. Insomma, una cosa sola è certa: è arrivato il momento di agire e di fronte al gioco, lo Stato non può più rimanere a guardare, limitandosi a incassare.

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