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Il cammino delle imprese nell’inferno del gioco pubblico

08 agosto 2022 - 07:44

Forse neppure un maestro come Dante, che pure di politica ne masticava, riuscirebbe a descrivere la mala realtà del gioco pubblico italiano.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il cammino delle imprese nell’inferno del gioco pubblico

 

Lasciate ogni speranza o voi che entrate. E ciò che andrebbe detto, scomodando il Sommo Poeta, a tutti quegli imprenditori che decidono, ogni volta, di entrare nel mercato del gioco pubblico italiano. Ma anche - e, forse, soprattutto - a tutte quelle imprese internazionali, di piccola o media entità ma vale anche per i veri colossi, che intendano ampliare il proprio raggio di azione iniziando a operare in Italia. Se pensate che le incertezze e l’instabilità del momento siano un fatto provvisorio e che presto arriveranno stabilità e certezze, sappiate che vi sbagliate di grosso. Non si tratta di una lettura pessimista o di una forzatura, ma della semplice realtà dei fatti.

È la storia recente a parlare, che vede un comparto in attesa di un Riordino, ovvero una riforma generale, da ormai quasi dieci anni e che invoca un Testo unico e una semplificazione normativa già da quindici. Senza mai ottenere nulla, se non qualche mera promessa. Ma sempre, sistematicamente, smentita. O malamente tradita. Che si tratti di una questione di priorità piuttosto che di una totale mancanza di attenzione, come è avvenuto nel passato, oppure soltanto di una mancanza oggettiva di tempo prima di veder saltare il banco dell’esecutivo, come è accaduto questa volta, il risultato non cambia.

E la musica che continua a suonare è sempre la stessa, da fin troppo tempo. Con qualche intervallo più o meno breve, o qualche assolo del Legislatore che, di tanto in tanto, prova a mettere qualche toppa qua e là, quando non aumenta le tasse, sempre se non si incappa in qualche esecutivo di stampo proibizionista che ci mette ancor più del suo, magari andando in fuga veloce - proseguendo com la metafora - aggiungendo qualche restrizione in più. Anche di fronte alla palese inconsistenza, incoerenza e insostenibilità, come nel caso del divieto di pubblicità imposto dal governo Conte 1 con il decreto Dignità.

In tutti i casi, comunque, di una vera riforma, neanche a parlarne. Finendo sistematicamente col dover attuare delle proroghe delle attuali concessioni, di fronte all’impossibilità (colpevole) di poter bandire delle gare. In barba a ogni principio di concorrenza, di libero mercato e di dottrina comunitaria.

Se chi vuole investire in Italia, come ben sappiamo, è già di per sè disposto ad accettare quel rischio intrinsecò dovuto all’instabilità del contesto e - diciamolo pure - all’inaffidabilità del Legislatore (e ciò vale per qualunque mercato), nessuno potrebbe tuttavia immaginare che uno Stato comunque importante come il nostro possa adottare un approccio completamente lassista, per non dire addirittura menefreghista, di fronte a un mercato così prezioso in termini economici ma anche delicato ed via di tutti gli interessi che disciplina e coinvolge: da quelli sanitari a quelli della sicurezza più in generale, passando per la tutela dell’ordine pubblico e della legalità, di fronte al rischio così evidente di infiltrazioni criminali che continua a rappresentare il vero cancro di questo Paese, e non di questo settore.

Un’industria così complessa e delicata dovrebbe, semmai, ricevere cure doppie da parte di uno Stato che ha pure la pretesa di distinguersi tra i grandi dell’Occidente e che parla di sviluppo, di tecnologia e di futuro.
Invece, per quanto assurdo possa apparire - almeno all’esterno - nessuno se ne preoccupa è, anzi, nessuno sembra (voler) vedere le varie storture e criticità che affliggono da tempo il sistema del gioco legale e che rischiano di portarne alla paralisi, come stava per accadere con la “questione territoriale” e come sta comunque accadendo, a causa di essa, ancora oggi su alcuni territori, dall’Emilia Romagna al Trentino.

Per questo dovremmo avvertirli, quegli imprenditori o quelle imprese che staranno ancora pensando di entrare sul nostro mercato: spiegandogli che possono farlo senz’altro, ma senza nutrire troppe illusioni. Anzi, accantonando del tutto ogni speranza di veder arrivare una riforma degna di tale nome, che possa rimettere in sesto il mercato e renderlo quanti meno alla pari di altre industrie. Al contrario, semmai, se proprio dovessero decidere di entrare sul mercato, dovrebbero farlo nonostante tutto: senza guardare alle vicende politiche, alle proposte o ipotesi di riforma o intervento. Come se Governo e Parlamento neppure ci fossero. E a quell’imprenditore o manager più temerario, dovremmo quindi dire: non ti curar di loro, ma guarda e passa. Nel frattempo, cerca di lavorare serenamente. Ammesso che sia possibile farlo.

 

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