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Gratta e Vinci falsi: la buona fede non esime dall’applicazione dell’imposta

04 luglio 2014 - 09:14

È legittima la determinazione delle imposte dovute per la rivendita di biglietti 'Gratta e Vinci' falsi anche quando sussista la buona fede del contribuente che, non essendo a conoscenza della truffa, abbia corrisposto unicamente l'aggio a favore del Monopolio. È quanto sostenuto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con la sentenza n. 1685/06/14.

Scritto da Redazione GiocoNews
Gratta e Vinci falsi: la buona fede non esime dall’applicazione dell’imposta

 

"La controversia - rende noto il consulente fiscale As.Tro Marco Minoccheri - nasce da un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate ai fini IVA, IRAP e imposte dirette per l'anno 2006, basato sul PVC redatto dalla Guardia di Finanza con cui si recuperavano a tassazione gli introiti derivanti dalla vendita di biglietti 'Gratta e Vinci' non emessi dai Monopoli di Stato, con la conseguenza che non si poteva indicare il solo aggio ma si era tenuti all'emissione di scontrino fiscale".


CTP SONDRIO RESPINGE RICORSO - La società contribuente ha chiesto alla CTP di Sondrio l’annullamento di tale atto impositivo deducendone l’illegittimità, poiché con esso si accertavano maggiori ricavi sulla base del recupero a tassazione della vendita di biglietti 'Gratta e Vinci' in sostanza falsi (essendo abbinati a concorso premi non rientranti tra quelli gestiti dal Monopolio di Stato), senza tener conto né della buona fede del rivenditore - che non sapeva della falsità dei tagliandi - né dell'applicabilità del principio del legittimo affidamento. Irrilevante la buona fede. Ebbene, la CTP di Sondrio ha respinto il ricorso della società con sentenza poi confermata dalla CTR della Lombardia, la quale ha condiviso le argomentazioni del giudice di prime cure, con particolare riguardo alla buona fede del ricorrente.  


BUONA FEDE NON BASTA - A tal proposito la CTR ha concordato con la CTP sul fatto che la buona fede non può essere posta come possibile esimente dell'applicabilità della normativa fiscale, né si può invocare il principio del legittimo affidamento di cui all'articolo 10 comma 2 dello Statuto del contribuente, in quanto in un caso come quello di specie non si è trattato di un’adesione a indicazioni - poi cambiate - contenute in atti dell'Amministrazione Finanziaria.
In conclusione, presso i giudici tributari meneghini è passata la tesi della resistente Agenzia delle Entrate, che non ha mai messo in discussione la buona fede del contribuente perché la normativa invocata riguarda le sole sanzioni e gli interessi di mora, ma non esime dal pagamento dell’imposta.

 

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