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Gestione Superenalotto, Cds: 'Consentita monoconcessione'

11 giugno 2018 - 15:14

Il Consiglio di Stato fornisce il suo parere sulla procedura di gara per l’affidamento in concessione della gestione del Superenalotto.

Scritto da Fm
Gestione Superenalotto, Cds: 'Consentita monoconcessione'

 


È stato pubblicato l'atteso parere del Consiglio di Stato - chiesto dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli - sulla procedura di gara per l’affidamento in concessione della gestione del Superenalotto, nonché dei giochi complementari e opzionali e delle relative forme di partecipazione a distanza, previsto entro il 2018.

 

LA MONOCONCESSIONE PER LA GESTIONE - Nel lungo parere, i giudici hanno espresso una serie di considerazioni, a cominciare dalla scelta della monoconcessione
per la gestione. "Essa è senz’altro consentita, e anzi sembra essere addirittura imposta dall’art. 1 comma 576 della l. 232/2016 cit., il quale richiede che “la gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale, dei giochi complementari e opzionali e delle relative forme di partecipazione a distanza, nonché di ogni ulteriore gioco numerico basato su un unico totalizzatore a livello nazionale” sia affidata in concessione “a una qualificata impresa”. La stessa è del resto in linea con le esigenze organizzative proprie della gestione centralizzata del gioco che caratterizzano il “superenalotto”. Tuttavia non può non segnalarsi che per la diversa ipotesi del lotto (gioco numerico a quota fissa) pende dinanzi alla Corte di Giustizia la Causa C-375/17 Stanley International Betting e Stanleybet Malta (udienza calendarizzata al 6 giugno 2018) su questione pregiudiziale rimessa dal Consiglio di Stato (ord. 2808/2017) avente ad oggetto (tra gli altri) il seguente quesito: 'Se il diritto dell’Unione – e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza – debba essere interpretato nel senso che osta ad una disciplina come quella posta dall’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 e dai relativi atti attuativi, che prevede un modello di concessionario monoproviding esclusivo in relazione al servizio del gioco del Lotto …'”.
 

LO SCHEMA DI CONVENZIONE - "L’articolo 16 dello schema di convenzione prevede gli impegni del concessionario relativamente alla gestione del servizio dei giochi, al fine di garantire la regolare raccolta del gioco stesso attraverso la rete distributiva, sia fisica sia a distanza, secondo i livelli di servizio previsti dal capitolato tecnico. È previsto che la sospensione non autorizzata della raccolta, nonché il mancato rispetto degli impegni assunti in sede di gara, determina, ove non costituenti ipotesi di decadenza o di revoca, l’applicazione di penali. La norma convenzionale prevede anche l’impegno del concessionario all’aggiornamento tecnologico del sistema della rete telematica e dei terminali di gioco secondo standard qualitativi che garantiscono la massima sicurezza ed affidabilità, secondo il piano di investimento indicato nell’offerta tecnica", evidenziano i giudici.
"La stessa costituisce svolgimento di una delle condizioni essenziali previste dalla legge (lett g: obbligo di aggiornamento tecnologico del sistema della rete e dei terminali di gioco secondo standard qualitativi che garantiscano la massima sicurezza e affidabilità, secondo il piano d'investimento che costituisce parte dell'offerta tecnica) da questa presidiata attraverso la specifica l’obbligazione sostitutiva del 'versamento annuale all'erario delle somme comunque eventualmente non investite secondo il piano' (lett. h).
In relazione a tale specifico aspetto, lo schema di convenzione, oltre a richiamare l’obbligo del predetto versamento, introduce un’obbligazione ulteriore in capo al concessionario, non espressamente contemplata dall’articolo 1, comma 576, della legge l. 232/2016, e segnatamente quella di effettuare comunque l’investimento non realizzato nell’esercizio successivo (art. 16, comma 4, lett. b).
L’Amministrazione, nella sua relazione, ritiene di poter ricavare la base di un siffatto obbligo nel particolare rilievo che l’art. 1 cit. attribuisce all’aggiornamento tecnologico del sistema della rete. 'In caso contrario” – osserva la medesima - ove cioè la mancata effettuazione dell’investimento comportasse solo il versamento all’erario delle somme non investite, “verrebbe di fatto vanificato l’obbligo dell’aggiornamento tecnologico, elemento dell’offerta economicamente più vantaggiosa'.
Sul punto la Sezione manifesta alcune perplessità. Le disposizioni di legge di cui alla lettera g) (obbligo di aggiornamento tecnologico) e lett. h) (versamento annuale delle somme non investite), lungi dal rappresentare un’obbligazione facoltativa, ovvero una penale di importo pari all’investimento inattuato, operano sul diverso piano dell’effettività degli impegni promessi dall’aspirante concessionario in termini finanziari, nell’ambito di una competizione - come quella di specie - che ad essi assegna uno specifico e significativo punteggio.
Il versamento annuale delle somme 'eventualmente' non investite costituisce cioè, nell’intenzione del legislatore, il riflesso di una prestazione, alla quale, giuste le previsioni della lex di gara, il concessionario si è vincolato, non solo nell’an, ma anche nel quantum offerto. In altri termini, il legislatore impone l’aggiornamento tecnologico secondo quanto previsto dall’offerta tecnica, ma vincola altresì il concessionario ad impiegare tutte le somme secondo quanto dichiarato nel piano di investimenti, di modo che, se per ragioni sopravvenute (ad es. decrescita del costo del software o dell’HW) o per ragioni originarie (sovrastima dei costi) esse dovessero risultare in concreto sovrabbondanti, ciò non abbia a ridondare in profitto per il concessionario (le somme infatti in tal caso devono comunque essere versate all’Erario).
Questione diversa è la mancata effettuazione dell’aggiornamento tecnologico cui il concessionario si è impegnato. In questo caso trattasi di inadempimento contrattuale che ben può essere presidiato da penali ex art. 1382 c.c. e da misure esiziali quali la decadenza dalla concessione.
E, in effetti, lo schema di convenzione prevede una penale pari all’importo dell’investimento inadempiuto, cui si aggiunge, nel caso di inadempimento che supera la soglia del 30 percento degli investimenti previsti, l’applicazione di una ulteriore penale consistente nella riduzione dell’aggio in misura pari alla percentuale di investimenti non effettuati, a decorrere dall’anno successivo e fino a quando gli investimenti non saranno completati.
La Sezione non ha elementi per valutare se la sommatoria delle penali così concepite possa condurre a somme manifestamente eccessive, ex art. 1384 c.c. Sul punto si tenga in ogni caso conto che se l’obbligazione principale permane, come sembra pretendere l’amministrazione, la penale può avere ad oggetto il solo ritardo, giusta la specifica limitazione di cui all’art. 1383 c.c. Essa dovrebbe dunque essere parametrata in relazione al tempo trascorso rispetto al termine pattuito di esecuzione della prestazione, e quantificata ad un livello tale da disincentivare i ritardi. In tale chiave di lettura appare poco razionale quantificare l’inadempimento per il ritardo in un somma 'secca' (pari all’importo dell’investimento mancato) slegata dal fattore temporale". Lo schema di convenzione deve "prevedere, in forza del disposto di legge citato, il versamento annuale all’erario delle somme preventivate nel piano degli investimenti e poi non spese, a prescindere da ogni considerazione legata all’adempimento dell’obbligazione di aggiornamento tecnologico dei sistemi; può altresì prevedere, ove l’Amministrazione ritenga l’adempimento indefettibile per gli interessi pubblici dei quali è portatrice, penali per il ritardo nell’adempimento, parametrate al tempo e alla gravità dell’inadempimento; rimane infine impregiudicata la possibilità di stabilire una penale per l’inadempimento definitivo e la conseguente decadenza, nell’ipotesi in cui esso per tempo e gravità risulti intollerabile".
 
 
LA DISCIPLINA DELLA DECADENZA - Ulteriori perplessità per il Consiglio di Stato "concernono la disciplina della decadenza dettata dall’art. 30 dello schema di convenzione. Tale ultima disposizione - oltre a richiamare, quali cause di decadenza, quelle che identificano altrettante cause di esclusione dalle gare ex art. 80 del codice dei contratti pubblici - contiene una clausola residuale che riserva al concedente il potere di dichiarare la decadenza per “ogni ipotesi di reato per il quale sia stato disposto il rinvio a giudizio e che Adm, in ragione della sua natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione, valuti tale da far escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario, ovvero quando ricorrano le ipotesi di cui all’art. 24, comma 25 del DL 6 luglio 2011, n. 98…”.
Ritiene la Sezione che, avuto riguardo alla natura esiziale e gravemente pregiudizievole per gli interessi e l’immagine del concessionario del provvedimento di decadenza, il riferimento al mero 'rinvio a giudizio', ossia a un atto del processo penale che non contiene ancora alcuna accertamento di reità, possa essere giustificato solo in presenza di una fonte di carattere primario che, in considerazione della peculiarità e delicatezza del settore, preveda le specifiche deroghe al generale principio, fatto proprio dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici, per il quale è sempre necessario un accertamento penale passato in giudicato. Nel caso di specie la disposizione di legge esiste ed è quella richiamata dallo stesso art. 30 cit., ossia l’art. 24, comma 25 del DL 6 luglio 2011, n. 9. Essa testualmente prevede che '25. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, non può partecipare a gare o a procedure ad evidenza pubblica né ottenere il rilascio o rinnovo o il mantenimento di concessioni in materia di giochi pubblici il soggetto il cui titolare o il rappresentante legale o negoziale ovvero il direttore generale o il soggetto responsabile di sede secondaria o di stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, ovvero imputato, per uno dei delitti previsti dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 e dagli articoli 314, 316, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 321, 322, 323, 416, 416-bis, 644, 648, 648-bis e 648-ter del codice penale ovvero, se commesso all'estero, per un delitto di criminalità organizzata o di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. Il medesimo divieto si applica anche al soggetto partecipato, anche indirettamente, in misura superiore al 2 per cento del capitale o patrimonio da persone fisiche che risultino condannate, anche con sentenza non definitiva, ovvero imputate, per uno dei predetti delitti. Il divieto di partecipazione a gare o di rilascio o rinnovo o mantenimento delle concessioni di cui ai periodi precedenti opera anche nel caso in cui la condanna, ovvero l'imputazione o la condizione di indagato sia riferita al coniuge non separato'.
Orbene, ritiene la Sezione che non sia possibile dilatare le ipotesi decadenziali oltre quanto già in via eccezionale previsto per legge".
 

I RAPPORTI NEGOZIALI - Ulteriori perplessità, ancora, "derivano dal mancato recepimento, nello schema in commento, della prescrizione di cui alla lett e) dell’art. 1 cit. 'espressa previsione, negli atti di gara, delle pratiche o dei rapporti negoziali consentiti ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73'.
La disposizione richiamata prevede che '2. Per garantire il pieno rispetto dei principi comunitari sulla concorrenza in materia di concessioni pubbliche statali generatrici di entrate erariali, si considerano lesivi di tali principi, e conseguentemente vietati, ogni pratica ovvero rapporto negoziale di natura commerciale con soggetti terzi non precedentemente previsti in forma espressa e regolati negli atti di gara; ogni diverso provvedimento di assenso amministrativo di tali pratiche e rapporti, anche se già adottato, è nullo e le somme percepite dai concessionari sono versate all'amministrazione statale concedente. Le amministrazioni statali concedenti, attraverso adeguamenti convenzionali ovvero l'adozione di carte dei servizi, ivi incluse quelle relative alle reti fisiche di raccolta del gioco, assicurano l'effettività di clausole idonee a garantire l'introduzione di sanzioni patrimoniali, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e non automaticità, a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, anche a titolo di colpa, la graduazione di tali sanzioni in funzione della gravità dell'inadempimento, nonché riduzione di meccanismi tesi alla migliore realizzazione del principio di effettività della clausola di decadenza dalla concessione, oltre che di maggiore efficienza, efficacia ed economicità del relativo procedimento nel rispetto del principio di partecipazione e del contraddittorio'.
Sul punto merita considerazione quanto osservato dalla Federazione Italiana Tabaccai nel proprio contributo partecipativo, datato 23 aprile 2018 e pervenuto alla Sezione. L’unica disposizione contenuta in proposito, nello schema oggetto d’esame, si rinviene nell’art. 20, comma 2 lett. g). Essa tuttavia si limita ad imporre la trasmissione ad Adm del contratto tipo da stipularsi con il punto di vendita fisico, e a prescrivere che 'il contratto tipo di cui sopra, potrà prevedere la prestazione di servizi ulteriori e/o aggiuntivi rispetto a quelli tipici oggetto della concessione, previa autorizzazione di Adm e purché gli stessi siano compatibili con i livelli di servizi richiesti'.
Orbene, non sembra trattarsi di previsione sufficiente a prevenire contestazioni di nullità ai sensi del richiamato articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (si veda anche la recente pronunzia del Trib. di Milano sez. impresa n. 11767/2017). La ratio dell’intervento legislativo risiede nella garanzia dell’effettività del principio di concorrenza e di concorsualità delle procedure di evidenza pubblica, e punta ad evitare che i ribassi di gara sui quali gli aspiranti concessionari competono, siano in realtà effettuati con la riserva mentale della successiva compensazione riveniente dalle pratiche commerciali con i terzi che il concessionario è in grado di imporre grazie alla posizione monopolistica conseguita in forza dell’aggiudicazione. In tale ottica è evidente che le pratiche commerciali consentite devono essere previamente esplicitate negli atti di gara sì da renderle trasparenti e conoscibili a tutti gli offerenti. L’autorizzazione postuma, prevista dall’art. 20 comma 2 lett. g) è quindi al riguardo priva di utilità, oltre che a rischio di nullità ai sensi della disposizione citata".
 

IL CAPITOLATO D'ONERI - Quanto, infine, "al capitolato d’oneri e alla procedura di gara ivi disciplinata, la Sezione ritiene, con specifico riferimento al criterio di aggiudicazione, fissato dalla legge nell’offerta economicamente più vantaggiosa, condivisibile la scelta dell’amministrazione di modificare il rapporto ponderale delle componenti qualità/prezzo, da 65/35 (usato nella procedura di selezione del 2007) a 45/55, sulla base della considerazione che trattasi di attività da tempo esercitata dallo Stato in regime di concessione, in cui il concessionario erediterà una rete di vendita e tecnologica già costituita e operante. Il quantum di entrate procurare all’Erario è stato dunque correttamente considerato prevalente in termini di punteggio, in ogni caso salvaguardando la qualità attraverso la fissazione di una soglia minima di sbarramento dell’offerta tecnica a 23 punti. Ragionevole è infine il meccanismo di valutazione dell’offerta economica in cui i due parametri (aggio e canone una tantum) sono stati uniti attraverso il criterio del loro gettito complessivo per l’Erario: in sintesi il punteggio massimo di 55 è attribuito al maggior incremento erariale dato dalla somma del rialzo offerto rispetto al canone base (cento milioni di euro) e dell’importo del ribasso sull’aggio calcola sulla raccolta stimata dall’amministrazione e resa nota nel capitolato d’oneri. Valuti piuttosto l’amministrazione se la formula per l’assegnazione del punteggio (per la quale 'alle altre offerte si attribuisce un punteggio, con troncamento al secondo decimale, calcolato applicando il moltiplicatore 50 al rapporto tra il valore di incremento erariale risultante dall’offerta del candidato e il valore di incremento erariale più alto' par. 18.2 del capitolato d’oneri) sia sufficientemente calibrata in modo da preservare sempre il rapporto ponderale previsto, tenendo in debito conto che più il moltiplicatore si allontana per diminuzione da 55 è più si svaluta il peso della componente prezzo nella valutazione ponderata delle altre offerte (o diversamente detto, più è basso il moltiplicatore più diventa premiante la componente prezzo per la miglior offerta economica)".
 
 
Ora spetta ai Monopoli di Stato valutare il parere e decidere se apportare modifiche o meno.
 
 

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