skin

Multa da 335 milioni di euro per Bplus, in Cassazione il ricorso contro la sentenza

27 marzo 2015 - 11:09

Come annunciato nei giorni scorsi, il concessionario Bplus, assistito dal professore Stefano Vinti e dagli avvocati Andrea Scuderi e Carmelo Barreca, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione per chiedere l’annullamento della sentenza della Corte dei Conti  del 6 febbraio scorso, che ha condannato la società al pagamento di una maximulta di 335 milioni di euro per i disservizi nel collegamento delle slot machine dal 2004 al 2007.

Scritto da Amr
Multa da 335 milioni di euro per Bplus, in Cassazione il ricorso contro la sentenza

 

LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO

IL DIFETTO DI GIURISDIZIONE – Nel ricorso, i legali evidenziano come “l’odierna vicenda esulava dalla giurisdizione della Corte dei Conti, per svariate e concorrenti ragioni correlate, oltrecchè allo stravolgimento degli ambiti di intervento giurisdizionale fissati da codesta Corte con l’ordinanza numero 25499/09, anche alle numerose e gravi ‘distorsioni dei principi sovranazionali, comunitari e costituzionali compiute in violazione delle regole del ‘giusto processo’.

Si contesta inoltre l’eccesso di potere giurisdizionale per violazione del principio del ne bis in idem anche in relazione all’articolo 4 prot. 7 Cedu nonché all’articolo 50 della Carta di Nizza.

Nel ricorso presentato alla Corte di Cassazione, Bplus insiste anche sul carattere amministrativo della questione, e dunque sullo sconfinamento della Corte dei Conti in una vicenda che non era di sua competenza. La società ritiene errata l’interpretazione della Corte, che "non distingue tra obblighi contrattuali, il cui accertamento è demandato al Giudice Amministrativo, e obblighi di servizio pubblico derivanti da disposizioni normative di altra natura". Il caso del mancato collegamento alla rete Sogei è, secondo i legali, di natura prettamente amministrativa poiché riguarda inadempienze su obblighi della convenzione stipulata tra i Monopoli e i concessionari. Sulla stessa questione il Consiglio di Stato si era espresso a favore della società ed è questo un altro punto critico secondo Bplus.

Il ricorso evidenzia che “il procedimento inerente l’applicazione di sanzioni contrattuali per svariati milioni di euro e il correlato giudizio svoltosi innanzi al Tar e poi al Consiglio di Stato assume natura sostanziale di procedimento ‘penale’” e che “il successivo giudizio presso la Corte dei Conti conclusosi con la sentenza qui impugnata presenta anch’esso natura repressiva e sanzionatoria che, anche in relazione all’entità della condanna, gli attribuisce allo stesso modo natura di procedimento ‘penale’”.

 

LA PROPORZIONALITA' DELLA SANZIONE - Secondo il ricorso, inoltre, “risulta evidente la violazione dei principi di proporzionalità” e si evidenzia che “l’ipotetico danno da disservizio liquidato dalla sentenza impugnata sfugge da alcun criterio di proporzionalità con il valore delle prestazioni stabilite dalla convenzione di concessione, essendo evidente che a fronte di un ricavo lordo di circa 80 milioni di euro nei periodo in cui si riferiscono i fatti (…) che va ridotto al 40 percento (…) e quindi a fronte di un ricavo lordo di circa 32 milioni di euro (…) Bplus si è ritrovata a dover subire una imprevedibile condanna di 335 milioni di euro, ossia una cifra pari a più di dieci volte, ossia di una cifra pari a più di dieci volte il ricavato netto globale! Con la conseguenza che il danno non è sopportabile né ristorabile in alcun modo, e produrrà solo il fallimento della società”.

Quella comminata è dunque una “sanzione eccessiva, in aperta violazione del principio di proporzionalità, con la quale "l’erario raddoppia i suoi incassi e percepisce un risultato ’leonino’ che non avrebbe mai potuto percepire".

Si contesta dunque la sanzione calcolata dai giudici contabili, ritenuta eccessiva rispetto ai vantaggi che l’Erario avrebbe ricevuto grazie all’attività dei concessionari e dunque anche di Bplus: nel corso del periodo in esame, sottolineano i legali, la società ha "fornito la prova dell’avvenuto versamento di circa 1,2 miliardi di euro a titolo di Preu e di canone di concessione", il che significherebbe non solo che non c’è stato nessun esborso pubblico, ma anche che il presunto illecito "ha provocato un incremento patrimoniale che, altrimenti, non vi sarebbe stato in nessun modo". Ciò che dalla Corte dei Conti viene definito disservizio (il mancato collegamento) era - secondo Bplus - una prestazione accessoria prevista della convenzione di concessione, "nulla a che vedere con la prestazione convenzionale principale, che richiedeva invece che fosse il concessionario a estrarre telematicamente i dati di gioco degli apparecchio per trasmetterli poi sempre telematicamente al sistema centrale di Aams". La diffusione di un sistema di gioco certificato, che garantiva i giocatori e assicurava entrate erariali "rappresenta certamente un’utilità ben maggiore del presunto danno da disservizio, ritenuto tale solo perché alcuni strumenti di controllo ’a campione’ sono stati inizialmente ostacolati dalla complessità tecnica in cui si è trovato a operare il concessionario".

 

Articoli correlati