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Tar Friuli: Stanleybet non può operare senza concessione anche in seguito alla 'Costa-Cifone'

17 dicembre 2012 - 15:25

“Per esercitare in Italia l’attività di scommesse è necessario possedere sia la concessione sia l’autorizzazione”. E' il caposaldo dell'ordinamento italiano in materia di giochi e scommesse che viene ribadito dai giudici della prima sezione del Tar Friuli chiamato ad esprimersi in merito a un ricordo presentato dal 'solito' Stanleybet.

Scritto da Vincenzo Giacometti

In pratica, si evince dalla pronuncia, che i riflessi della sentenza "Costa Cifone" del 16 febbraio 2012 e delle successive pronunce della Corte di Cassazione penale sulla legittimità del regime concessorio (e autorizzatorio) in materia di scommesse non consentono comunque a Stanleybet di operare la raccolta di scommesse in quanto priva di una regolare concessione.

Ciò emerge dalla pronuncia dello scorso 30 novembre del tribunale friulano che ha respinto un ricorso presentato dal bookmaker inglese il quale aveva impugnato il provvedimento del Questore di Udine con cui veniva respinta la richiesta di un'autorizzazione per l'apertura di una “agenzia” (o, meglio, di una “filiale di intermediazione ai fini della raccolta e trasmissione dati inerenti proposte negoziali di giocate relative ad eventi sportivi”).

Il ricorrente, in particolare, era il gestore di un centro Stanley che spiegava negli atti di aver stipulato con una ditta di nazionalità maltese (La “Stanleybet Malta”, a sua volta emanazione di una società inglese la Stanley) un contratto d’intermediazione per conto della stessa nel settore di scommesse su manifestazioni sportive.


I provvedimenti di diniego sono stati adottati dal Questore sul presupposto che l'articolo 88 del Tulps consentirebbe il rilascio delle licenze solamente a soggetti già autorizzati tramite concessione dai ministeri; dal momento che la società maltese di cui l’odierno ricorrente è solo agente intermediario non possiede detta concessione, ciò impedirebbe il rilascio dell'autorizzazione di polizia.


Ma i legali di Stanley spiegavano nel ricorso che “una copiosa giurisprudenza” farebbe dedurre “come primo motivo di ricorso la violazione di vari articoli della costituzione, del trattato europeo, della legge 773 del 1931, della legge 73 del 2010, della legge 401 dell'89 nel testo attualmente in vigore e difetto di motivazione”. Illustrando inoltre l'evolversi della giurisprudenza italiana e comunitaria che darebbe ragione alla sua posizione.


Rilevando in particolare la “non necessità di una concessione italiana da parte di un operatore comunitario autorizzato nel Paese di origine”, chiedendo al Tribunale, tra le altre cose, di disapplicare detto art. 88, così come interpretato nel provvedimento qui gravato, alla luce dei principi comunitari.

I giudici friulani, tuttavia, hanno prima di tutto precisato che, “a parte le eventuali questioni di costituzionalità della norma citata”, sulla base di noti principi riguardanti la giurisdizione e la competenza, la controversia in oggetto “rimane radicata presso l'organo giudiziario competente al momento della domanda e quindi presso questo Tribunale amministrativo”. Ciò premesso, hanno stabilito che “il diniego del Questore risulta motivato con la mancanza in capo al richiedente (nonché alla Stanley di cui egli si dichiara mero intermediario) della titolarità di una concessione ministeriale e della conseguente licenza di polizia; in sostanza, per poter esercitare l’attività di scommesse, anche se in via d’intermediazione rispetto a una società comunitaria, nel caso la Stanley di Malta, sarebbe necessario, ad avviso della Questura, essere in possesso sia del titolo concessorio (Monopoli di Stato) sia di quello autorizzatorio (Questura)”. In altri termini, la carenza di una concessione rilasciata dai Monopoli di Stato alla Stanley impedisce il rilascio dell’autorizzazione di polizia alla parte richiedente, sulla base dell’art 88 del Tulps.


Il collegio, nell'esaminare la complessa questione, “non ignora certo l’evolversi della giurisprudenza nazionale ed europea in materia, rilevando in via preliminare come essa non sia affatto univoca nelle sue conclusioni, né tantomeno tutta favorevole alle tesi di parte ricorrente. In sostanza, per esercitare in Italia l’attività di scommesse è necessario possedere sia la concessione sia l’autorizzazione”.


In estrema sintesi: “la normativa italiana con il sistema concessioni - autorizzazioni risulta conforme al trattato europeo, in quanto finalizzata alla lotta alla delinquenza e quindi rientrante nelle deroghe consentite ai principi di libera circolazione e di non discriminazione. La proporzionalità poi tra norme e finalità di ordine pubbliche appare garantita, alla luce dei canoni europei, anche nella fase applicativa. L’autorizzazione di polizia infine è stata legittimamente negata alla parte ricorrente, per mancanza di una concessione a monte rilasciata dallo Stato italiano alla ditta straniera di riferimento, non essendo possibile in una materia sottratta agli obblighi di armonizzazione accettare l’equivalenza di concessioni rilasciate da altri Paesi comunitari”.

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