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As.Tro: “Crollano i consumi e il gioco lecito è in linea col Paese”

11 settembre 2012 - 09:35

“E’ finita un’era, quella della spesa di gioco che prescinde, a livello nazionale, dalle condizioni economiche della ‘massa’ (terminologia che oggi viene ‘ripescata’ dopo 20 anni di ibernazione). E’ finita l’epoca in cui (anni 2008, 2009, 2010), il gioco lecito si impone sull’economia nazionale come unica realtà in crescita rispetto al panorama industriale italiano. Tutti sono improvvisamente in allarme, posto che i dati, già non esaltanti, del 2011 registrano, nel 2012, la piena collocazione del gioco lecito all’interno della curva discendente che connota l’economia nazionale.

Scritto da Redazione GiocoNews

I dati estivi della raccolta non escono ma oramai è il bollettino ufficiale delle entrate tributarie a fotografare lo stato dei fatti”. È quanto afferma l’associazione degli operatori del gioco lecito, Astro, che fa una panoramica di come il gioco stia cambiando, anche alla luce delle mutazioni del Paese.

“In realtà la spiegazione è un’altra, e risiede nella natura dell’industria del gioco.

Attraverso il gioco, infatti, non si crea ricchezza, ma la si sposta, così come accade per tutti i servizi al dettaglio che hanno la prossimità immediata come sbocco e la totalità della popolazione come bacino di clientela. Per tali ‘servizi’ e a maggior ragione per quelli che garantiscono una percentuale di retrocessione della spesa, la crisi non si avverte ‘tutta e subito’. Anzi, agli albori della crisi si può persino ottenere un aumento di volumi, potendo vantare un appeal che generi preferenza di spesa rispetto alle altre forme di consumo.

Quando il Paese diventa povero, invece, strutturalmente e intrinsecamente, allora il ‘vecchio’ gioco lecito, pensato uniformemente come servizio universale per tutto il territorio, entra in crisi, perché non risponde più alla diversa domanda di “sogno e speranza” della popolazione, che, nel frattempo, si è frammentata in tante diverse connotazioni. Ecco così che troviamo sale vlt deserte, agenzie di scommesse che si trasformano il sale di lettura dei giornali sportivi, e persino le instancabili new slot iniziano sempre più di frequente a farsi vedere ‘senza moneta’ negli hopper o nei change, o addirittura spente quando la clientela fissa non è presente nel locale. Le limitazioni imposte dalle normative locali, poi, fanno il resto.

L’immenso bacino di utenza del gioco rende il “sistema” ancora un florido contabilizzatore di complessivi numeri importanti, ma chi conosce il percorso di questi numeri dovrebbe iniziare a preoccuparsi, perché il gioco non dovrebbe “mai” avere un “segno meno”, generato da motivi extra-industriali (ovvero diversi dalla cannibalizzazione tra prodotti di gioco o decadimento di appeal di un determinato prodotto). Nei Paesi c.d. emergenti, il gioco non va in rosso, ma si adegua al preciso target di clientela a cui può rivolgersi e con essa “cresce”, raggiunge il suo picco, cala e si assesta, e lì resta, finché permangono le medesime condizioni sociali, evolvendosi solo all’evolversi delle “classi”.

L’antico adagio, in virtù del quale chi spende al gioco poi non consuma nel settore del commercio, è quindi, almeno oggi, falso, destituito di fondamento, e contraddetto dalla verifica antropologica ed economica delle dinamiche di settore.

Se vi è un minimo di verità nell’equazione “difficoltà economiche – scommessa al gioco”, trattandosi di un meccanismo mentale oggettivamente riscontrabile, oggi non esiste più la possibilità di utilizzare tale formula per accusare il gioco di “distrazione” di risorse su larga scala.

Oggi, è raro il giocatore che cerca il rimedio finanziario ad un presente difficile o mediocre, mentre sempre più spesso si trova colui che vuole un contesto dove “staccare la spina” da un quotidiano in cui si sente addosso l’assenza di futuro, costi quel che costi. Il “fattore di addiction oggi più temibile”, quindi, è la solitudine, l’incapacità di vivere un oggi in previsione di un domani, la stanchezza di vivere in un contesto in cui si sa che ….. “si va sempre peggio”.

La grande forza del gioco lecito italiano è stata quella di voler essere una risposta “sartoriale” ai bisogni di “scommessa” di una popolazione che richiedeva prodotti diversificati e capillarmente distribuiti per “giocarsi” il suo diritto allo svago e alla spensierata sfida alla sorte. Oggi, il sistema non è più “sartoriale”, e la sua ampia gamma di offerte e location non sortisce più alcun effetto su una cittadinanza che ogni giorno scopre una paura nuova.

Lungimiranza industriale imporrebbe quindi di concepire il futuro del gioco in ottica di razionalizzazione e ridimensionamento, rispondendo a chi il gioco lecito lo vorrebbe ghettizzare, con soluzioni di settore ad elevata progettualità, peraltro oramai necessarie per non allestire punti vendita in continua sofferenza di raccolta.

Se è giusto opporsi ad un limite imposto dall’alto, che fissa una distanza minima tra un luogo determinato e un locale dove si offre gioco, è altresì doveroso prendere atto che il Paese è cambiato e la difesa del presente “a prescindere” potrebbe essere molto controproducente”, conclude l’associazione.

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