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Vlt: un nuovo rincaro che spaventa la rete e mette a rischio la filiera

22 dicembre 2012 - 11:04

Ci risiamo. Ancora una volta, per risolvere le emergenze di cassa del Paese, ci si affida al mercato del gioco pubblico. Questa volta ad essere ‘colpito’ dalla scure della finanziaria (o legge di stabilità, secondo il nuovo vocabolario della politica) è il settore delle videolottery. O, meglio, ancora una volta, visto che già lo scorso anno il governo aveva pensato bene di raddoppiare il prelievo erariale portandolo dal 2 al 4 percento delle giocate e stabilendo che, a partire dal 2013, si sarebbe passati al 4,5 percento e anticipando in questo modo un percorso che lo stesso Legislatore, sulla base di accurate stime dei tecnici parlamentari, aveva considerato si potesse compiere dopo alcuni anni dal debutto dei terminali di gioco sul mercato. Tenendo conto, evidentemente, dello sforzo economico che le società concessionarie avevano dovuto compiere, dapprima, per l’acquisto dei diritti necessari per l’esercizio delle videolottery (pari a 15mila euro a macchina, per un totale di circa 850 milioni di euro) prima, e per la messa in piedi della nuova rete e l’avvio dei locali, subito dopo. Maggi (Acadi): “Preu Vlt al 5 percento, ricavi lordi tassati al 48,2 percento” Schiavolin (Ad Cogetech): Nel prossimo futuro necessaria l'unità della filiera

Scritto da Alessio Crisantemi

Ma l’emergenza dettata dalla crisi ha fatto anticipare il ritocco al rialzo costringendo alla revisione generale di tutti i business plan predisposti dagli stessi concessionari e dagli altri operatori che intervengono in questo business, per via dei margini che si andavano riducendo in maniera più che significativa. E ora, come se non bastasse, arriva un ulteriore aumento di un altro mezzo punto percentuale che entrerà in vigore tra pochi giorni, a partire dal primo gennaio, e che, secondo gli addetti ai lavori, significherà la chiusura di alcuni locali che già stentavano a stare in piedi per via del cambio di tassazione in corsa.
Certo, diranno i tanti cittadini che non operano nel settore, ascoltando la notizia di un rincaro nei confronti del mercato del gioco, è giusto tassare un comparto così florido come questo. Tanto più che, come ci spiegano ormai quotidianamente giornali e televisioni (col supporto di vari politici e qualche ministro, per giunta), si tratta dello stesso settore che crea disagi sociali o rovina le famiglie. Dimenticando sistematicamente che, tale comparto, seppure con le sue anomalie e carenze sotto diversi profili, è stato regolamentato dallo Stato seguendo un preciso percorso che non è soltanto quello di creare risorse ma anche e soprattutto quello di rispondere alla (forte) domanda di gioco degli italiani con prodotti di gioco lecito, quindi controllato. Ovvero, che è in grado di tutelare il giocatore, da un lato - che altrimenti giocherebbe su giochi non certificati e approvati dallo Stato senza alcuna garanzia sulla reale restituzione delle vincite - e l’economia nazionale dall’altro, visto che con il gioco dello Stato si ha la certezza di entrate erariali invece di andare ad alimentare il mercato nero come avviene quando si gioca con prodotti non leciti. Quello che, tuttavia, l’attuale governo mostra di dimenticare, è il sacrosanto principio secondo il quale è necessario mantenere il gioco lecito competitivo rispetto alle offerte di gioco illegali: altrimenti il rischio è nella ricaduta nell’illegalità da parte di quegli operatori che non riusciranno più a stare in piedi per via degli oneri viepiù crescenti fissati di anno in anno, di finanziaria in finanziaria.
Un principio che, fino a qualche mese fa, la politica teneva bene a mente: non a caso, la scorsa finanziaria, aveva, al solito, chiesto nuove entrate al settore: ma nella proposta di riforma della tassazione predisposta dal ministero dell’economia attraverso i Monopoli di Stato, veniva introdotta per la prima volta una tassazione sui giocatori, attraverso un prelievo sulle vincite superiori ai 500 euro. Proprio perché (come fece notare l’allora direttore generale di Aams Raffaele Ferrara) non si poteva più chiedere altro alla filiera, pena il rischio del collasso della rete del gioco lecito. Tutto questo, tuttavia, non sembra più valere. E dal prossimo anno si parte con un nuovo regime che, come spiegato da Giovanni Maggi, Presidente dell’associazione Acadi che rappresenta i concessionari di rete, avrà un impatto sui ricavi della filiera fino al 23 percento in meno, “con gravi rischi per la tenuta del sistema”.
Cui prodest? Viene da chiedersi, guardando i conti che, immaginiamo, i tecnici del governo avranno fatto prima di introdurre tale norma. Ma per gli addetti ai lavori che dovranno dimostrare il rischio di collasso del sistema, non ci sarà probabilmente possibilità di spiegare le ragione che, di fatto, non sarebbero soltanto proprio, trattandosi, nel caso specifico dei concessionari, di società che operano per conto dello Stato e, quindi, in rappresentanza di esso. Così come non era stato possibile, già lo scorso anno, far notare che, probabilmente in nessun paese al mondo, eccetto l’Italia, si sarebbe anche soltanto potuto pensare di  intervenire sulla tassazione di un settore, raddoppiandola, dopo che gli operatori avevano programmato i propri investimenti con piani di rientro ben precisi e spalmati negli anni. Ma del resto si tratta dello stesso paese che fa eccezione anche per l’esistenza di organismi come Equitalia, per i livelli di debito pubblico, di evasione e di costi per la politica. E allora, pensando a questo, non ci si meraviglia più di nulla, in Italia. Ma questo non significa che i problemi non esistano. E, al contrario, rimangono. E chiameranno, prima o poi, a pagarne le conseguenze.

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