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Pucci (As.Tro): "Auspico che il 'capitolo gioco' sia chiuso al più presto"

11 febbraio 2014 - 16:39

“Come noto, ad un disegno di legge delega, e rispettivi decreti governativi delegati, sarà rimessa la riscrittura delle regole ‘sul gioco lecito’, e, possibilmente, anche quelle relative al contrasto di quel gioco che ‘lecito’ oggi non è del tutto (in quanto esercitato al di fuori degli ambiti autorizzatori previsti dalla legislazione italiana vigente).

Scritto da Redazione
Pucci (As.Tro): "Auspico che il 'capitolo gioco' sia chiuso al più presto"

A tali provvedimenti si assegna la funzione di porre la parola fine al proliferare di politiche locali, che, come i celebri cartelli ‘comune de-nuclearizzato’, si propongono di realizzare un territorio privo del ‘vizio del gioco’ (eliminando, però, solo le slot lecite). A ciò si aggiunge, inoltre, che al nuovo testo sul gioco si affiderà anche il compito di dettare le regole per finanziare la prevenzione e la cura del Gap”. È quanto afferma il presidente As.Tro, Massimiliano Pucci commentando l’attualità politica riferita al settore del gioco pubblico.

“In una parola – continua Pucci - già esiste un articolato legislativo bello e pronto in grado di fornire al Governo lo strumento per una sollecita risoluzione delle odierne criticità del gioco pubblico, mantenendo i livelli di performance erariale, ma allestendo anche quella rete di tutele preventive e sanitarie che possono ricondurre il fenomeno dall’attuale stadio di ‘panico morale’, a quello di normalità. C’è da chiedersi, allora, coma mai quella legge abbia avuto e continui ad avere così tanta difficoltà per approdare al varo definitivo. Molti non vogliono uno Stato pronto a curare i malati di Gap, finalmente organizzato per allestire una rete di prevenzioni socio-culturali in grado di ricondurre il fenomeno alla fisiologica incidenza dei costumi contemporanei, rigorosamente censito dalle uniche strutture deputate a certificare le incidenze epidemiologiche (ovvero i SerD delle Ausl, e non il Cnr, o i centri studi di sociologia o antropologia, piuttosto che gli osservatori di consulenza dei dipartimenti ministeriali). Molti preferiscono affermare che i giocatori problematici sono milioni (e quindi incurabili), che l’industria del gioco pubblico non realizza alcuna performance erariale indispensabile per il Paese (e quindi ‘abolibile’) , e che ‘semmai’, se proprio si vuole un po’ di gioco lecito e controllato, bastano e avanzano (a seconda degli schieramenti di interessi e di pensiero), i Casinò, o un contingentato numero di sale dedicate e ‘blindate’ collocate fuori dei centri urbani. Per sostenere la ‘pericolosità’ di una regolamentazione statale che risolva le criticità senza smantellare un’industria da 200mila addetti, si fa appello a luoghi comuni ma anche a solenni sciocchezze: si invoca l’invincibilità delle lobby che in Italia tutto determinerebbero e si sbandiera il decisionismo locale come unica arma per mantenere ‘ariani’ (sotto il profilo del gioco) quei territori che non vogliono più subire le decisioni dello stato centrale. Ecco quindi che si preferisce che sia ‘la giustizia fai da te’ (o la demagogia fai da te, che poi è la stessa cosa), a sancire la mappa dei localismi, dei distanziometri diversi da regione a regione, e che di tali ‘editti’ il merito vada agli sceriffi delle singole ‘contee’. La sacca politico-culturale di un pericoloso ‘medioevo’ di ritorno (e ‘senza ritorno’, se non contrastato), preferisce quindi bruciare qualche strega, piuttosto che trovare i rimedi per la fame e le malattie vere della gente, a cui si racconta che è il gioco a viziare aria terra e acqua, un po’ come mille anni fa si diceva del diavolo. Lo scenario descritto sembra ‘al confine del faceto’, ma gli interessi che lo vogliono tale sono numerosi e particolarmente invasivi nell’ambito delle sfere di convincimento degli attuali politici, recentemente privati di uno scenario intellegibile sul consenso popolare, e per questo, troppo esposti alle pressioni dei c.d. movimenti che cavalcano la pancia delle emozioni. L’iter di approvazione della legge delega fiscale, quindi, costituisce ancora un percorso accidentato, meritevole di attenzione, e quotidiano monitoraggio, al fine di individuare e contrastare tutti i tentativi di sabotaggio che ancora sono in agguato. L’industria del gioco pubblico chiede solo un mercato con regole chiari e uniformi, possibilmente idonee a creare quella marginalità di utile che non consenta ai capitali di dubbia provenienza di insinuarsi nelle aziende del settore indebolite dalla tassazione e dagli attacchi mediatici con un pugno di riso, per poi attuare le loro prassi criminali. Da presidente di una associazione di operatori del gioco lecito, ma soprattutto da cittadino, infatti, auspico che il ‘capitolo gioco’ sia chiuso al più presto, al fine di consentire al Paese di trovare le soluzioni ai veri drammi che lo affliggono”.

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