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Tassa 500 milioni, Tar Lazio: 'Prelievo proporzionato'

24 giugno 2019 - 11:32

Con una serie di sentenze, il Tar Lazio respinge ricorsi di gestori e concessionari sulla legittimità della 'tassa dei 500 milioni' su slot e Vlt.

Scritto da Fm
Tassa 500 milioni, Tar Lazio: 'Prelievo proporzionato'

È arrivata, l'attesa sentenza del Tar Lazio sulla legittimità costituzionale della "tassa dei 500 milioni" introdotta con la legge di Stabilità 2015, dopo che i giudici amministrativi nell'udienza di merito del 22 maggio avevano trattenuto il ricorso in decisione.

Il tribunale amministrativo ha in parte respinto i ricorsi presentati da concessionari e gestori e in parte li ha dichiarati improcedibili, per sopravvenuto difetto di interesse.

Ecco alcune delle motivazioni.

“Nella fattispecie in esame gli interessi pubblici tutelati con la misura in contestazione sono individuabili nella necessità, a fronte della profonda e perdurante crisi finanziaria che ha progressivamente colpito anche lo Stato italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del Tulps.
All’esito dell’acquisizione di una serie di dati, volti ad individuare, in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso di 500 milioni a carico dell’intera filiera incidesse sui margini di redditività della singola impresa, per poter infine valutare il superamento o meno del limite della proporzionalità rispetto agli obiettivi di interesse pubblico, la Sezione ha constatato che generalmente, rispetto all’intera filiera, l’incidenza del versamento imposto non fosse ictu oculi violativo del principio di proporzionalità, con la conseguenza che non risultava violato neppure il legittimo affidamento.
Proprio in ragione del riscontrato rispetto del principio di proporzionalità e della sussistenza di rilevanti interessi generali sottesi, la disposizione in esame, anche nell’originaria formulazione, non può ritenersi violativa dell’art. 1, prot. 1, della Cedu, che tutela i diritti di aspettativa economica”.
 
 
Inoltre, si legge ancora nella sentenza, “i rilievi sinora svolti ricevono ulteriore forza dalla limitazione temporale al solo anno 2015 del prelievo de quo. In altre parole, se risultava rispettato il principio di proporzionalità - e di conseguenza quello di legittimo affidamento - e non appariva violata la disposizione Cedu appena richiamata, stante la previsione della corresponsione allo Stato di 500 milioni di euro annui a partire dal 2015 ed anche per gli anni successivi, a maggior ragione ciò può affermarsi in relazione all’applicazione della norma per il solo 2015 e conseguentemente alla previsione del versamento di tale somma complessiva solamente per tale anno.
Come si chiarisce di seguito, neppure sussiste la lamentata violazione della libertà di iniziativa economica sotto il profilo considerato, vale a dire in relazione al fatto che al concessionario a monte e agli altri operatori della filiera, quale il soggetto odierno ricorrente, a valle, viene imposto il versamento della somma suindicata (si prescinde al momento dal vaglio dell’incidenza su tale libertà delle modalità di corresponsione della somma stessa, elemento sul quale si tornerà successivamente).
In proposito va ancora una volta considerato che l’attività in questione viene data in concessione dallo Stato a soggetti privati; perciò ben è possibile per il primo incidere sui rapporti con questi ultimi”.
 
 
“In ogni caso, tenuto conto dell’accertata limitata incidenza del prelievo de quo, che si traduce nel rispetto del principio di proporzionalità, non può conseguentemente sussistere alcuna violazione della libertà di iniziativa economica”, proseguono i giudici.
“Sul punto si rammenta che nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, la Sezione aveva affermato: 'la determinazione in misura fissa, e non variabile, del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi.
In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo 'taglio' alla sua capacità di reddito, non appare tale da violare il 'principio di proporzionalità' in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non è possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera'.
A seguito della norma sopravvenuta – si ribadisce - l’arco temporale di applicazione della disposizione in esame diventa circoscritto unicamente al 2015, per cui si determina uno svuotamento delle considerazioni appena richiamate.
Proprio in ragione di quanto sinora rilevato, la norma in esame, soprattutto a seguito della limitazione dell’ambito temporale di applicazione, non appare in contrasto neppure con il diritto dell’Unione europea, in particolare con riguardo alla tutela dell’affidamento.
Deve altresì considerarsi che, secondo quanto disposto dall’art. 5, comma 2, lett. b), della convenzione accessiva alla concessione, ciascun concessionario è tenuto ad 'osservare le vigenti disposizioni del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, tutte le norme di legge nonché tutte le disposizioni vigenti in materia, presenti o future, dell’autorità pubblica'.
I gestori, che si trovano a valle della filiera e che non hanno alcun tipo di rapporto con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ricevono una remunerazione per l’attività svolta calcolata in misura percentuale rispetto alle vincite.
Va poi chiarito che nella specie non è stato istituito un nuovo tributo, atteso che il legislatore ha voluto appositamente incidere, riducendolo, sulla misura del compenso remunerativo dei soggetti che compongono le filiere delle reti di raccolta del gioco praticato mediante apparecchi.
In altri termini, visto che il denaro che lo Stato lascia a tali filiere, a titolo di compenso, è pur sempre pubblico, è come se con la legge di Stabilità lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi di euro a 3,5 miliardi di euro circa il montante delle risorse messe a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione.
Ciò comporta che non possono fondatamente invocarsi tutti i principi riferibili specificamente ai tributi.
Sotto altro verso, si contesta la circostanza che, differentemente da quanto previsto dalla legge delega, la misura in esame ha colpito, non già l’intero settore del gioco lecito, bensì solo il segmento di quello mediante apparecchi.
È vero che l’art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad attuare 'il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi'.
Perciò, secondo la volontà iniziale del legislatore, la revisione degli aggi avrebbe dovuto riguardare per intero il settore del gioco pubblico lecito, mentre l’art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, in esame, ha previsto la misura de qua unicamente nei riguardi del settore del gioco mediante apparecchi, qui in esame.
Tuttavia deve innanzi tutto considerarsi il pari rango delle due disposizioni; il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto poi di circoscrivere la riduzione dell’aggio al segmento del gioco lecito con apparecchi.
Per comprendere le ragioni di una tale scelta del legislatore, bisogna tener presente che, com’è stato opportunamente evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato, negli anni 2013 e 2014, presi evidentemente a riferimento, più della metà del volume di affari del gioco lecito è imputabile a quello con apparecchi. Segnatamente nel 2013, a fronte di una raccolta complessiva di circa 84,7 miliardi di euro, ben 47,8 miliardi di euro sono derivati dal gioco tramite apparecchi; nel 2014, a fronte di un totale di 84, 5 miliardi di euro, il volume di gioco degli apparecchi è stato pari a più di 47 miliardi di euro.
Si tratta, perciò, di un settore particolarmente remunerativo, molto più degli altri, e per questo si è ritenuto di colpirlo in prima battuta.
Si è già evidenziato in precedenza che l’incidenza pro quota su ciascun concessionario (e di conseguenza a valle sugli altri operatori della filiera) di detto prelievo è davvero minima; per tale ragione se ne è sostenuta la ragionevolezza, in presenza della quale non si è ravvisata la dedotta violazione del principio di affidamento.
Il circoscritto ambito temporale e la più volte evidenziata scarsa incidenza del prelievo sui concessionari in primis e poi su tutti gli altri operatori della filiera conducono alla logica conclusione che non vi è stata la dedotta violazione del principio di concorrenza, per cui non si ravvisa alcuna - neppure eventuale - lesione dell’impianto comunitario normativo e di principi né un contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 41 e 117 Cost..
Ma, ancor più alla luce dello jus superveniens, non può neppure ritenersi sussistente la dedotta del principio di uguaglianza, quindi il contrasto della norma in rilievo con l’art. 3 Cost.: le situazioni dei diversi segmenti del gioco lecito non sono equiparabili e in ogni caso non vi è alcuna prova che, a fronte della misura contestata con riferimento al solo 2015, non ne siano state adottate altre dirette nei confronti degli altri settori, eventualmente in anni differenti”.
 

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