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Dpcm e gioco, a ore il verdetto del Tar Lazio: focus sui dati del Cts

13 gennaio 2021 - 12:02

Udienza al Tar Lazio su legittimità dei Dpcm che hanno chiuso le attività di gioco, per l'Avvocatura di Stato non sono 'essenziali'. Per i legali del settore mancano dati scientifici.

Scritto da Redazione
Dpcm e gioco, a ore il verdetto del Tar Lazio: focus sui dati del Cts


È attesa entro domani, 14 gennaio, la sentenza del Tar Lazio sulla legittimità dei Dpcm che hanno imposto la chiusura delle attività di gioco per il contenimento del Covid.

Nell'udienza di stamattina intanto le due parti in causa si sono fronteggiate con l'ovvio focus sui verbali delle sedute del Comitato tecnico-scientifico, propedeutici all'emanazione dei provvedimenti governativi, che il tribunale amministrativo aveva chiesto di presentare per compiere le necessarie valutazioni.

Nella loro arringa, i legali dell’avvocatura di Stato hanno ricordato che il gioco non è ritenuto un "servizio essenziale" e come tale deve rimanere chiuso, per evitare assembramenti che sono sempre e comunque pericolosi.

Dal canto loro gli avvocati in rappresentanza del settore hanno evidenziato che il dato scientifico non sorregge la valutazione amministrativa, e che sono subentrate valutazioni non solo politiche ma anche etiche e morali, per cui il gioco non risponde alle necessità primarie della vita in questo momento di pandemia, come asserito dall'avvocatura di Stato.


LA MEMORIA DELLE AZIENDE DI GIOCO: "RESTRIZIONI NON PROPORZIONATE" - Scendendo nel dettaglio, nella memoria presentata dall'avvocato Cino Benelli, legale di una delle società di gioco ricorrenti, (visionanata da GiocoNews.it) si sottolinea che "alla luce dei princìpi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza nonché dello stesso principio di precauzione, in assenza del 'preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento', le restrizioni in questione non possono essere applicate indistintamente su tutto il territorio nazionale, dovendo le medesime essere necessariamente differenziate a seconda del grado di diffusione del contagio da Covid-19 nelle singoli porzioni di esso.
Ai 'colori' dei territori colpiti dal contagio dovrebbe corrispondere, infatti, anche una diversa 'colorazione' delle restrizioni apportate alle attività economiche".
Dalla lettura della documentazione prodotta in giudizio dalla difesa dello Stato, non si comprende perché: "si sia sempre scelto il 'rosso' (e cioè la chiusura integrale) per una parte dei giochi pubblici (in particolare, per gli apparecchi da gioco, per il bingo e le scommesse) ed invece il 'bianco' (e cioè l’apertura integrale) per altre tipologie di prodotti ludici (lotto, 10 e lotto, superenalotto, vincicasa, gratta e vinci, lotterie nazionali), peraltro raccolti presso esercizi cosiddetti 'generalisti', notoriamente più esposti a rischi di contagio; si sia sempre scelto il 'rosso' (e cioè la chiusura integrale) per quella parte di giochi pubblici anziché l’'arancione' (e cioè la riduzione di orario) ovvero piuttosto il 'giallo' (e cioè l’aggravamento dei protocolli) in relazione a qualsivoglia porzione del territorio nazionale anche diversamente orientato in termini 'cromatici'”. 
 
"CTS, VALUTAZIONI ERRATE" - Inoltre, in sede di verbale, "il Cts non confuta in alcun modo (ma si limita a richiamare per relationem) il documento prodotto dall’Associazione italiana esercenti giochi pubblici; non vi sono accertamenti o valutazioni che colleghino una maggiore o minore diffusione del contagio allo svolgimento dei giochi e delle scommesse; agli effetti del contenimento del contagio da 'Covid-19', non vi sono evidenze circa una supposta maggiore pericolosità degli apparecchi rispetto alle altre forme di gioco tuttora consentite presso gli esercizi generalisti”. Nell’esprimere le proprie considerazioni sulla bozza di Dpcm del 24 ottobre 2020 e dopo aver dato atto della complessiva congruità delle proposte, si legge ancora nella memoria, "il Cts ha rilevato presunte 'incongruenze', relative ad alcuni punti, fra i quali il 'mantenimento di apertura di attività relative a sale bingo e scommesse ritenute non essenziali e potenzialmente pericolose, date le relative possibili aggregazioni'. 
Il Cts, dunque, più che apportare puntuali elementi tecnico scientifici, ha basato il proprio convincimento su un generico e indimostrato pericolo derivante da 'possibili aggregazioni', indugiando poi in affermazioni apodittiche ('potenzialmente pericolose') ed esprimendo, infine, un giudizio lato sensu politico-amministrativo, ancorato alla natura di tali attività 'ritenute non essenziali'. Per un verso, quindi, trattasi di un parere fondato su un presunto pericolo (le 'possibili aggregazioni'), per la verità comune a qualsiasi luogo ed esercizio fisico e nient’affatto dissimile da quello proprio di molte altre attività economiche lasciate comunque 'aperte' (si pensi soltanto alle tabaccherie ed alle attività di ristorazione); per altro verso, il Cts ha espresso una valutazione sul merito delle attività, immotivatamente giudicate 'non essenziali', che di certo esulava dalle sue competenze e palesandosi comunque del tutto errata".  
 
"SBAGLIATO INVOCARE PRINCIPIO DI PRECAUZIONE" - Poi, rimarca ancora l'avvocato, il Cts omette di considerare che i giochi pubblici rappresentano un fondamentale presidio di legalità e dalla cui raccolta derivano conseguenze benefiche non solo per l’Erario ma anche per lo sport (cfr., art. 217 d.l. n. 34/2020) e, pertanto, la loro integrale cessazione non può che rappresentare un’extrema ratio e poggiare comunque su solide basi scientifico-sanitarie. La decisione assunta il 3 novembre 2020, poi reiterata il 3 dicembre (con efficacia sino al 15 gennaio 2020) - e poi (è assai verosimile) ancora ed ancora ed ancora reiterata con nuovi provvedimenti solo formalmente 'a tempo'- quindi, non riposava e non riposa su una meditata valutazione di evidenze e considerazioni tecnico-scientifiche, ma su giudizi aprioristici di disvalore, come tali affetti da un chiaro sviamento". 
Né potrebbe invocarsi in contrario il principio di precauzione di cui all’art. 191, comma 2 del Tfue. Come è stato condivisibilmente affermato in giurisprudenza, “l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura. La situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura […] (cfr., Cons. di Stato, sez. V, n. 6250/2013)". 
Nella memoria il legale quindi ha sottolineato che "non può ragionevolmente sostenersi che siffatta 'preliminare valutazione scientifica obiettiva' si sia inverata nel caso di specie, mancando una qualsiasi corroborazione scientifico-sanitaria, anche in termini di mera analisi e gestione del rischio o anche di semplice elaborazione statistica, rispetto alla drastica decisione assunta dalla Presidenza del Consiglio". 
In conclusione ha posto l'accento anche sulla carenza motivazionale.
"Significativo al riguardo che tutti i Decreti che si sono succeduti riposino su una motivazione identica, ancorché siano stati assunti in momenti diversi e sulla base di situazioni diverse, in termini di differente incidenza della pandemia sul territorio nazionale e sulle singole regioni (dal Dpcm del 13 ottobre a quello del 3 dicembre 2020, infatti, la motivazione risulta sempre la medesima: 'il carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e l’incremento dei casi sul territorio nazionale')".
 
I RILIEVI DELL'AVVOCATURA DI STATO: "SCELTA ADEGUATA E PROPORZIONATA" - "Le misure di contenimento dell’epidemia e, in particolare, la sospensione dell’attività di raccolta delle scommesse (sale giochi), contenuta nei Dpcm impugnati, appare adeguata e proporzionata, anche in base al principio di precauzione, al contesto epidemiologico rilevato nel momento dell’emanazione dei Dpcm impugnati", esordisce l'Avvocatura di Stato nella memoria che GiocoNews.it ha potuto visionare.
Dopo aver passato in rassegna ciascuno dei provvedimenti governativi, rammentando i contesti socio-sanitari e di incidenza del Covid in cui si sono succeduti, i legali evidenziano che "i Dpcm 3 novembre e 3 dicembre 2020 impugnati si sottraggono alle censure mosse dalla ricorrente essendo fondati sui principi di precauzione, proporzionalità e adeguatezza in funzione dell’interesse pubblico primario alla tutela della salute nel contesto epidemiologico in atto", riportando a sostegno della propria tesi l'ordinanza del Tar del Lazio n. 7469/2020 la quale, nel rigettare l’istanza di sospensiva presentata avverso le misure introdotte dal Dpcm 3 novembre 2020, ha riportato considerazioni che si ritengono riferibili anche al Dpcm 3 dicembre 2020, per cui "all’attualità si assiste ad una emergenza sanitaria che comporta, per la salute pubblica, un rischio di difficile analisi e gestione, legittimando il ricorso, da parte delle Autorità preposte alla gestione di tale rischio, a decisioni fondate anche sul rispetto del principio di precauzione, oltre che sulle evidenze scientifiche disponibili e sui pareri resi dagli organi scientifici a ciò specificamente deputati”.
 
"MISURE FONDATE SU RACCOMANDAZIONI DEGLI ESPERTI" - Viene inoltre chiamato in causa il decreto del Tar Lazio, Sez. III quater, 23 novembre 2020, n. 7265, in cui si rimarca "che il fondamento comune di tutti i provvedimenti – di natura e finalità diverse – adottati da autorità politiche governative, nazionali, territoriali e tecniche, è stato, ed è quello di assicurare, secondo il principio di massima precauzione, la salute dei cittadini, in quanto valore costituzionale primario e non negoziabile, tanto da comprimere – nei limiti e modi di volta in volta ritenuti indispensabili – anche l’esercizio di diversi diritti o libertà dei cittadini, primo fra tutti il diritto alla libera circolazione".
Le misure dei Dpcm del 3 novembre e del 3 dicembre 2020 – tra le qui la sospensione dell’attività delle sale giochi e scommesse - per l'Avvocatura di Stato quindi "non possono ritenersi arbitrarie e irragionevoli, in quanto si fondano sulle indicazioni e raccomandazioni elaborate da esperti e scienziati, nell’ambito di protocolli internazionali formulati per il contrasto alla pandemia e, in particolare, sul documento intitolato 'Prevenzione e risposta a Covid-19. Evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione autunno-invernale'.
Le suddette misure sono state poi avallate dal Comitato tecnico scientifico, il quale ha condiviso i provvedimenti assunti dal Governo".
Peraltro, prosegue la memoria, con specifico riferimento all’attività delle sale giochi e sale bingo, "nella riunione del 3 dicembre 2020 il Comitato tecnico scientifico ha esaminato il documento trasmesso dall’Associazione italiana esercenti giochi pubblici 'Revisione della regolamentazione riguardante le sale bingo e le sale gioco con riferimento alla previsione del Dl n. 33/2020 del 16 maggio 2020' ed ha espresso l’avviso di confermare la vigenza dell’art. 1, comma 10, lett. l), del Dpcm del 3 novembre 2020 che prevedeva la sospensione delle attività delle sale giochi, delle sale scommesse, sale bingo e casinò, anche se svolte all’interno di locali adibiti ad attività differenti".
Peraltro, il Dpcm 3 dicembre 2020, ha precisato, come il Dpcm 3 novembre 2020, "che detta sospensione si applica anche alle citate attività svolte all’interno di locali adibiti ad attività differente.
 
"SITUAZIONE GRAVE, GIOCO NON È SERVIZIO DI NECESSITÀ" - Ebbene, la recrudescenza del quadro epidemiologico si presenta, ad oggi, con una gravità tale da non consentire l’apertura, neppure parziale, di quelle attività che sono ritenute non essenziali, in quanto non rivolte a soddisfare bisogni primari della persona, come oggettivamente (al di là di un giudizio etico) può dirsi per le attività raccolta di giochi, scommesse, installazione e noleggio degli apparecchi da intrattenimento di cui all'art. 110 del Tulps.
In particolare, deve osservarsi che le attività di sale giochi, sale scommesse e sale bingo e locali assimilati, gestione di apparecchi di intrattenimento con vincite in denaro, non sono servizi di prima necessità".
Quanto alla supposta "diversità di trattamento" riservata alle sale e agli esercizi con apparecchi di gioco o raccolta di scommesse rispetto a lotterie e gratta e vinci, l'Avvocatura di Stato afferma: "Non v’è chi non veda che – a differenza delle lotterie che si possono acquistare nelle rivendite di tabacchi - per giocare alle slot è richiesto un tempo di permanenza all’interno del locale abbastanza lungo: infatti, una partita alle slot consentite all’interno di esercizi commerciali 'generalisti', come i bar e le tabaccherie) normalmente non si consuma nei 4 secondi che rappresentano la durata minima della partita. Se si vince, poi, è possibile riutilizzare il credito per fare ulteriori partite. Si può stare anche un tempo più che apprezzabile a giocare semplicemente introducendo il primo euro, se la macchina restituisce vincite. 
Per giocare alle scommesse sportive, inoltre, è richiesto allo scommettitore di informarsi sul palinsesto e compiere le valutazioni che possono essere effettuate, solitamente, solo all’interno dell’esercizio commerciale dove si scommette (conoscere, ad esempio, a quanto è dato un determinato evento) e vi è, inoltre, la possibilità di sostare per seguire lo svolgimento della competizione. 
Dunque, la sospensione delle attività delle sale giochi, sale scommesse e bingo, nonché la chiusura degli apparecchi da gioco all’interno degli esercizi pubblici quali bar, ristoranti, pub, è obiettivamente riconducibile alla necessità, fondata sull’evidenza scientifica, di diradare le interazioni tra persone estranee, per contrastare il diffondersi del virus, in quanto le predette iniziative economiche incentivano indubbiamente la propensione alle attività sociali, alla permanenza nei locali e agli assembramenti".
 
 
 
 

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