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Tar Lombardia annulla l'ordinanza del sindaco di Milano sulle slot: “Limiti ingiustificati a imprese”

08 novembre 2013 - 14:39

Il sindaco non può limitare la libertà di impresa di esercenti e operatori del gioco pubblico in maniera indiscriminata e, per farlo, deve coinvolgere le associazioni di categoria in n percorso di concertazione.

Scritto da Ac
Tar Lombardia annulla l'ordinanza del sindaco di Milano sulle slot: “Limiti ingiustificati a imprese”

E' quanto disposto dal Tribunale amministrativo della Lombardia il quale, accogliendo il ricorso di un operatore, ha annullato parte dell'ordinanza del sindaco di Milano, condannando peraltro l'amministrazione locale al pagamento delle spese processuali e accessorie. La sentenza si inserisce in maniera significativa nel dibattito – istituzionale e giuridico – avviato da qualche tempo sul tema della regolamentazione del gioco pubblico sui territori. Dibattito, peraltro, chiaramente esplicitato nelle motivazioni dei giudici, con la ricorrente che impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento dello scorso febbraio emesso dal direttore del settore commercio e attività produttive – ufficio sale giochi, con cui è stata data comunicazione dell’adozione dell’ordinanza del Sindaco di Milano del 29 gennaio 2013, avente ad oggetto la “disciplina degli orari di apertura e chiusura degli esercizi pubblici, comprese le sale giochi”.

 

COSA DICE LA SENTENZA – Nella pronuncia dei giudici lombardi, si legge come sulla legittimità delle possibili restrizioni nei confronti dei gestori di attività di gioco, il Comune di Milano ha sottolineato che "il comparto dei giochi e delle scommesse non è caratterizzato da libertà di concorrenza e di iniziativa economica – quanto meno piene, assolute ed incondizionate – e, comunque, non è assimilabile agli altri settori economici (c.d. ordinari)".
Tale affermazione è, tuttavia, "priva di fondamento", secondo il Tar, come ha recentemente confermato la Corte di Giustizia, che, nell'esaminare approfonditamente la disciplina di cui agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (libertà di stabilimento e di prestazione di servizi), ha ribadito, in linea con precedenti decisioni, che "l'obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d'azzardo è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa, purché tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, citate sentenze Placanica e a., punti da 52 a 55, nonché Costa e Cifone, punti da 61 a 63)" (cfr. sez. III, 12 settembre 2013, cause riunite C – 660/11 e C – 8/12).
Pertanto, nell'assenza di una norma che espressamente vietasse l'apertura 24 ore su 24, "incombeva, dunque, sul Comune l'obbligo di motivare le ragioni di una limitazione direttamente incidente sullo svolgimento e, potenzialmente, sulla gestione finanziaria dell'attività condotta".

Il che, in sostanza, si sarebbe dovuto tradurre nell'indicazione dei nominati presupposti – debitamente accertati e in puntuale applicazione del principio di proprozionalità – sulla scorta dei quali si possa inibire l'apertura diurna e notturna di locali ove si eserciti il gioco d'azzardo. L'assenza di un'efficace ponderazione dei citati profili rende dunque palese "l'ingiustizia di una disciplina astratta da applicarsi a un'attività, quale quella esercitata dalla ricorrente, che sino ad oggi si è svolta senza mai turbare l'ordine e la sicurezza pubblica, con l'ausilio di personale di sorveglianza all'interno e all'esterno del locale, e che inoltre, essendo esercitata in un immobile sito a poche decine di metri da un Commissariato di Polizia, è inevitabilmente sottoposta ad un puntuale controllo. Non vi è, dunque, prova che l'armonizzazione tra gli orari delle sale da gioco, da un lato, e le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, dall'altro, non possa ugualmente conseguirsi, con immutata efficienza, anche nell'ipotesi di apertura ininterrotta".

 

LE RIFLESSIONI SULLA REGOLAMENTAZIONE - Nella presente fattispecie, è stata impugnata l'ordinanza con cui il Sindaco di Milano ha regolamentato gli orari di vari esercizi pubblici, tra cui le sale da gioco, ma non – almeno dichiaratamente – nell'intento di proteggere particolari categorie di cittadini dal rischio della dipendenza psicologica dal gioco d'azzardo.
Quest'ultimo profilo, peraltro, è oggetto di un dibattito – dottrinario e giurisprudenziale – assai articolato e sovente caratterizzato dalla contrapposizione tra molteplici impostazioni culturali circa il riconoscimento, in capo allo Stato "regolatore", di un dovere di dissuasione dal gioco d'azzardo.
Un dibattito che, tuttavia, come è stato pertinentemente osservato in alcune pronunce della giurisprudenza di merito, sembra non tenere conto che "il legislatore italiano ha in realtà adottato da tempo una politica espansiva nel settore dei giochi d'azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali (...). Questa situazione è evidente anche dal semplice riepilogo delle principali forme di gioco previste dalla normativa nazionale con i rispettivi anni di attivazione: lotto (1863), lotterie nazionali (1932), scommesse ippiche (1942), totocalcio (1946), totip (1948), tris (1958), totogol (1994), lotterie istantanee gratta e vinci (1994), superenalotto (1997), scommesse sportive (1998), bingo (2000), big match (2004), newslot - apparecchi e videoterminali di gioco (2004), big race (2005), win for life (2009). Non si può quindi sostenere che siano perseguite effettivamente la prevenzione dell'incitamento al gioco e la lotta alla dipendenza dallo stesso" (cfr. TAR Lombardia – Brescia, sez. II, 23 febbraio 2011, n. 321).

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