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Tar Emilia: “Non basta che offra alimenti e bevande perché sala Vlt sia esercizio pubblico”

13 marzo 2015 - 17:31

La prima sezione della sezione staccata di Parma del Tar dell’Emilia Romagna ha respinto con sentenza il ricorso presentato da un operatore contro il Comune di Reggio Emilia e con il quale si chiedeva di annullare l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive e ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi, ritenendo che una sala Vlt, per il solo fatto che offra in minima parte anche alimenti e bevande, non può considerarsi esercizio pubblico.

Scritto da Amr
Tar Emilia: “Non basta che offra alimenti e bevande perché sala Vlt sia esercizio pubblico”

 

La ricorrente aveva sottoscritto un contratto di locazione per adibire un “locale a sala Vlt con annessa somministrazione di alimenti e bevande” ,a il Comune aveva rappresentato, “pur non obiettando nulla sulla realizzazione delle opere comunicate” che “l’attività di sala dedicata VLT non poteva essere insediata in quell’immobile, rientrando detta attività nell’uso B14 di cui all’art. 1.6.1. delle NTA vigenti e, dunque, trattandosi di uso non consentito in un immobile, quale quello prescelto, destinato ad uso B2 – pubblico esercizio. Rappresentava altresì che, per il cambio di destinazione d’uso, sarebbe stato necessario presentare la Scia ma che, in ogni caso, l’uso B14 non era consentito nella zona del centro storico ACS2 in cui ricade l’immobile”.

Il Questore aveva poi rilasciato l’autorizzazione ai sensi dell’art. 88 Tulps imponendo, tra l’altro, la scrupolosa osservanza della normativa comunale in materia urbanistico – edilizia, di agibilità e di destinazione d’uso dei locali. Dopo apposito sopralluogo in data 27 dicembre 2012, il Comune inviava alla ricorrente comunicazione di avvio del procedimento per la contestazione dell’abusivo cambio di destinazione d’uso.

 

LE MOTIVAZIONI DEI GIUDICI – Secondo il collegio “certamente la sala Vlt, per il tipo di frequentazione e di impatto urbanistico che comporta, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, non può considerarsi pubblico esercizio per il sol fatto che una parte minima della superficie venga dedicata all’attività accessoria e del tutto recessiva di somministrazione di alimenti e bevande. Ciò vale, inoltre, ad escludere ogni interesse della ricorrente a censurare la delibera consiliare con cui è stato introdotto l’uso B17, atteso che l’ordinanza impugnata non è stata assunta sulla base di tale novella normativa bensì sulla base della disciplina già vigente”.

I giudici respingono anche il motivo con cui la ricorrente denuncia sviamento di potere sostenendo che il Comune avrebbe usato in modo distorto il potere attribuitogli dall'art. 13 del Testo Unico degli Enti Locali per mascherare la lotta al gioco lecito e che emergerebbe, a suo dire, in generale dall'avere creato un uso B17, ad hoc per sala giochi e sale dedicate, in particolare dall'aver cercato, nel caso specifico, di impedire l'esecuzione dei lavori. “Le censure sono totalmente destituite di fondamento. (…) La contestazione dell'incompatibilità dell'attività da insediare con l'uso proprio dell'immobile locato, (B2 ‘pubblici esercizi’) è stata effettuata ben prima della conclusione dei lavori ed era, in definitiva, un atto privo di discrezionalità, poiché fondato, come i provvedimenti successivamente adottati, sulle norme del RUE all’epoca vigente a tenore delle quali l’attività in discorso doveva ricomprendersi nell’uso B14. E’ del tutto neutrale, dunque, ai fini della vicenda in esame, la delibera consiliare con cui è stato definito l’uso B17.

Ad abundantiam, esulando la questione dal thema decidendum atteso che, come si è detto, l’introduzione dell’uso B17 non ha inciso sulla vicenda in esame, il Collegio osserva che il potere di governo del territorio spettante al Comune, espressione di lata discrezionalità, ben può dispiegarsi nel senso di non ammettere in centro storico attività ad alto impatto urbanistico quali le sale dedicate Vlt. Il contestuale perseguimento, con tale scelta urbanistica, dell’ulteriore finalità pubblica di contrastare la dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, lungi dall’essere sintomo di un distorto o sviato esercizio del potere conferito dall’art. 13 D.Lgs. 267/200, come opinato dalla ricorrente, rappresenta al contrario attuazione del potere riconosciuto al Comune dalla L.R. 4 luglio 2013, n. 5, con cui la Regione, nel prefiggersi l’obiettivo della prevenzione, riduzione del rischio e contrasto alla dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, anche in osservanza delle indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità e a quelle della Commissione europea sui rischi del gioco d'azzardo, prevede che i Comuni possano dettare previsioni urbanistico-territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco (art. 6, comma 2) e possano disciplinare, nell'ambito dei propri strumenti di pianificazione di cui alla legge regionale n. 20/2000, gli elementi architettonici, strutturali e dimensionali delle sale da gioco e delle relative pertinenze (art. 6, comma 3)”.

 

LA SENTENZA - Il testo della sentenza può essere scaricato cliccando qui.

 

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