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Tassa 500 milioni, CdS: 'Dubbi su compatibilità con norme Ue'

31 agosto 2020 - 10:22

Il Consiglio di Stato trasmette alla Corte di giustizia dell’Unione europea gli atti relativi ai ricorsi dei concessionari di gioco contro la 'tassa dei 500 milioni' sugli apparecchi.

Scritto da Fm
Tassa 500 milioni, CdS: 'Dubbi su compatibilità con norme Ue'

Giudizio sospeso e trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Così, in un'ordinanza, il Consiglio di Stato si è espresso in merito al ricorso avanzato da alcuni concessionari di gioco contro la legge di Stabilità del 2015 che ha introdotto la cosiddetta "tassa dei 500 milioni" sugli apparecchi, riservando alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.


I ricorrenti, impugnando il decreto 15 gennaio 2015 n.388 e prot. n. 4076/RU dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in quanto per loro lesivo "in modo apprezzabile dei suoi margini di guadagno, deducendone l’illegittimità derivata per asserita illegittimità europea ovvero costituzionale delle norme di legge di cui esso fa diretta applicazione", hanno chiesto  la riforma della sentenza del Tar Lazio del 24 giugno 2019, che ha respinto i ricorsi contro il decreto con il quale il direttore di Adm ha dato attuazione all’art. 1 comma 649, della legge 23 dicembre 2014 n. 190; ha preso atto della disposta “riduzione” di 500 milioni di euro su base annua, a decorrere dall'anno 2015, “delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773” ed ha quindi definito il numero degli apparecchi stessi riferibili a ciascun concessionario, ripartito il versamento in maniera proporzionale a detto numero di apparecchi e stabilito le modalità del versamento stesso.
 

I MOTIVI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE - Nell'ordinanza appena pubblicata i giudici del Consiglio di Stato illustrano i motivi del rinvio degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, evidenziando "dubbi sulla compatibilità della sopra citata normativa nazionale con il diritto dell’Unione, nei termini prospettati dai ricorrenti appellanti".
In primo luogo, "la misura disposta da ultimo con i commi 920 e 921 dell’art. 1 della l. 208/2015 comporta che la ricorrente appellante debba subire un prelievo economico dai propri bilanci, nella misura determinata dal decreto 15 gennaio 2015 n.388 qui impugnato, e con effetto retroattivo, nel senso che il prelievo attuato ed imposto nel 2015 colpisce i ricavi maturati nel 2014 (v. appello p. 20 sesto rigo dal basso; il punto è assolutamente pacifico). Si tratta quindi di una restrizione alle libertà garantite dagli artt. 49 e 56 Tfue sopra citati, nel senso che il prelievo viene a rendere meno attraente l’attività oggetto di concessione che la ricorrente appellante esercita.
È però dubbio che la misura in questione si possa qualificare come ispirata dai motivi imperativi di interesse generale che la renderebbero legittima.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha più volte affermato che fra i motivi imperativi citati non si ricomprendono le semplici esigenze dello Stato membro di incrementare il proprio gettito fiscale, senza che con ciò si raggiungano obiettivi diversi ed ulteriori: per tutte, la già citata sez. I 11 giugno 2015 C-98/14 Berlington Hungary, relativa proprio ad un’imposizione fiscale sul gioco lecito, nonché le sentenze Grande sezione 7 settembre 2004 C-319/02 Manninen e 16 luglio 1998 C-112/77 ICI, che affermano il principio per gli interventi fiscali in generale.
Nel caso di specie, la misura in esame ad avviso di questo Giudice appare ispirata esclusivamente ad un’esigenza economica di aumentare gli introiti dello Stato, e quindi di 'fare cassa' in base anzitutto all’esplicita dichiarazione contenuta nella norma base, ovvero nel comma 649 dell’art. 1 della l. n.190/2014, che il comma 920 sopra citato ha abrogato, e quindi reso applicabile solo per il 2015, nel senso che l’intervento ha fini di 'concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica'. Non vale poi in senso contrario, sempre ad avviso di questo Giudice, quanto afferma la frase successiva, ovvero che l’intervento sarebbe motivato anche 'in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell'articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23' ovvero della legge delega per il riordino del settore, di cui si è detto, in quanto come si è visto essa non ha avuto alcuna altra attuazione.
Per avere un termine di paragone, si ricorda che la sentenza sez. I 20 dicembre 2017 C-322/16 Global Starnet della Corte di giustizia ha invece giudicato conforme al diritto europeo un precedente intervento del legislatore nazionale sugli stessi rapporti di concessione, ovvero l’intervento operato in base all’art. 1 commi 77-83 della l. 220/2010, cui si è accennato, che aveva modificato, in sintesi estrema, la durata delle concessioni in corso e richiesto maggiori garanzie di solidità e regolarità di condotta ai concessionari. Le misure in questione comportavano sicuramente un aggravio economico per i concessionari stessi, ma sono state giudicate conformi a validi motivi di interesse generale, identificati con l’intento di migliorare la solidità economica e finanziaria dei concessionari e di accrescere la loro onorabilità e la loro affidabilità, e quindi di lottare contro la criminalità che in questo settore intende infiltrarsi. È però evidente che per un prelievo economico puro e semplice nessuno di questi motivi è configurabile".
 
MISURA IN CONTRASTO CON TUTELA DELL'AFFIDAMENTO - In secondo luogo, la misura in esame appare "adottata anche in contrasto con il principio di tutela dell’affidamento.
Sotto quest’ultimo profilo, è anzitutto evidente che essa va ad incidere sui rapporti di concessione già in corso, in modo da peggiorarne i termini economici, e quindi da alterare in modo a lui sfavorevole i calcoli di convenienza fatti dal concessionario nel momento in cui si è accordato con l’amministrazione concessionaria.
Fermo quanto si è detto sopra circa le motivazioni di carattere solo economico dell’intervento, si deve poi dire che esso appare non prevedibile per l’imprenditore prudente ed accorto, al quale non si può, a meno di circostanze del tutto particolari che qui non ricorrono, addossare l’onere di prevedere interventi autoritativi della controparte pubblica di un rapporto di concessione, che di per sé è vincolante al pari di un contratto, e quindi postula che le parti non lo possano rimettere in discussione unilateralmente.
Va fatta poi una considerazione di carattere comune. Quanto si è fin qui esposto, ad avviso di questo Giudice, non è rimesso in discussione dal carattere di intervento una tantum conferito alla misura dal comma 920 sopra citato, che mantiene la necessità di una pronuncia della Corte di giustizia. Da un lato infatti nulla impedisce che il legislatore, con interventi successivi, possa riproporre una misura identica, che una pronuncia della Corte potrebbe, a seconda dell’esito, avallare ovvero impedire. Inoltre, l’entità della misura in esame, anche se la si considerasse straordinaria e destinata a non ripetersi, è comunque considerevole.
Infine, la rilevanza per il giudizio a quo della pronuncia della Corte di giustizia è evidente, perché se le norme in esame venissero dichiarate non compatibili con il diritto europeo, il ricorso in appello, e con esso il ricorso di I grado, dovrebbero essere senz’altro accolti, con annullamento dell’atto impugnato, che esige le somme il cui pagamento è previsto dalle norme contestate", si legge ancora nell'ordinanza del CdS.
 
I QUESITI PER LA CORTE DI GIUSTIZIA UE - In conclusione, "il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale solleva questione di pregiudizialità invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 Tfue, a pronunciarsi sui seguenti quesiti: se sia compatibile con l’esercizio della libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 del Tfue e con l’esercizio della libera prestazione di servizi garantita dall’art. 56 Tfue l’introduzione di una normativa quale quella contenuta nell’art 1, comma 649, delle legge 190/14, la quale riduca aggi e compensi solo nei confronti di una limitata e specifica categoria di operatori, ovvero solo nei confronti degli operatori del gioco con apparecchi da intrattenimento, e non nei confronti di tutti gli operatori del settore del gioco; se sia compatibile con il principio di diritto europeo della tutela del legittimo affidamento l’introduzione di una normativa quale quella sopra citata, contenuta all’art 1, comma 649, della legge 190/14, la quale per sole ragioni economiche ha ridotto nel corso della durata della stessa il compenso pattuito in una convenzione di concessione stipulata tra una società ed un’amministrazione dello Stato Italiano".
 

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