skin

Tajani (Parlamento Ue): 'Gap non si combatte solo con i divieti'

26 marzo 2019 - 09:47

Per il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani il settore del gioco va regolamentato con l’obiettivo di ridurre il rischio dell'illegalità.

Scritto da Roberta Falasca
Tajani (Parlamento Ue): 'Gap non si combatte solo con i divieti'

Sono trascorsi due anni esatti dalla presidenza di Antonio Tajani al Parlamento europeo. Due anni di lavoro intenso in cui ha affrontato sfide importanti, dalla crisi migratoria all’occupazione, la sicurezza e l’ambiente. Quale deve essere l’obiettivo dell’Europa per il 2019?

La parola a Tajani, nell'intervista esclusiva rilasciata a Gioco News.

“La prima sfida dell’Unione europea è creare lavoro. Senza occupazione non esistono libertà e dignità. Il Parlamento europeo ha appena votato un vasto piano di investimenti da 698 miliardi di euro allo scopo di sostenere investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, piccole e medie imprese e formazione professionale, destinata sia ai giovani che agli over 50. Oltre al tema dell’occupazione, che resta la priorità numero uno, dobbiamo lavorare su numerosi fronti, quali la sicurezza, la lotta al terrorismo, la gestione dei flussi migratori e il cambiamento climatico. Per quanto riguarda l’immigrazione, non possiamo permetterci ulteriori rinvii. L’Europa deve dotarsi di un sistema automatico e obbligatorio di distribuzione dei richiedenti asilo, come chiesto dal Parlamento europeo. Lo stallo creato dai Paesi membri sulla riforma dell’accordo di Dublino alimenta i populismi e crea divisioni. Inoltre, allontana l’attenzione dai buoni risultati ottenuti grazie agli accordi con Niger e Turchia che, negli ultimi tre anni, hanno ridotto del 77 percento i flussi migratori verso l’Italia. Dobbiamo affrontare il problema alle radici, direttamente in Africa. Serve un ‘Piano Marshall’, finanziato con almeno 50 miliardi di euro dal bilancio Ue, per dare slancio agli investimenti, alla crescita e alla creazione di posti di lavoro nel continente africano”.

 

L’Europa ha bisogno di rinnovarsi. Cosa deve fare l’Europa per raggiungere questo cambio di passo? E quanto è importante dotarsi di regole uniformi?
“L’Europa, così com’è oggi, non è più adatta a rispondere a sfide di portata epocale, come la gestione delle crisi migratorie, la sicurezza e il cambiamento climatico. Oltre ad una vera politica estera e di difesa comune, serve un bilancio Ue pienamente ‘politico’, che rifletta le priorità dei popoli europei su sicurezza, immigrazione e disoccupazione. Per questo, sono necessarie più risorse. Non è il momento per facili demagogie. Un bilancio inadeguato si tradurrebbe nella mera illusione di risparmio. In realtà, comporterebbe più spesa nazionale e l’incapacità dell’Unione di intervenire con politiche efficaci in risposta ai temi chiave. Penso alla lotta alla disoccupazione giovanile attraverso reindustrializzazione e innovazione, la modernizzazione dell’agricoltura, coesione territoriale, transizione energetica, infrastrutture di rete e digitalizzazione. Allo stesso modo, senza incrementare i fondi Ue non è possibile far fronte comune su difesa, lotta al terrorismo, controllo delle frontiere, gestione dei flussi migratori, anche attraverso un vasto ‘Piano Marshall’ per l’Africa. In altri termini, serve un’Europa più politica, più vicina alle preoccupazioni e alle aspettative di circa 500 milioni di cittadini. Al Parlamento europeo - essendo l’unica istituzione Ue eletta direttamente e democraticamente dai cittadini - va riconosciuto un pieno diritto d’iniziativa legislativa. Tuttavia, non è vero che non funziona nulla. Al contrario, l’Europa va cambiata ripartendo proprio dalle sue conquiste, quali il mercato unico basato sulle quattro libertà fondamentali: libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. All’indomani delle devastazioni, morali e materiali, del secondo conflitto mondiale, il progetto europeo è stato una storia di successo. Dobbiamo essere fieri di quanto abbiamo realizzato in oltre 70 anni di storia. Ci ha portato libertà, pace e prosperità durature, con democrazie basate sullo Stato di diritto. Statisti come De Gasperi, Schuman, Adenaur, Spaak, Monnet, Kohl, Mitterand o Gonzales, hanno saputo costruire sulla fiducia, sull’ascolto e sull’amicizia reciproca. Anche grazie a loro, nell’arco di mezzo secolo - dal 1957 al 2007 - i poveri sono scesi dal 41 percento al 14 percento della popolazione europea, e la ricchezza delle famiglie è cresciuta di ben quattro volte, con una riduzione delle disuguaglianze che non ha eguali nella storia dell’umanità. La crisi degli ultimi 10 anni ha interrotto e spezzato questo circolo virtuoso. Ora è necessario cambiar passo, intervenendo dove è necessario, ma senza perdere di vista i nostri punti di forza”.
 
 
L’Italia, come per alcune realtà nel resto d'Europa, sta vivendo un momento di grave difficoltà economica e occupazionale: secondo lei tra disoccupazione e sicurezza c'è un nesso? Com’è possibile affrontare questo tema?
“Gli ultimi dieci anni di crisi hanno allentato la coesione sociale, sia a livello nazionale che europeo. È venuto meno quello spirito di solidarietà tra Paesi, vero motore del processo d’integrazione. Le nuove classi dirigenti non si sono mostrate sempre all’altezza delle sfide e delle responsabilità. Gli interessi elettorali sono stati anteposti, in maniera sistematica, ad una visione d’insieme europea. A causa di questa scarsa lungimiranza, la crisi innescata dai mutui subprime Usa, ha colpito le nostre banche e i debiti sovrani, con un impatto, per alcuni Paesi, equiparabile a quello di una guerra. L’Italia ha perso un quarto della sua base manifatturiera e un terzo degli investimenti, tornando al livello di Pil degli anni ‘90. In molti Stati membri i salari reali sono fermi ormai da 10 anni. Si è allargata la forbice tra i ricchi e poveri, e tra regioni arretrate e sviluppate. L’80 percento della nuova ricchezza va al 15 percento della popolazione più agiata. Questa crescita asimmetrica, non crea sufficienti opportunità di lavoro, specie per i giovani. Per la prima volta da decenni, le nuove generazioni hanno prospettive peggiori dei propri genitori. Oggi, 23 milioni di europei tra i 15 e i 34 anni non studiano e non lavorano. 118 milioni - il 24 percento della nostra popolazione - sono a rischio povertà o esclusione sociale. L’economia globale ha seguito un trend analogo. Rivoluzione tecnologica, libera circolazione dei capitali, mercati sempre più aperti, hanno senz’altro favorito crescita e competitività. Ma hanno anche creato una concorrenza al ribasso su condizioni di lavoro, fisco o standard ambientali. Luoghi di degrado sociale, dove la frustrazione e il senso d’esclusione si mescola e si alimenta con quella dei nuovi arrivati. La paura porta a rinchiudersi, al rigetto del modello di società aperta promosso dall’Unione. Un modello percepito come elitario e distante, capace di portare benefici solo a pochi. Muri, frontiere, nazionalismi, appaiono antidoti rassicuranti. Trump, la Brexit, l’emergere di sovranismi autoritari, il populismo dilagante, sono chiari sintomi di questo malessere. Una politica distratta, incapace di rispondere a queste angosce, istituzioni burocratiche e autoreferenziali, alimentano rabbia e venditori di illusioni. L’unica arma contro queste sirene, è una politica capace di ascoltare e fornire risposte efficaci. La lezione da imparare è che la globalizzazione ha profondamente mutato il concetto di sovranità. Solo a livello sovranazionale si possono offrire risposte a problemi come la gestione dei flussi migratori, la disoccupazione, l’equità fiscale, il terrorismo o i conflitti. Allo stesso modo, servono strumenti comuni europei per difendere i nostri interessi commerciali, tutelare innovazione e creatività, garantire sicurezza energetica e salvaguardare il pianeta. Flussi migratori incontrollati e manodopera a basso costo hanno penalizzano i più deboli. Il nostro modello deve restare l’economia sociale di mercato, dove il mercato è il mezzo per creare lavoro e opportunità per tutti”.
 
 
Secondo lei, l’industria italiana quanto ha bisogno di innovarsi? Sotto quale punto di vista: da quello tecnologico e strategico, a quello occupazionale?
“L’industria e l’intero tessuto produttivo italiano - composto da milioni di piccole e medie imprese - necessitano infrastrutture moderne, accesso al credito e meno burocrazia. Di pari passo, servono regole eque e più efficaci per sostenere chi fa impresa in Europa, proteggendolo da altre economie che non condividono gli elevati standard ambientali, sociali e commerciali dell’Unione europea. Un nodo fondamentale, come ho già ricordato, è quello delle infrastrutture. Avendo ricoperto, in passato, la responsabilità di Commissario europeo ai Trasporti, conosco bene l’importanza strategica delle grandi reti transeuropee, come la linea ad alta velocità della Tav. Quest’opera è prioritaria. L’Italia non può permettersi di restarne tagliata fuori. Interrompere la Tav o altri analoghi progetti infrastrutturali, significa accettarne le conseguenze: chiusura di migliaia di aziende e relativa perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. Se l’Italia è diventata la seconda potenza manifatturiera d’Europa lo deve, oltre alla laboriosità e all’ingegno del nostro popolo, a statisti come Cavour che, quasi due secoli fa, predisponeva un vasto piano di grandi opere pubbliche (tra cui l’attuale tunnel del Frejus, ancora in uso) per recuperare il ritardo economico e industriale rispetto a Francia e Prussia. Oggi, il governo giallo-verde ci dice che vuole tornare indietro, imboccando la via della de-industrializzazione e della decrescita. Nell’interesse di chi? Non certo dei nostri giovani e delle future generazioni. Invece di elargire sussidi a chi vuole restare a casa sul divano, il governo dovrebbe ricordarsi dell’articolo fondante della nostra Costituzione: ‘L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro’. Senza lavoro non c’è libertà, né dignità per la persona”.
 
 
L’Europa che futuro dà ai giovani? Qual è, secondo lei la via da percorrere per un futuro di successo per un giovane italiano? Secondo lei a quale modello europeo si dovrebbe guardare?
Quando parliamo di giovani, dobbiamo parlare di lavoro. La priorità è creare occupazione, offrendo loro l’opportunità di crescere, sia come persone che come professionisti del futuro. Non capisco dove siano la dignità e l’investimento, in termini di qualifiche e crescita, nel promettere un sussidio di circa 800 euro a dei ragazzi che, certamente, preferirebbero essere formati ed integrati, pienamente, nel mercato del lavoro. Modelli interessanti esistono in diversi Paesi. Ad esempio, in Germania, da diversi anni è stato sviluppato il modello ‘duale’ che consiste nell’affiancare lo studio a periodi di inserimento e formazione in azienda. Nessun modello è perfetto, oppure replicabile in un diverso contesto sociale ed economico, tuttavia l’Europa e i governi nazionali possono fare molto, insieme, per rafforzare le politiche di istruzione, formazione ed inserimento nel mondo del lavoro. Oltre a cercare un posto qualificato, dobbiamo anche - e non ultimo - sostenere lo spirito imprenditoriale delle nuove generazioni. Negli Stati Uniti, nonché in Corea del Sud, Giappone e altri Paesi, il numero di giovani che avvia proprie imprese o progetti start-up è nettamente superiore a quello europeo. L’Europa deve tornare ad essere un continente dove conviene intraprendere e rischiare, in proprio, sulla base di un progetto innovativo e del necessario accesso al credito e ai mercati”.
 
 
Nel caso in cui il Regno Unito dovesse uscire dall'Unione europea senza un accordo con Bruxelles, secondo lei come cambieranno gli equilibri in Europa, che ruolo avranno i populismi e che impatto avrebbe la Brexit sull’Italia?
“Non credo che, oggi, ci sia molto da ridiscutere o cambiare. Durante il negoziato con il governo britannico, è stato concesso tutto ciò che si poteva concedere, senza ledere gli interessi prioritari dei cittadini europei. Detto questo, mi auguro che si possa trovare una soluzione positiva ed evitare l'hard Brexit. È difficile che si possa rinegoziare un accordo che era già stato approvato dagli Stati membri. Va benissimo dialogare, ma non credo sia possibile cambiare il testo di un accordo. Il problema è a Londra, non è tra di noi: i 27 Paesi e le istituzioni comunitarie sono schierate sulla stessa posizione, che è quella rappresentata dal capo negoziatore, Michel Barnier. Personalmente, sono preoccupato per il destino dei 3 milioni e mezzo di europei, tra cui 600mila italiani, nel Regno Unito e per il milione di britannici che vivono nell'Ue. Per questo, come presidente del Parlamento europeo ho chiesto che siano mantenuti gli stessi diritti di cui godono oggi. Ma se non ci sarà una soluzione, la nostra priorità sarà tutelare innanzitutto i nostri cittadini che vivono e lavorano a Londra e nel resto del Regno Unito”.
 
 
Che cosa pronostica per il 2019 del Governo italiano? Pensa che l’asse gialloverde finirà per spezzarsi o reggerà?
“È evidente a tutti che quello tra Lega e Movimento Cinque Stelle è un matrimonio contro natura. Nello stesso governo coesistono due forze che, di fatto, si trovano in disaccordo su tutto. Due partiti che perseguono idee e progetti divergenti, in risposta ad elettorati molto diversi. Basti pensare alla realizzazione delle grandi opere strategiche, essenziali per la crescita e l’occupazione del Paese, come la Tav. Al di là degli annunci o degli slogan, l’Italia necessita un governo stabile, forte, in grado di far valere le sue istanze, sia a livello europeo che internazionale. Il lungo negoziato sulla manovra con la Commissione europea è stato concluso con un compromesso sulla pelle dei contribuenti italiani. Dopo uno starnuto di Juncker, Conte, Di Maio e Salvini hanno fatto una precipitosa marcia indietro, cedendo su tutto. Per un governo sovranista non mi sembra un grande risultato. La manovra varata da questo governo è basata sull’assistenzialismo: premia i 5 Stelle e ridimensiona la Lega. È stato esautorato il Parlamento e abbiamo bruciato 300 miliardi di euro. Non c’è una scelta a favore delle grandi opere e dell’industria. La flat tax rimane solo un accenno. Ci sono invece i 780 euro del reddito di cittadinanza. Un segnale negativo a chi lavora e produce e guadagna appena 1.200 euro al mese come gli agenti delle forze di polizia. In altri termini, contro lo spettro di una nuova recessione, le proposte di questo governo sono sbagliate nei contenuti e controproducenti nelle sue deleterie conseguenze. Al nostro Paese serve puntare, oggi e in futuro, sul lavoro e sulla crescita, attraverso una vera politica industriale”.
 
 
È preoccupato del diffondersi del gioco, soprattutto online, e pensa sia un tema cui prestare la massima attenzione?
“La ludopatia è un fenomeno serio e preoccupante, che va limitato e contrastato, con controlli costanti sul rispetto delle normative e con campagne di sensibilizzazione. Tuttavia, la ludopatia non si combatte solo (e semplicemente) con i divieti. Inoltre, dietro al gioco ci sono numerose imprese italiane e migliaia di posti di lavoro. Credo che si debba, quindi, trovare un giusto equilibrio tra una regolamentazione, rigorosa ed efficace, con le esigenze di un settore che - proprio perché disciplinato e controllato dalle autorità competenti - contribuisce ad un gioco consapevole e a ridurre il rischio di gioco clandestino ed illegale, legato alla criminalità”.
 

Articoli correlati