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Fase 2 e giochi: ultimi e senza cassa integrazione, a rischio migliaia di lavoratori

26 maggio 2020 - 08:27

Come se non bastasse essere finiti in fondo alla lista delle riaperture dopo il lockdown, i lavoratori del gioco rimangono scoperti anche dalla cassa integrazione: per un rischio occupazionale di massa.

Scritto da Ac
Fase 2 e giochi: ultimi e senza cassa integrazione, a rischio migliaia di lavoratori

Tra le principali novità contenuto all'interno del cosiddetto “decreto Rilancio” (D.l. 19 maggio 2020, n. 34), come noto, ci sono quelle relative alla Cassa integrazione, ordinaria e in deroga, con il dichiarato obiettivo del legislatore di semplificare l’iter procedurale di domanda a vantaggio delle imprese e di pagamento a favore dei lavoratori. Intervenendo sui singoli articoli del decreto Cura Italia che hanno disciplinato, nella “Fase 1” dell’emergenza, l’integrazione salariale per i dipendenti la cui attività è stata sospesa e ridotta a causa del Covid-19. E provando anche a correggere le criticità emerse, soprattutto, con il decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020 convertito, con modificazioni, nella legge n. 27/2020), oltre a ricondurre nell’alveo della integrazione salariale alcuni settori che ne erano rimasti fuori, come il settore agricolo, di cui si è parlato ampiamente su tutte le prime pagine dei giornali. 

Peccato però che a rimanere fuori dalla copertura, seppure in parte, siano gli operatori del gioco pubblico che oltre a dover subire la beffa di riaprire per ultimi le proprie attività – nonostante altri settori, ritenuti più a rischio, abbiano già rialzato le saracinesche – devono anche fare i conti con la mancanza dell'integrazione salariale, proprio nella fase più delicata dell'emergenza. Ma di questo settore, al contrario degli altri, non si parla praticamente in nessun canale mediatico

LE NUOVE REGOLE PER LA CIG - Come disciplinato dall’articolo 70 del decreto Rilancio (intervenendo sul comma 1 dell’art. 19 del decreto Cura Italia), entrando nell’argomento “Cig in deroga” - che, in questa prima fase di applicazione della causale Covid-19, ha presentato le maggiori difficoltà a fronte di un iter che vede, coinvolte, a vario titolo, le parti sociali, le Regioni e l’Inps, con una serie di adempimenti che hanno causato ritardi e proteste da parte dei lavoratori che, a distanza di mesi, debbono ancora ottenere le erogazioni economiche loro spettanti - si posso individuare diverse modifiche. In primis, la Cig in deroga viene riconosciuta per 9 settimane tra il 23 febbraio ed il 31 agosto: essa può, essere incrementata di 5 settimane se i datori di lavoro hanno già raggiunto il tetto massimo previsto che, a mio avviso, deve essere calcolato seguendo le modalità indicate dalla circolare dell’Istituto n. 58/2009. Le ulteriori 5 settimane sono riconosciute non più dalle singole Regioni ma dall’Inps. Tra il 1° settembre ed il 31 ottobre possono essere riconosciute altre 4 settimane ma l’autorizzazione viene rilasciata sempre dall’Istituto, atteso che le Regioni, come vedremo successivamente, sono state tagliate “fuori”. Per i datori di lavoro che operano nei settori del turismo, delle fiere e congressi, dei parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche le 4 settimane di cui si è appena parlato, possono essere fruite anche in data antecedente purché abbiano già esaurito il “plafond” delle quattordici settimane. In completa assonanza con quanto già detto per la Cigo e per il Fis, con uno “spacchettamento” della Cassa che trova ragione nel fatto di voler evitare la corsa dei datori di lavoro per chiedere l’integrazione per l’intero periodo: una sorta di filtro attraverso il quale si cerca di evitare lo sforamento del “plafond” delle risorse disponibili che ammontano a poco più di 15 miliardi di euro che, tra l’altro, servono a coprire anche “disavanzi” della gestione del primo periodo di cassa Covid-19. 
 
IL “CASO GIOCHI” - Tutto corretto e comprensibile, non c'è dubbio. Ma non per le imprese del gioco, di cui si continua a non parlare. Conti alla mano, infatti, tenendo conto che i locali di gioco sono stati i primi ad abbassare le saracinesche, e in alcuni territori già prima di ogni altra attività e tenendo soprattutto conto che saranno gli ultimi a ripartire, con le prescrizioni dell'ultimo Dpcm che ne vietano la riapertura prima del 15 giugno, per quelle imprese che hanno già attivato la procedura di Cassa integrazione già dalla prima settimana disponibile, l'ultimo settimana di copertura dell'integrazione salariale sarebbe la prima di giugno, fino cioè a domenica 7. Ma se il gioco non potrà ripartire – almeno – prima del 15 giugno, cosa faranno gli imprenditori del comparto, tenendo conto che dovrebbero versare stipendi, contributi e quant'altro a tutti i lavoratori in quei giorni? Anche nel caso in cui tutti i lavoratori avessero delle ferie residue, infatti, ci sarebbero comunque tutti gli oneri previdenziali da versare per queste imprese, in un momento tutt'altro che semplice in cui tutte le aziende sono inevitabilmente in difficoltà, dopo tre mesi di fatturato pari a zero e i costi che comunque continuano ad esserci, e di varia natura. Una situazione che merita di essere risulta, o comunque affrontata, visto che ad oggi non sta accadendo neanche questo: con il comparto del gioco pubblico che non viene preso in nessun modo in considerazione. Tanto più, sapendo che, stando a quanto rileva GiocoNews.it, a trovarsi in questa situazione, cioè con la cassa integrazione in esaurimento, sono la stragrande maggioranza delle aziende, visto che tutte hanno dovuto avviare le procedure fin dal primo momento, per evitare il collasso.
 
RISCHIO OCCUPAZIONALE – Ecco quindi che quello che si prospetta – per il paese, prima ancora che per il settore – è un grande collasso occupazionale con una serie di operatori del comparto giochi che rischia ora di perdere il posto. E anche su questo, ironia della sorte, la faccenda è tutt'altro che semplice. Sì, perché anche le aziende che, per sopravvivere, si vedranno costrette a ridurre il personale per provare a ripartire nei prossimi mesi, non sarà facile neppure licenziare. In primis perché, tra le novità introdotte dal decreto Rilancio, c'è anche l'estensione a cinque mesi del divieto di licenziamento previsto dal precedente decreto Cura Italia: non si potranno quindi applicare licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, così come quelli collettivi. Oltre ad essere sospese tutte le procedure di licenziamento in corso per giustificato motivo. Inoltre al datore di lavoro viene concessa la possibilità, nel caso in cui abbia licenziato per giustificato motivo dal 23 febbraio al 17 marzo, di revocare l’operazione facendo una richiesta di cassa integrazione salariale in deroga per il lavoratore in questione (In questo caso si ripristina il rapporto di lavoro senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro). Fermo restando che, anche quando sarà possibile interrompere un rapporto lavorativo, anche questa operazione comporta dei costi diretti e immediati per un'impresa, che in questa fase si fanno sentire eccome. Ma al di là delle modalità di licenziamento, rimane il rischio occupazionale visto che, se questo rimarrà lo scenario, gran parte delle aziende del comparto salteranno inevitabilmente, non avendo gli strumenti per evitare il tracollo finanziario. Tenendo anche conto che i finanziamenti agevolati concessi dal governo, oltre ad essere spesso preclusi alle imprese del gioco, comportano comunque un ulteriore indebitamento per le imprese, che già si trovano in difficoltà.
 
LA POSSIBILE SOLUZIONE - Diventa quindi ancor più urgente e necessario un intervento governativo mirato al settore dei giochi pubblici, che risolva almeno questa situazione, la quale peraltro non riguarda unicamente questo comparto, visto che ci sono anche altri settori in attesa di ripartire: come quello del turismo e dello spettacolo, con società di eventi, agenzie, hotel e così via che si trovano quindi con situazioni analoghe. Non a caso, lo stesso tema è già stato affrontato anche per quanto riguarda i lavoratori dell'industria dei casinò, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi. E se l'estensione della cassa integrazione in deroga - come pure la concessione di altri strumenti di prevenzione - appare oggi difficile da percorrere, visto che il decreto Rilancio è già legge, e anche il suo iter parlamentare che potrebbe portare a delle modifiche, non si concluderà prima di metà luglio, quando il problema sarà già superato - l'unica soluzione praticabile, seppure indiretta, sarebbe quella di far ripartire le attività già dalla prima settimana di giugno, andando così a risolvere anche tutte le altre anomalie e criticità di cui continuiamo a parlare in questi giorni. Ma su questo, come noto, la decisione spetta al governo e a un comitato ristretto di menti, e non al Ministero dell'Economia e delle finanze. 

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