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Non solo il gioco in lockdown, Pucci (As.Tro): 'Manifesto per riaperture'

22 gennaio 2021 - 15:03

Prosegue il dibattito su attività 'non essenziali' in tempi di Covid e riaperture, dal numero uno di As.Tro l'appello alle categorie interessate: 'Presentiamo al Governo un manifesto comune'.

Scritto da Redazione
Non solo il gioco in lockdown, Pucci (As.Tro): 'Manifesto per riaperture'

"Ogni attività è da considerarsi 'essenziale', per il solo fatto che rappresenta l’unica fonte di sostentamento economico per chi vi opera". Potrebbe essere questa la frase introduttiva del manifesto che il presidente As.Tro, Massimiliano Pucci, propone di presentare al Governo per la riapertura di tutte le attività per le quali l'esecutivo ha disposto la chiusura, qualunque sia il colore di fascia di rischio assegnata alla regione in cui sono dislocate. Un appello a Conte e ai suoi ministri "per evitare la desertificazione economica del Paese, il crollo psicologico e la morte sociale dei suoi cittadini, nonché una guerra tra poveri".

"Serve un punto di svolta - dichiara Pucci - alla rappresentazione esterna delle problematiche che stiamo vivendo e per la prospettazione delle possibili soluzioni per uscire da questo tunnel, in cui siamo tutti imprigionati fin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica tuttora in corso. Il documento - sostiene - trarrebbe la propria autorevolezza non solo dalla vastità del bacino di rappresentanza cui farebbe riferimento ma, anche e soprattutto, dalla novità dell’idea che con esso si dovrebbe riuscire a trasmettere: l’insorgenza di un sentire comune che sta crescendo trasversalmente tra le diverse realtà imprenditoriali presenti nel Paese. A seguito di un incontro congiunto - spiega - ho infatti maturato la convinzione che, al netto dei problemi specifici che riguardano le categorie che ciascuno di noi rappresenta, esiste un tratto che ci accomuna il quale va oltre la triste presa d’atto delle rilevanti perdite economiche che stiamo patendo.

L’elemento che rende veramente peculiare la nostra comune esperienza è costituito dal rappresentare la quasi totalità della platea di imprenditori relegati nell’insieme indistinto delle attività 'non essenziali'; un’impropria classificazione - commenta Pucci - che pecca su due fronti".

Come già asserito dal presidente Acadi Geronimo Cardia (al quale la lettera di Pucci è indirizzata, assieme a Giampiero Gugliemi, presidente Anpals-Ass. Naz. Palestre e Lavoratori Sportivi, Luca De Zolt, funzionario Filcams Cgil Turismo e Ristorazione, Angelo C. Ciaiola, presidente Agi-Ass. Italiana Generici dello Spettacolo e Pasquale Chiacchio, presidente Giocare ltalia), Pucci dichiara: "Prima di tutto, fatta ovviamente eccezione per le attività che offrono beni di prima necessità (tra cui rientrano di certo i generi alimentari e i medicinali), per le quali il parametro dell’ essenzialità presenta indubbiamente connotati oggettivi, per il resto, l’adozione di questo criterio non puó che rispondere a valutazioni soggettive, inammissibili in uno stato liberaldemocratico in cui la sopravvivenza economica dei soggetti è legata alle dinamiche di un’economia di mercato, per cui ogni attività è da considerarsi essenziale, per il solo fatto che rappresenta l’unica fonte di sostentamento economico per chi vi opera.

In secondo luogo - prosegue il numero uno As.Tro -, proprio la realtà che stiamo osservando, ci conferma quanto sia al contempo ingannevole e discriminatoria l’applicazione del concetto di essenzialità: senza voler gettare fango sui settori economici per i quali risulta tuttora consentita la prosecuzione delle attività (anche loro parzialmente penalizzati dall'emergenza epidemiologica), è facile constatare che gran parte di essi non offrono beni primari. Esiste poi una questione di più ampio respiro, di natura squisitamente politica, che riterrei necessario mettere al centro di questo manifesto comune. Una questione che parte dalla consapevolezza che sta già maturando nelle nostre coscienze: se l'attuale situazione non dovesse presentare, entro breve termine, dei positivi segnali di svolta, nel senso di una rilevante attenuazione dell’attuale quadro pandemico e se il Governo non dovesse cambiare le strategie di contenimento fin qui adottate, saremmo inevitabilmente destinati a sparire in maniera definitiva dal panorama economico e sociale del Paese. Viene quindi spontaneo chiedersi se le autorità politiche abbiano presente questa eventualità e, in tal caso, se la considerino come un fenomeno ineluttabile o stiano invece già pianificando gli strumenti necessari a scongiurarla.

Il quesito diventa ancor più pertinente nel momento in cui abbiamo preso atto che lo Stato, per ragioni certamente non tutte imputabili all’attuale Governo, non è in grado di supportare economicamente, in maniera adeguata, gli imprenditori e i commercianti penalizzati dalle restrizioni. Sia chiaro che non intendo contestare il fatto che lo strumento delle limitazioni di alcune libertà economiche e personali sia stato fin qui necessario (al netto di alcuni errori e palesi incongruenze). Mi chiedo peró se l’attuale sistema economico e sociale renda compatibile il protrarsi a tempo indeterminato delle attuali restrizioni, data l’accertata impossibilità (almeno per ciò che riguarda l’Italia) di assicurare gli adeguati sostegni economici a chi ne sta subendo le conseguenze.

Serve lanciare una proposta forte e coraggiosa che consista nell’iniziare quantomeno a immaginare l'idea che, in assenza di una svolta positiva e in tempi brevi del quadro epidemiologico, si debba comunque procedere ad una riapertura generalizzata delle attività economiche e ad un sostanziale allentamento delle limitazioni alla libertà personale. Il tutto, ovviamente, mantenendo le basilari misure di contenimento del contagio e i protocolli di sicurezza specifici per ogni tipologia di attività. Al mantenimento ed al perfezionamento di tali misure, dovrebbe accompagnarsi uno sforzo dello Stato, il quale, al pari di quanto avviene nelle situazioni di guerra, dovrebbe mettere in campo tutte le sue risorse riformando radicalmente, anche con strumenti straordinari la propria capacità decisionale per adeguare il sistema sanitario e le strategie di controllo.

 

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