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Ctd Stanley, commissioni tributarie: 'Imposta unica non dovuta'

17 marzo 2017 - 12:18

Per le commissioni tributarie provinciali di Roma e Bologna l’imposta unica per le scommesse non può essere applicata ai Ctd Stanleybet.

Scritto da Redazione
Ctd Stanley, commissioni tributarie: 'Imposta unica non dovuta'

“È la conferma della correttezza della nostra posizione e sono convinto che quando ci troveremo finalmente di fronte alle alte corti italiane vinceremo noi”. Così John Whittaker, Ceo del bookmaker Stanleybet commenta le sentenze con cui le commissioni tributarie provinciali di Roma e Bologna hanno confermato, con diverse motivazioni, che l’imposta unica per le scommesse non può essere applicata ai Ctd Stanley né tantomeno alla Stanley che la paga già nel suo Paese di autorizzazione.

“Non convincono gli argomenti della ‘italianità’ come esigenze di cassa, non si può far pagare per motivi patriottici” è la conclusione dei giudici, dopo lunga disanima, della commissione tributaria di Bologna.

“Non si trovano motivi per confutare le doglianze”, recita invece la sentenza della commissione tributaria provinciale di Roma, che si chiede come mai allora non la pagano anche i botteghini del lotto e conclude addirittura condannando l’amministrazione al pagamento delle spese processuali.

Più sfumata la posizione di Giovanni Garrisi, Executive Chairman della compagnia di Liverpool che, raggiunto a Enada Rimini durante la fiera, dichiata: “John ha il suo solito approccio nord europeo ma qui siamo in Italia e bisogna tenere presente che malgrado queste vittorie di Stanley, l’amministrazione risulta vincitrice della maggioranza degli scontri sull’imposta unica. Sono anche io fermamente convinto che l’imposta unica, in diritto, non è dovuta dai nostri Ctd che alla fine questo sarà confermato dalla Suprema Corte di Cassazione. Però una vittoria finale tra forse 5 anni che senso ha? Non siamo alla ricerca di vittorie di Pirro. È il momento di dichiarare la fine delle ostilità e passare dallo scontro al confronto. Annullare, reciprocamente, tutto il contenzioso in essere e parlare del futuro e di una Stanley che deve passare dallo stato di ‘diversamente legale’ a quello di operatore primario del circuito legale.”

I Ctd oggetto delle sentenze a loro favore erano difesi dallo studio dell’avvocato Daniela Agnello.

Il Giudice tributario, con ampia motivazione ha richiamato le recenti sentenze della Corte di Giustizia Ue e della Corte di Cassazione per affermare i seguenti principi di diritto: Italianità – Esigenze di cassa. La Commissione statuisce che “…non si può far pagare l’imposta ad un operatore comunitario sottoponendolo a doppia imposizione solo per motivi patriottici”.
Tributo non armonizzato. Il Giudice stabilisce che “…la questione del tributo non armonizzato non può essere motivo di discriminazione dell’operatore comunitario, cui peraltro è stato vietato di stabilirsi in Italia con una procedura discriminatoria (come acclarato dalla Corte di Giustizia)”.
Abuso del diritto. “Sull’abuso di diritto, per cui un soggetto migra surrettiziamente per non pagare le tasse sul suolo nazionale, soccorrono invece sia la sentenza della Cassazione e le sentenze della Corte di Giustizia che hanno statuito che l’operatore Stanley è stato discriminato”.
La Commissione aggiunge che il centro ha funzione meramente ausiliaria e che non avendo potere decisorio né rischio economico, percepisce soltanto una commissione da parte dell’operatore comunitario.
Il Giudice conclude che diversamente si avrebbe una violazione dei principi costituzionali, e in particolare, del canone della capacità contributiva prevista dall’art. 53 Cost. in forza del quale ciascuno deve concorrere alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva.
A Roma la Commissione non trova nella difesa dell’ADM “valida motivazione atta a confutare le doglianze proposte a difesa del ricorrente” e condanna l’amministrazione a pagare le spese processuali.
Anche in sede tributaria, quindi, si può affermare che l’imposta unica applicata ai centri Stanleybet rappresenta l’ennesimo tentativo per impedire all’operatore anglo-maltese di competere con i concessionari italiani in condizioni di parità imprenditoriale e concorrenziale.

 

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