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Scommesse, Ctd e imposta unica: Cianferotti, 'Necessario intervento del legislatore'

02 marzo 2020 - 08:24

Sull’assoggettamento a imposta unica dei Ctd che operano per bookmaker esteri privi di concessione, i dubbi di incostituzionalità e la giurisprudenza Ue rendono necessario e urgente un intervento legislativo.

Scritto da Ac
Scommesse, Ctd e imposta unica: Cianferotti, 'Necessario intervento del legislatore'

Il tema della tassazione delle vincite conseguite nei Centri trasmissione dati (Ctd) collegati a bookmaker esteri che raccolgono scommesse in Italia senza concessione, continua a tenere banco nel settore. Specialmente all'indomani della pronuncia della Corte di giustizia europea dei giorni scorsi. A fare il punto della situazione, attraverso un'analisi completa delle norme e della giurisprudenza, è il legale Niccolò Cianferotti, esperto di giochi, fiscalità e tributi.

“È noto che nel sistema concessorio nazionale, l’Imposta unica sulle scommesse debba essere assolta dal concessionario - così come disposto dall’articolo 16 del Decreto ministeriale 111/2006. Di contro, nel caso di bookmaker esteri privi di concessione, l’articolo 1, comma 66, della Legge 220/2010, ha disposto che l’Imposta Unica sia comunque dovuta, ancorché la raccolta del gioco avvenga in assenza oppure in caso di inefficacia della concessione, e che l’articolo 3 del Decreto Legislativo 504/1998 si debba interpretare nel senso che soggetto passivo d’imposta sia chiunque gestisca - con qualunque mezzo (anche telematico), per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero - concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere: il Ctd appunto. Pertanto, se l’attività di 'gestione' delle scommesse viene svolta per conto di terzi senza concessione, il soggetto per conto del quale l’attività sia esercitata sarà obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta unica insieme al Ctd che 'gestisce' le scommesse per suo conto.

La ratio dell’intervento legislativo rientra ovviamente nel contrasto al gioco gestito al di fuori del canale del monopolio statale e nell’intento di assoggettare tali fattispecie a imposizione fiscale.
Ebbene, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 27 del 2018, ha dichiarato legittima l’equiparazione dell’imposizione su chi gestisce le scommesse per conto proprio (concessionario o bookmaker) e chi le gestisce per conto altrui (Ctd). Il Giudice delle Leggi, al punto 4.2 della stessa sentenza, afferma cosa si debba intendere per gestione delle scommesse del Ctd: “sebbene non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, il titolare della ricevitoria svolge una attività di «gestione» attraverso la propria organizzazione imprenditoriale. Esso assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta; si occupa della trasmissione al bookmaker dell'accettazione della scommessa, dell'incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure ed istruzioni fornite dal bookmaker. Tali elementi configurano quell'attività di “gestione” delle scommesse che costituisce il presupposto dell'imposizione”. Pertanto, quando sia presente l’attività di “gestione” delle scommesse per bookmaker estero privo di concessione - attività che dovrà essere l’Ufficio a provare rigorosamente in sede di accertamento ed eventuale contenzioso -, allora il Ctd potrà essere ritenuto soggetto passivo d’imposta. 
In tal senso, secondo la Corte, l’equiparazione del Ctd, che opera per bookmaker estero privo di concessione, al concessionario italiano non è incongrua né irragionevole, ma risponde al principio di lealtà fiscale, volto a evitare l’altrimenti irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio - i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione. La norma del 2010 crea, quindi, una solidarietà passiva per l’assolvimento dell’imposta unica tra i Ctd, che gestiscono le scommesse per conto di bookmaker esteri privi di concessione, e questi ultimi. Il Giudice delle Leggi, inoltre, ribadisce un importante principio in tema di solidarietà passiva dell’imposta unica: “nei rapporti interni, i coobbligati in solido rimangono liberi di regolare il riparto dell’onere tributario che il legislatore, con la previsione del vincolo della solidarietà passiva, pone a carico di entrambi”. 
Secondo la Corte, ciò consente di non violare il principio di capacità contributiva ex art. 53 Costituzionale, in quanto il Ctd avrebbe la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker estero per conto del quale opera, mediante la contrattazione delle commissioni con quest’ultimo. Tale asserzione pare, tuttavia, inverosimile se riportata alla realtà dei rapporti economici. Com’è facile immaginare, infatti, il Ctd si trova in una posizione contrattualmente “debole” ed è spesso costretto a firmare contratti precompilati e, pertanto, difficilmente soggetti a contrattazione. Ciò, ovviamente, non permette di trasferire il carico tributario sul bookmaker estero. Il Ctd rischia così di venir inciso definitivamente dalla pretesa tributaria. Si consideri poi che, nella maggioranza dei casi, il Ctd non è al corrente dell’irregolarità del bookmaker con il quale stipula il contratto.  Pertanto, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale, tale rischio per i Ctd risulta assai concreto e va affrontato – se possibile – in sede di firma del contratto con il bookmaker, inserendo apposite clausole di riparto dell’onere tributario.
In ogni caso, in merito alla possibilità di recuperare gli importi tributari definitivamente accertati dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del Ctd, qualora questo non abbia previsto contrattualmente un riparto del relativo onere tributario con il bookmaker estero, si ritiene che lo stesso possa agire nei confronti del bookmaker per il recupero quantomeno della metà delle somme definitivamente accertate nei propri confronti. Ciò in ragione dell’art. 1298, c. 2 c.c., che disciplina i rapporti interni tra i condebitori in solido. Ebbene, come espressamente stabilito dall’articolo, nei rapporti interni tra condebitori solidali, “le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente”.
 
I DUBBI DI INCOSTITUZIONALITÀ - In merito all’assoggettamento a imposta unica dei Ctd che operano per bookmaker esteri privi di concessione, è necessario analizzare la recentissima pronuncia C-788/18 di mercoledì 26 febbraio 2020, StanleyParma sas e Stanleybet Malta ltd c. Agenzia delle Dogane. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Provinciale di Parma, con ordinanza n. 565/III/2018, aveva sollevato questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ponendo alla Corte di Giustizia il quesito se i principi di libera prestazione dei servizi, parità di trattamento e non discriminazione ostino a una normativa nazionale che preveda l’assoggettamento a Imposta Unica dei Ctd, che operano per conto di operatori stabiliti in Stati membri diversi e non per i le agenzie, punti o negozi che operano per conto di concessionari statali, pur svolgendo la stessa attività dei primi. Ebbene, secondo la Corte, “a differenza dei Ctd che trasmettono i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali, la Stanleyparma raccoglie scommesse per conto di Stanleybet Malta, che ha sede in altro Stato membro. Essa non si trova quindi, alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011, in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali”. 
In pratica, la Corte di Giustizia stabilisce che l’assoggettamento a imposta unica dei Ctd che svolgono attività di gestione delle scommesse per conto di bookmaker esteri - in solido con questi ultimi - non creerebbe una disparità di trattamento, né una limitazione alla libera prestazione dei servizi nei confronti di quelle agenzie, punti o negozi che invece svolgono attività di intermediari per i soli concessionari nazionali. Questo perché i due soggetti non si trovano in una posizione analoga alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011. Tali obiettivi sono, evidentemente, il contrasto all’evasione fiscale, come implicitamente affermato dalla Corte e come stabilito dall’art. 1, c. 64, della L. 220/2010. 
La motivazione non risulta persuasiva, perché pare evidente che entrambi i soggetti svolgano un’attività identica, sia a favore del concessionario nazionale, che del bookmaker estero. La ratio del contrasto all’evasione fiscale, inoltre, non pare sufficiente a giustificare una tale disparità di trattamento. 
Si rende, quindi, opportuno sollevare nuova questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., in ragione del fatto che sono trattate diversamente situazioni in realtà identiche tra loro per mere ragioni di contrasto all’evasione fiscale. Infatti, la Corte Cost. con la sentenza n. 27 del 2018, sopra ricordata, aveva dichiarato rispettato il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nel caso di equiparazione, ai fini tributari, del gestore per conto proprio (il bookmaker) rispetto al gestore per conto terzi (il titolare di ricevitoria/Ctd) e, quindi, “in via verticale”. 
Tuttavia non si era pronunciata in merito all’eventuale violazione del principio di uguaglianza “in via orizzontale”, dovuto cioè al differente trattamento che si viene oggi a creare in capo a soggetti identici, ossia l’agenzia del concessionario italiano, non soggetto a Imposta Unica, e il Ctd che opera per bookmaker estero, questo sì soggetto a Imposta Unica. Entrambi, infatti, possiedono quegli elementi che configurano l'attività di «gestione» delle scommesse che, nelle parole della Corte Costituzionale, “costituisce il presupposto dell'imposizione”, ma sono trattate diversamente ai fini fiscali.
 
GIOCATORE SOGGETTO PASSIVO D’IMPOSTA? - Infine, pare utile affrontare un punto dibattuto, quello relativo all’eventuale tassazione in capo ai singoli giocatori delle vincite realizzate in Italia presso i Ctd che operano per conto di bookmaker esteri. È noto che nel sistema concessorio nazionale, è prevista una ritenuta alla fonte sulle vincite, ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. n. 600/73 e lo scommettitore non deve dichiarare alcunché. Al contrario, qualora lo scommettitore ottenga vincite presso i Ctd di bookmaker esteri non autorizzati, la ritenuta non opera e le vincite andrebbero conseguentemente dichiarate dallo stesso scommettitore a titolo di redditi diversi e assoggettate a Irpef. Risulta prima facie evidente che nessun giocatore assennato, che effettui scommesse in questo ambito, si azzarderebbe (è proprio il caso di dirlo) a dichiarare tali vincite, autodenunciando una fattispecie di reato perseguibile penalmente. È noto, infatti, che l’art. 4, c. 3 della L. 401/1989 punisce con l'arresto fino a tre mesi o con l’ammenda pecuniaria da Euro 51 a Euro 516 chiunque partecipa a concorsi, giochi, scommesse illegali o comunque gestite da soggetti sprovvisti delle necessarie autorizzazioni. Non solo. La fattispecie di tassazione in capo allo scommettitore delle vincite, che quest’ultimo ottenga presso bookmaker esteri, pare violare anche i principi comunitari. Infatti, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha più volte ritenuto violata la libera prestazione di servizi in merito a normative nazionali che impongono la tassazione, in capo a persone fisiche, di vincite provenienti da lotterie e scommesse estere e non, invece, per vincite derivanti da scommesse e lotterie nazionali. In ogni caso, le vincite dello scommettitore risulterebbero “visibili” all’Erario solo in caso di versamento delle stesse su canali telematici (es. conti correnti, carte di debito etc.) mentre, nella gran parte dei casi, questo non avviene.
 
LE CONCLUSIONI - Per tutti questi motivi, e alla luce delle ulteriori criticità sopra elencate, ad oggi è arduo per l’Amministrazione finanziaria accertare tale “evasione” in capo allo scommettitore, sia perché non sembra attribuibile al singolo giocatore la figura di soggetto passivo d’imposta, sia, soprattutto, perché risulta concretamente difficile per l’Erario procedere a tale accertamento. Appare, quindi, necessario un intervento del legislatore che ponga rimedio alle criticità sopra evidenziate.

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