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Cassazione: intermediario di una società senza concessione punibile per scommesse clandestine

16 aprile 2013 - 16:29

La Corte di cassazione - Sezione II penale – ha emesso una sentenza secondo la quale è punibile per esercizio abusivo dell’attività di gioco e per scommesse clandestine l’intermediario di una società straniera, abilitata nel proprio paese, che opera in Italia senza la prescritta autorizzazione. La sentenza prende le mosse dal ricorso presentato da alcuni centri di raccolta che operavano in Italia per conto di una società austriaca.

Scritto da Sm

"Proprio sulla scorta di quanto stabilito dalla Corte Europea di giustizia e dalla Corte di Cassazione, doveva confermarsi che l'attività posta in essere dagli imputati violava le disposizioni dettate in materia, perchè nessuna concessione e nessuna autorizzazione erano state chieste all'autorità italiana per effettuare la raccolta di scommesse nel territorio dello Stato".

I PRINCIPI  - In particolare, secondo i giudici "non può essere condiviso" l'assunto che si fonda sulla premessa che "l'intermediario che agisce in Italia per conto di un bookmaker estero non deve richiedere la licenza (ex. art 88 del Tulps) allorché il delegante sia munito di regolari titoli abilitativi nel Paese di origine, in quanto il preventivo rilascio dell'autorizzazione di polizia costituirebbe una limitazione del diritto di stbilimento". In primis, perché non supportato dalla giurisprudenza della stessa Corte, e inoltre perché viene contraddetto da precedenti sentenze.
Fermi restando i principi più volte ribaditi dalla Corte Ue sulla legittimità delle restizioni monopolistiche, "la sentenza Placanica e le altre che l'hanno preceduta non affermano assolutamente che l'intermediario debba essere dispensato da qualsiasi controllo allorché il delegante sia munito nel Paese di origine di titoli abilitativi idonei". In più, "la normativa interna che prevedeva e prevede per l'attività di raccolta scommesse non solo il previo rilascio di una concessione, ma anche di un'autorizzazione di publbica sicurezza, non è stata in passato ritenuta in contrasto con il diritto comunicario oer la richiesta del doppio titolo abilitativo, in quanto tale, ma per le concrete modalità applicative, ritenute in alcuni casi discriminatorie". Per esempio, specificano i giudici, "allorché si è impedito a società di capitali di partecipare alle gare per l'assegnazione delle concessioni per l'anonimità delle aziono o si è negata all'intermediario l'autorizzazione di cui all'rticolo 88 solo perché il delegante non aveva potuto partecipare alla gara".
E nel caso in esame la Corte ha rilevato che la licenza di Pubblica sicurezza non era nemmeno mai stata richiesta.

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