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Napoli, Tar Campania: 'Limiti al gioco tutelano salute dei cittadini'

28 dicembre 2020 - 12:51

Nuova sentenza favorevole al Comune di Napoli nel contenzioso con gli operatori sulla legittimità del regolamento e dell'ordinanza sul gioco varati fra 2015 e 2016.

Scritto da Fm
Napoli, Tar Campania: 'Limiti al gioco tutelano salute dei cittadini'


Continuano le conferme del Tar Campania alla "bontà" del regolamento e dell'ordinanza sul gioco varati dal Comune di Napoli. 


Con una nuova sentenza, emessa oggi 28 dicembre, il tribunale amministrativo ha infatti respinto il ricorso di un gestore per l'annullamento della comunicazione di irricevibilità della Scia dell'attività di installazione di apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici emessa dal comune partenopeo.

Stando a quanto si legge nella sentenza "la dichiarazione del Comune di irricevibilità della Scia si fonda, in particolare, sulla mancata allegazione dei due 'nuovi allegati' resi obbligatori dal 'Regolamento sale da gioco e giochi leciti' approvato con deliberazione del consiglio comunale" nel 2015.

 

Nella fattispecie, la "Relazione tecnica di asseverazione integrazione" a firma di un tecnico abilitato, con la quale il professionista dovrebbe attestare che: "... il locale dove viene svolta l'attività è ubicato a piano terra e non all'interno o adiacente unità immobiliari residenziali; non rientra nel perimetro del centro antico cittadino; non rientra nell'area del centro storico della Municipalità di pertinenza così come perimetrata zona A del vigente Prg; è distante oltre 500 metri (misurati per la distanza pedonale più breve) dai luoghi sensibili; dista oltre 200 metri da sportelli bancari, postali o bancomat, agenzie di prestiti di pegno o attività in cui si eserciti l'acquisto di oro, argento od oggetti preziosi; che il locale ha una capienza inferiore alle 100 persone e una superficie lorda in pianta al chiuso inferiore a 200 mq e che, pertanto, per l'esercizio dell'attività non è necessaria la presentazione di Scia di prevenzione incendi".
L'altro allegato richiesto è la "Dichiarazione obbligatoria integrativa" a firma del soggetto richiedente, con la quale lo stesso "letto il regolamento 'Sale da gioco e giochi leciti' di cui alla deliberazione del consiglio comunale  n.74 del 31/12/2015, dichiara di averne preso visione e di rispettare le disposizioni ivi contenute".
 
 
I giudici amministrativi campani hanno ritenuto infondati i motivi di ricorso secondo i quali: il "provvedimento impugnato si baserebbe su assunti privi di riscontri oggettivi e di accertamenti positivi, facendo riferimento ad assunti di portata generica, non sopportati da dati scientifici", sarebbero "inammissibili le qualificazioni degli apparecchi da divertimento e intrattenimento come "macchine mangia soldi" (cfr. punto 1 delle premesse) nonché il costante uso, nell'ambito del provvedimento, del termine "gioco d'azzardo".
 
Secondo il Tar però "con la delibera n. 993 del 2013, l’amministrazione aveva illustrato precisi dati a supporto delle proprie determinazioni: si chiariva infatti che la diffusione del gioco ha comportato in Campania una spesa attestatasi sugli 8,9 miliardi di euro nel 2011, calcolato nella città di Napoli sul numero totale degli utenti che, nell'anno 2012, ha fatto ricorso ai servizi sanitari della Asl Na I Centro. Di questi, il 91 percento è rappresentato da maschi, il 9 percento da femmine, mentre le fasce d'età più rappresentate sono quelle dai 35 anni ai 39 anni (pari al 20 percento del totale) e oltre i 65 anni (pari al 16 percento degli accessi totale).
L'analisi compiuta sul fenomeno del gioco d'azzardo nella città di Napoli rende giustizia sul fatto che l’amministrazione ha compiuto un’adeguata istruttoria, fondata anche su un’attenta indagine statistica precedente l’adozione del contestato Regolamento. In questo senso, le scelte operate dall’amministrazione comunale non appaiono affatto arbitrarie ma si fondano su ricerche e dati statistici che confermano la tesi – non certa in via assoluta ma pur sempre fornita di elementi plausibili - del collegamento riscontrabile tra l’aumento della diffusione sul territorio delle sale da gioco e l’incremento della tendenza alla ludopatia”.
 
 
Per il Tar Campania quindi sono "prive di pregio" le censure relative ai limiti di distanza imposti alle sale da gioco ritenendole "dirette al perseguimento di finalità prevalentemente di carattere socio-sanitario" (ricordando che sebbene "non siano stati ancora fissati i parametri di distanza da luoghi sensibili per l'intero territorio nazionale, ciò tuttavia non impedisce alle Regioni e agli Enti locali di esercitare il proprio potere concorrente indirizzato alle medesime finalità").
Inoltre, "in considerazione del pericolo di infiltrazione mafiosa, nell’ambito del gioco lecito" appare del tutto comprensibile che la verifica da parte del Comune di Napoli non si limiti ai soli locali già in esercizio ma si estenda anche ai requisiti soggettivi degli operatori che gestiscono o subentrano nell’attività del gioco d’azzardo. "È da rammentare infatti che, in base all’art. 8 del regio decreto n. 773 del 1934, le autorizzazione di polizia sono, in linea di principio, strettamente personali (cfr. Cons. St. n. 4424 del 2018 di conferma della pronuncia della Sezione).
Diversamente, i passaggi successivi nella titolarità o nella gestione delle sale da gioco sfuggirebbero a qualsiasi possibilità di verifica preventiva ovvero di controllo da parte dell’amministrazione comunale.
Le prescrizioni regolamentari sul punto si sottraggono pertanto ai dedotti profili di irragionevolezza, rispondendo ad un chiara esigenza pubblica di monitorare in via continuativa e permanente i requisiti soggettivi ed oggettivi degli operatori del settore".

Poi "le previsioni regolamentari che estendono la loro efficacia anche ai soggetti già autorizzati risponde alla giustificabile esigenza di bilanciare l’interesse alla salvaguardia delle attività economiche con quella legata alla prevenzione delle ludopatie la quale, come sopra illustrato, rientra nell'ambito delle esigenze di tutela della salute, in linea con i principi fissati dall’art. 32 della Costituzione.
D’altronde, la Corte costituzionale in più occasioni (sentenze n. 264 e n. 15 del 2012, n. 303, n. 238 e n. 93 del 2011, n. 317 e n. 311 del 2009, n. 362 e n. 172 del 2008) ha rammentato che il legislatore, nei limiti del criterio di ragionevolezza e senza mai “incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, può valutare la scelta tra retroattività e irretroattività”.

Rispediti al mittente anche i motivi di ricorso che hanno richiamato "la violazione del principio di libertà di iniziativa economica, nonché del Dl 138/2011 e dell'articolo 117, comma 2, lettera h) della Costituzione, lamentando, altresì, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e mancato contemperamento degli interessi in gioco, disparità di trattamento e sviamento".
 
I giudici amministrativi campani quindi evidenziano che "il potere regolamentare generale è attribuito al consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 del d. lgs. 267 del 2000, in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo. Riguardo ai poteri del sindaco, l'articolo 50, comma 7, Tuel, prevede che 'Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti'".
 
Nel caso di specie, si legge ancora nella sentenza, "il consiglio comunale ha introdotto previsioni sull’orario di esercizio le quali si pongono quali parametri generali ai quali il sindaco si è attenuto nell’adozione dell’ordinanza applicativa".
Perciò "le limitazioni in termini orari all'attività degli esercizi commerciali si giustificano, in conformità ai principi costituzionali in tema di salute pubblica e della normativa comunitaria sulla libertà dell'iniziativa economica, con la necessità di prevenire il fenomeno della ludopatia, particolarmente tra le fasce più deboli della popolazione.
La normativa in materia di gioco d'azzardo, con riguardo alle conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso ai giochi degli utenti, non è riferibile alla competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all'art. 117 comma 2 lett. h), Cost., bensì più propriamente alla tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica.
Questo ambito di tutela dell’interesse pubblico rientra nelle attribuzioni del Comune, ai sensi degli artt. 3 e 5 Tuel".

In conclusione, la disciplina degli orari delle sale da gioco è quindi "volta a tutelare in via primaria non l'ordine pubblico, ma la salute ed il benessere psichico e socio economico dei cittadini, compresi nelle attribuzioni del Comune; pertanto, il potere esercitato dal sindaco nel definire gli orari di apertura delle sale da gioco non interferisce con quello degli organi statali preposti alla tutela dell'ordine e della sicurezza, atteso che la competenza di questi ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi della comunità locale, con la conseguenza che le rispettive competenze operano su piani diversi e non concomitanti, in linea con il riparto delle competenze legislative di cui all'art. 117 comma 2 lett. h), Cost. (Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4794).
Ed infine, quanto alla concreta regolamentazione degli orari, se è pur vero che “resta sempre possibile sostituire l'accesso fisico alle sale-giochi con quello virtuale ai siti informatici, o ricercare all'interno del territorio regionale aree in cui il gioco non sia soggetto alle stesse limitazioni, non ne deriva per ciò solo una preclusione ad introdurre vincoli utili a contenere il fenomeno” (v. Tar Veneto, Sez. III, 16 luglio 2015 n. 811).
“Né rileva l'eventuale mancata consultazione delle associazioni di categoria ... non essendo detta consultazione imposta dall'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dall'art. 31, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, e non essendo desumibile un simile obbligo neppure dai principi generali, per rientrare la fattispecie nell'esonero dalle garanzie partecipative dettato per i procedimenti di approvazione di atti generali dall'art. 13 della legge n. 241 del 1990 (v. TAR Toscana, Sez. 11, n. 1415/2015).
Circa, poi, il lamentato difetto di motivazione la limitazione degli orari di attivazione delle apparecchiature da gioco costituisce uno strumento concretamente idoneo a contenerne la possibilità di utilizzo (Tar Emilia Romagna Sez. I, n. 1023/2015)".

Bocciati anche i motivi di ricorso  con cui la società ricorrente lamenta la violazione di legge e l’eccesso di potere. Deduce, in particolare, che "nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere valido ed efficace il Regolamento adottato dal Comune di Napoli con la delibera del consiglio comunale n. 74/2015, con conseguente valida previsione da parte del Comune dei citati 'Nuovi allegati obbligatori' da allegare alla Scia, si dovrebbe però considerare che, nel caso di specie, troverebbe applicazione l'art. 25 del 'Regolamento sale da gioco e giochi leciti", contenente le "Disposizioni finali e transitorie'.
in merito alla dedotta applicabilità, al caso di specie, dell'art.25 del Regolamento in questione, si rileva che il ricorrente non rientra nelle previsioni del citato articolo in quanto questo si riferisce a soggetti titolari di autorizzazione rilasciata dal Comune e non di certo ai titolari di autorizzazione rilasciata dalla Questura o da altri enti.
Non appare inoltre ultroneo sottolineare che l’autorizzazione ex art. 88 Tulps sia stata rilasciata, per stessa ammissione di parte ricorrente, il 3.02.2016, ovvero in data successiva a quella dell’entrata in vigore del contestato regolamento, il 4.01.2016, sicché parte ricorrente non può ascriversi, contrariamente a quanto asserito, alla categoria degli esercizi già autorizzati. In conclusione, il ricorso è infondato e va quindi respinto", recita la sentenza.
Quanto alle deduzioni con cui la ricorrente sostiene nelle memorie finali che la legge regionale n. 2 del 2020 "confermerebbe la fondatezza delle proprie tesi (contenendo disposizioni differenti e reputate maggiormente favorevoli, quanto a distanze ed orari), va ribadito che dalle nuove previsioni non deriva l’illegittimità del Regolamento impugnato, il quale va esclusivamente valutato sulla base dei presupposti di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione e considerando le ragioni che ne hanno dettato l’adozione".
 
 
 

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