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Milano, convegno sul gioco: Unipol 'No investimenti in aziende gambling'

04 giugno 2015 - 10:53

Dinanzi a una situazione complessa e articolata occorre intervenire con “approcci che siano capaci di agire concretamente su questa situazione o si rischia lo stallo”. Si è aperto con queste parole il convegno 'Calcolare il rischio non è mai un azzardo', che si è tenuto questa mattina al Centro San Fedele di Milano.

Scritto da Marco Dotti
Milano, convegno sul gioco: Unipol 'No investimenti in aziende gambling'

 


Parole che pesano, perché a pronunciarle è Pierluigi Stefanini, presidente di Unipol, il principale gruppo assicurativo nel settore danni che si appresta alla definizione del piano industriale che lo impegnerà nei prossimi tre anni. Siamo “condannati a una scelta strategica fondamentale: produrre innovazione e coerenza”, ha ribadito Stefanini, “e in questa innovazione e coerenza, ribadire il ruolo sociale di un’assicurazione in un contesto di stress economico e di diffusa fragilità sociale”. Una fragilità sociale che, oggi, è posta più che mai sotto assedio da un fenomeno che, negli anni ’80, il sociologo americano Robert Putnam definiva 'gambling alone', l’azzardo in solitudine legato alla diffusione indiscriminata, deregolata o regolata male del gambling.


CAPITALE SOCIALE A RISCHIO - Per Putnam – richiamato in apertura del convegno a cui hanno partecipato il sociologo Maurizio Fiasco, gli psicologi Mauro Croce e Simone Feder, oltre al vicesindaco di Milano Ada Lucia De Cesaris e  Stefano Boni, responsabile regionale Confesercenti dei Pubblici esercizi - ciò che il gambling diffuso mette a rischio è la relazionalità del capitale sociale, ossia il radicamento di una microeconomia fondata sulla fiducia, sul civismo e sulla tenuta delle reti civiche.  In questo senso, Marisa Parmigiani, responsabile corporate responsability di Unipol, ha illustrato il piano di azione che Unipol intende "mettere in campo”. In questo senso, ha osservato la Parmigiani, il tema dell’azzardo diffuso e del machine gambling è da tempo un rischio monitorato dal settore assicurativo. Lo è a tal punto da essere indicato da tutti i report come “rischio che toccherà il settore nei prossimi 5 anni”. Come ha agito o reagito Unipol a questo rischio? Prima di tutto, ha osservato la Parmigiani, “abbiamo monitorato il nostro patrimonio e i nostri investimenti.
Ci siamo guardati dentro per capire e fare la nostra parte, senza dire per questo che altri debbano fare lo stesso”.  


NO CREDITI AD AZIENDE DEL GIOCO - E che cosa hanno capito, quelli di Unipol?  Ha capito, ci dice Marisa Parmigiani che in termini di partecipazione “non abbiamo riscontrato alcun tipo di elemento che andasse in direzione del settore del gioco. Anzi: abbiamo identificato un investimento sul mercato di Londra, che abbiamo dismesso. Poi, ci resta in pancia un investimento infinitesimale – 0,007% - in un private equity che siamo costretti a portare a scadenza, ma nient’altro”.  Per credit policy, ha proseguito la Parmigiani, “abbiamo poi deciso di non concedere crediti a aziende collegabili al settore del gioco d’azzardo”. Sul piano delle assicurazioni, i nuovi prodotti assicurativi sono stati tarati sul fenomeno, con diverse classi di rischio.  

 

TUTTI SI ASSUMANO PROPRIA RESPONSABILITA' - Mentre l’esame delle società diversificate di UnipolSai mostra, infine, come non risultano locali affittati negli immobili di proprietà del gruppo dedicati ad attività prevalentemente di gioco o che siano dati in locazione a società collegate al settore gambling. Infine, con riferimento ai dipendenti, le attività di comunicazione risultano orientate a fornire indicazioni trasparenti per il contrasto ai fenomeni delle dipendenze, dei comportamenti devianti o problematici. Detto del core business di Unipol, anche sugli investimenti futuri il Gruppo si è impegnato – grazie a un lungo lavoro di studio, condotto in collaborazione con l’economista Marcello Esposito del Movimento No Slot - a non investire in settori, aziende o fondi legati al settore del gioco. Perché? Per mera postura etica? “Certamente”, ha ribadito la responsabile di Unipol, ma anche perché, pur a fronte “di un settore che sul piano macroeconomico muove grandi fatturati, crea certamente occupazione e lavoro, noi però non possiamo non riflettere – perché è il nostro mestiere – sui mutamenti microeconomici”. Illuminare il micro, oltre che il macro, assumendosi – ognuno, senza deleghe, fiscali o non – le proprie responsabilità è, forse, un piccolo passo, ma è il passo necessario per uscire da un’impasse che rischia di far danni a tutti.

 

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