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Cds: 'Legittima ordinanza orari sale gioco del sindaco di Salerno'

03 agosto 2015 - 10:27

Il Consiglio di Stato ha respinto con una sentenza il ricorso presentato da un operatore del gioco contro il Comune di Salerno per la riforma della sentenza del Tar Campania che legittimava la disciplina degli orari di apertura delle sale da gioco e di utilizzo (di accensione e di spegnimento) dei video-giochi e slot-machine, posti all’interno di altri esercizi commerciali e pubblici esercizi.

Scritto da Redazione GiocoNews
Cds: 'Legittima ordinanza orari sale gioco del sindaco di Salerno'

 


Secondo il ricorrente era da riscontrabile "l’illegittimità per incompetenza sindacale" nel disciplinare gli orari degli esercizi, aggiungendo anche l’ulteriore limite degli orari di utilizzo (di accensione e di spegnimento) dei video-giochi e slot-machine, posti all’interno dei locali.


LE MOTIVAZIONI - Per i giudici del Consiglio di Stato risultano infondati i profili di censura prospettati da parte appellante "secondo cui non sussisterebbe una competenza sindacale, trattandosi di materia di competenza statale e, nel caso specifico, del Questore ai sensi dell’art. 88 TULPS e dell’art. 2, comma 2 quater del D.L. n. 40/2010, convertito con L. n.73/2010, in quanto la competenza del Questore ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi della comunità locale e quindi le rispettive competenze operano su piani diversi e non è configurabile alcuna violazione dell’art. 117, 2° comma 2, lettera h) della Costituzione. Tale conclusione ha trovato ulteriore conferma nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 31 marzo 2015, che proprio in tema di rapporti di concessione di servizio pubblico, ha riconosciuto connaturata al rapporto la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie 'ancor più, allorché si verta in un ambito così delicato come quello dei giochi pubblici, nel quale i valori e gli interessi coinvolti appaiono meritevoli di speciale e continua attenzione da parte del legislatore. Proprio in ragione dell'esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all'attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall'art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell'ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d'età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08)'. La stessa giurisprudenza di questa Sezione (sentenza n. 3271/2014) ha riconosciuto che il regime di liberalizzazione degli orari dei pubblici esercizi, applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all'amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; con la precisazione, tuttavia, che ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati dall’art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011 (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute).
Pertanto una lettura coordinata della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa porta a disattendere le prospettate censure di violazione degli artt. 118 e 32 Cost., in ordine al quale parte appellante ha richiamato anche il D.L. n. 158/2012, convertito con L. n. n. 189/2012 a supporto della esclusiva competenza statale, invano invocato anche nel giudizio di costituzionalità, conclusosi con la suindicata decisione della Corte n. 220/2014, che non ha in alcun modo dato rilevanza a tale normativa per denegare la competenza sindacale in subiecta materia".

 

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