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Pucci (As.Tro): 'Stato di crisi per salvare occupazione e legalità'

28 giugno 2017 - 07:38

Il presidente di Assotrattenimento 2007, Massimiliano Pucci, spiega a GiocoNews.it le ragioni dell'apertura di uno stato di crisi chiesta dagli operatori.

Scritto da Ac
Pucci (As.Tro): 'Stato di crisi per salvare occupazione e legalità'

 

Se nessuno farà nulla, un intero settore chiuderà i battenti e migliaia di persone perderanno il proprio lavoro. Con il plauso della criminalità che non aspetta altro per riproporre un'offerta di gioco illegale. Sono queste le motivazioni alla base dell'azione avanzata dall'associazione dei gestori Assotrattenimento 2007, insieme a quella dei produttori Acmi, per l'apertura di un tavolo di crisi relativo alla filiera degli apparecchi. Unico segmento per il quale è stata annunciata la chiusura, come spiega il presidente As.Tro, Massimiliano Pucci nell'intervista concessa a GiocoNews.it.


As.Tro – insieme ad Acmi e Confindustria - ha appena richiesto l'attivazione dello stato di crisi per il settore degli apparecchi da intrattenimento. Quali sono le vostre ragioni? “Partiamo anzitutto da un presupposto: se, come è evidente dalla riduzione del 35 percento del numero di slot in esercizio, dall'introduzione di orari di funzionamento e dalle distanze dei luoghi sensibili, è in atto un disegno mirato all'abolizione del comparto delle new slot, ci deve essere detto chiaramente. Non è pensabile che nel conflitto tra governo centrale e territori finiscano in mezzo, come sta accadendo, migliaia di imprese e i loro dipendenti che in queste condizioni dovranno chiudere. Tutto questo è inaccettabile e per tale ragione lo stato di crisi rappresenta un processo inevitabile, un atto dovuto. Se davvero qualcuno ha deciso che si deve chiudere questo settore, dovranno almeno essere forniti degli ammortizzatori e tutti gli strumenti richiesti da una exit strategy decisa dalla politica. Fermo restando che, in uno scenario di questo tipo, a festeggiare è soltanto la criminalità perché si interrompe quel presidio di legalità che le nostre aziende hanno saputo garantire, spesso anche a fatica, nel corso del tempo”.
 
Crede davvero che ci sia un disegno per cancellare completamente un intero settore?
“Non lo dico io ma lo dicono i fatti, oltre agli stessi politici. Il Governo – direttamente o attraverso esponenti della maggioranza - continua a parlare dell'ipotesi di chiusura del settore. Leggo oggi le parole del senatore Mirabelli che anticipa la chiusura del settore che dovrebbe avvenire, a suo dire, nel 2019. Ebbene, se sanno qualcosa in più di noi, ce lo dicano chiaramente. E definiscano il piano di uscita di cui parlavamo prima. Facendosi carico di tutte le conseguenze che questo comporterebbe in termini occupazionali e di ritorno dell'illegalità. Non so se c'è un disegno precostituito ma è evidente che siamo nel pieno di una tempesta perfetta contro il settore delle slot. Emilia, Piemonte e Puglia – solo per citare alcuni territori – presentano norme con effetti espulsivi pressoché immediati. Mentre il Governo aumenta le tasse e limita le istallazioni. Se non è una strategia proibizionista, dovremmo parlare di incompetenza politica, e non saprei davvero scegliere cosa preferire”.
 
Perché, secondo lei, il Governo dovrebbe rinunciare oggi al settore del gioco?
“Intanto diciamo la verità: cioè che il Governo, o lo Stato più in generale, non sta dismettendo il comparto del gioco ma unicamente il segmento degli apparecchi apparecchi da intrattenimento: o, meglio ancora, delle sole slot machine. Continuiamo a parlare di riordino dell'offerta di gioco ma le slot rappresentano soltanto il 26 percento del gioco pubblico. E non si capisce perché, se lo scopo annunciato è di razionalizzare la distribuzione dell'offerta a livello globale, i provvedimenti presi vanno in una sola direzione. Oltre ad essere un assurdo già il semplice fatto che, in un Paese normale, un settore che raccoglie fondi per lo Stato non può avere contro di sé proprio lo Stato, come accade alle nostre imprese. Sentiamo parlare spesso del rischio di infiltrazioni criminali nel gioco e il Governo invece di supportare le aziende legali, che rappresentano il baluardo della legalità, le strangola ulteriormente, in uno scenario già compromesso dalla crisi generale.”
 

Quali sono, a suo giudizio, le priorità per il settore e le questioni più urgenti da risolvere?
“Come dicevo prima, purtroppo, ci troviamo nel mezzo di una tempesta perfetta, perché le norme locali minano il futuro delle nostre aziende mentre quelle finanziarie le annientano nel presente. Per questo stiamo lavorando su più fronti per far valere le nostre ragioni e quelle di decine di migliaia di lavoratori onesti. Lo stato di crisi è mirato a sollecitare interventi di natura politico-economica mentre il confronto sul territorio serve a far capire agli amministratori locali – ma anche allo stesso Governo - che l'industria del gioco non è quel 'demone pericoloso' che viene descritto dai media ormai quotidianamente e che le imprese che la compongono non sono 'indomiti biscazzieri', ma che hanno a che fare con aziende sane, imprenditori seri, con un'etica e dei valori, oltre ad una grande sensibilità nei confronti delle tematiche sociali, che credono nella responsabilità di impresa.
Entrambe le iniziative, comunque, rappresentano un'occasione per mostrare il conto economico di un'azienda del gioco legale, perché ci siamo resi conto che ancora oggi la politica ignora questi dati. Lo abbiamo visto chiaramente dal confronto di Torino e poi da quello di Milano. E quando si parla con dati alla mano, mettendoci anche la faccia e non solo le penna sul tema della responsabilità, il confronto diventa davvero utile e costruttivo”.
 
 
Quindi avete in programma altre iniziative?
"Per i motivi che ho appena esposto, saremo a settembre in Emilia-Romagna per intervenire rispetto a una legge regionale che impone la chiusura dell'intero comparto fra appena sei mesi. Tra l'altro, devo dire che la stessa Emilia ci ha doppiamente stupito, essendo notizia di oggi che la Philip Morris ha annunciato nuovi investimenti per creare seicento posti di lavoro sul proprio stabilimento bolognese, dimostrando chiaramente che i prodotti sensibili non vanno semplicemente vietati, ma vanno gestiti consapevolmente e in maniera virtuosa tra Stato e soggetti industriali”.
 

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