skin

Norme e gioco, la parola alla Corte Costituzionale

23 aprile 2016 - 07:56

Governo ed enti locali sono chiamati a definire una normativa nazionale sul gioco in Conferenza Unificata, mentre la Corte Costituzionale dovrà dire l'ultima parola sulla liceità delle leggi regionali in materia.

Scritto da Francesca Mancosu
Norme e gioco, la parola alla Corte Costituzionale

Il dibattito gioco-enti locali è una questione che non riguarda solo le aule della politica ma anche quelle dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato, che hanno chiesto maggiori approfondimenti sulla legittimità costituzionale delle normative emenate in materia da Toscana, Puglia e Liguria.

"La Corte costituzionale ha due strade di fronte a sé e queste non sono prevedibili: o dichiarare incostituzionali le leggi regionali impugnate oppure stante la nuova norma rimettere al Tar gli atti, atteso che venga redatto il nuovo piano e sulla base di tale nuova situazione la Regione sarebbe tenuta fare una nuova legge regionale caducando quella precedente”, sottolinea Fulvia Abbondante, docente di Istituzioni di diritto pubblico all'Università degli Studi di Napoli Federico II, uno dei costituzionalisti italiani intervistati sulla spinosa questione. Sembrano sussistere i profili di incostituzionalità “sia per quanto riguarda la violazione delle competenze sia perché effettivamente un piano di distribuzione degli esercenti giochi legali andrebbe determinato sulla base di una collaborazione fra Stato e Regioni ed enti locali. A me sembra che, tra l'altro, via sia un profilo di irragionevolezza/ sproporzione tra la sanzione che legge regionale commina e il bene perseguito. In sostanza se la tutela della salute, che sembra sottendere tutta la legislazione in materia è sicuramente prevalente, in un'ottica di bilanciamento resta ben inteso che la libertà di impresa è bene, sebbene recessivo in questo caso, non del tutto sopprimibile. Mi sembra, quindi, che la pianificazione sia necessaria proprio al fine di operare un bilanciamento distinguendo le diverse possibili ipotesi che si dovessero venire a creare. In pratica la distribuzione sul territorio deve anche tener conto delle dimensioni e della popolazione dell'Ente locale. Detto questo, la legge di Stabilità 2016 reintroduce a mio avviso ciò che già il decreto Balduzzi aveva previsto, cioè la necessità di una collaborazione nella predisposizione di questi piani onde stabilire le linee di principio uniformi sia per quanto riguarda i criteri di distribuzione ma anche e sopratutto le sanzioni".

Sul tema fornisce un parere anche il professore Salvatore Bellomia, ordinario di Diritto pubblico all’Università Tor Vergata di Roma. “L’ordinanza del Tar Puglia, in particolare, assume il valore di una cosiddetta 'sospensione tecnica', in attesa (a quanto è dato comprendere) che venga valutata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in altro giudizio. Ciò sulla scorta di certe indicazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato proprio in tema di 'sospensione tecnica'. A mio avviso, più opportunamente, il Tar avrebbe dovuto proporre direttamente l’incidente di costituzionalità, sospendendo il giudizio e chiamando la Corte costituzionale a pronunciarsi. Per quanto riguarda l’ordinanza emessa sullo stesso tema dal Consiglio di Stato, c'è il rinvio al merito, dinanzi ad altro Tar, dell’approfondimento della dedotta eccezione di legittimità costituzionale, sollevata nei confronti della legge della Regione Liguria n. 17 del 2012. Con ciò sembrerebbe sconfessato l’orientamento del Tar Bolzano che ha ritenuto, invece, manifestamente infondata altra, analoga questione di legittimità costituzionale”. Per il professor Bellomia, “i profili di costituzionalità coinvolti sono molteplici e meritano adeguato approfondimento. Va però ricordato subito che la Corte costituzionale, con la decisione n. 300 del 2011, si è pronunciata nel senso della infondatezza della questione di legittimità costituzionale promossa proprio nei confronti della legge provinciale di Bolzano n. 13 del 2010, su ricorso proposto in via di azione dal Presidente del Consiglio. La stessa giurisprudenza di costituzionalità non è però del tutto univoca: basti ricordare, per una diversa valutazione, le sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006, sempre in materia di giochi e scommesse. È, pertanto, auspicabile che la Corte costituzionale sia posta in grado di ritornare sul tema per confermare o modificare il proprio orientamento”.
NESSUN RICORSO SE NORMATIVA SARA' CHIARA - A fornire un ulteriore parere sul conflitto Stato-Regioni in materia di gioco è Filippo Donati, professore di Diritto costituzionale all'Università di Firenze. “C'è già stata una sentenza sulla costituzionalità della legge provinciale di Bolzano, in merito alla presunta violazione dell'articolo 117 della Costituzione, per stabilire se il gioco fosse una materia riconducibile all'ordine pubblico. È stato sancito che gli interventi adottati rispondono a un fine di tutela della salute, quindi sono in capo alle Regioni. Tale disciplina è stata poi confermata dal decreto Balduzzi 152 del 2012, che considera la lotta al Gap come un intervento nel campo della tutela della salute, confermando quanto detto da Corte Costituzionale e poi anche da diversi Tar. Perciò, è difficile affermare che ci sia una violazione della competenza esclusiva dello Stato in questo campo, Nella disciplina sul gioco contenuta nell'articolo 14 della legge Delega del 2014 si è cercato di introdurre criteri uniformi, sulla distanza degli apparecchi dai luoghi sensibili, sulla pianificazione dei punti gioco, con la salvaguardia delle discipline emanate a livello locale. Questo garantirebbe la salvaguardia di quanto fatto finora, ma potrebbe entrare in contrasto con la disciplina europea? Il trattato sul funzionamento dell'Unione Europea prevede la possibilità di limitare il potere di statuimento per motivi di tutela della salute, e si è sempre detto che lo Stato non può limitare le esigenze degli operatori se non per esigenze di lotta alla criminalità. Ma è difficile stabilire l'incompatibilità con il diritto dell'Unione europea. Poi, gli interventi dello Stato sono volti a creare un regolamento uniforme su tutto il territorio nazionale, ma bisogna vedere se le leggi regionali contengono principi di incostituzionalità: in generale, sono difficilmente annullabili. In caso di approvazione di una normativa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni ed enti locali è possibile un conflitto di potestà concorrente con lo Stato, a cui Regioni e Comuni di conseguenza devono adeguarsi. Dipende da quanto questa normativa sarà chiara. Se lo sarà è difficile che ci siano ulteriori ricorsi”. Comunque vada, per il professor Aldo Loiodice, ordinario di Diritto costituzionale nell'Università di Bari “l'eventuale incostituzionalità delle leggi che le Regioni hanno approvato non avrebbe un effetto immediato e non dovrebbe impedire alle Regioni di riproporre le leggi con profili più rispettosi del riparto delle competenze. In ogni caso i regolamenti comunali non decadono in alcun modo perché non sono attinti dalla incostituzionalità. Quanto poi alla legge nazionale che dovesse individuare criteri differenti, occorrerà prima vedere se essa rispetta i riparti di competenza, che in alcune sentenze la Corte Costituzionale ha già stabilito su questa materia. Qualora non si tratti di competenze attribuite allo Stato la legge nazionale non può avere alcuna efficacia sulle leggi regionali. In ogni caso le leggi regionali dovranno solo adeguarsi alla legge statale in materia; ovviamente solo per quegli aspetti che competono alla Regione e che devono essere coordinati con le norme statali. Infine, la incostituzionalità della legge regionale non travolge le leggi di altre regioni che, comunque, anche se in contrasto con quella sentenza rimangono vigenti e non devono essere modificate”.
IL RICORSO SULLA LEGGE PUGLIESE - Fra i costituzionalisti interpellati in merito alla 'possibile' costituzionalità delle normative regionali sul gioco, c'è anche Francesco Saverio Marini, difensore delle parti nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale, nell'ambito della questione sollevata dal Tar Puglia - Lecce in riferimento alla legge pugliese n. 43 del 2013. “La disciplina dei giochi pubblici rientra – in base alla giurisprudenza costituzionale costante – tanto nella competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico, quanto nella potestà concorrente in materia di tutela della Salute. La questione sottoposta all’esame della Corte costituzionale riguarda in modo prevalente la legittimità del distanziometro (di 500 metri) e riguarda almeno due rilievi problematici. Da un lato, l’approccio unilaterale del legislatore pugliese disattende la volontà espressa dal legislatore statale nel decreto legge n. 158 del 2012, la quale prescrive criteri distanziometrici unitari, elaborati con il coinvolgimento dei ministeri dell'Economia e e della Salute, Conferenza unificata ed Agenzia delle Dogane e dei monopoli. Dall’altro lato, il limite eccessivamente rigido prescelto dalla Regione Puglia determina la conseguenza paradossale non già di regolare, ma di vietare in radice la collocazione dei punti di raccolta del gioco lecito sul territorio pugliese: specie in realtà territoriali poco estese, infatti, il limite dei 500 metri esclude del tutto la possibilità di aprire siffatti esercizi. Da entrambi i punti di vista le problematiche in punto di legittimità costituzionale e, per certi versi, di opportunità politica, non sono di poco conto. Quanto ai criteri distanziometrici, è evidente che questi debbano essere informati a parametri omogenei su base nazionale, per evitare che le singole realtà locali 'procedano in ordine sparso'. Del resto, è significativo che questo intento sia stato recentemente ribadito – a chiare lettere - dall'art. 1, comma 936, della legge n. 208 del 2015 (legge di Stabilità 2016): questo ricalca assai da vicino l'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012 (decreto Balduzzi), là dove attribuisce al Mef di stabilire a livello centrale i criteri distanziometrici, recependo l’intesa raggiunta in Conferenza. Quanto, invece, all’effetto pratico di escludere del tutto l’apertura di centri di raccolta del gioco lecito in determinate aree, la normativa pugliese incorre in una pericolosa eterogenesi dei fini. Infatti, è noto a tutti che proprio l’assenza del gioco lecito rappresenta uno dei maggiori fattori d’incentivo per i fenomeni di proliferazione del gioco illecito, e del connesso 'indotto criminale'. Non è dunque affatto da escludersi che, per gli aspetti suesposti, la Corte costituzionale giunga a dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma pugliese”.
 

Articoli correlati