Il Tribunale di Como con decreto del 7 giugno 2021 ha dichiarato aperta la procedura di concordato preventivo proposta dal Casinò di Campione d'Italia, dopo che lo stesso aveva eccepito la propria non assoggettabilità alla legge fallimentare.
IlTribunale, esaminando la questione relativa all'asserito difetto dei presupposti soggettivi di fallibilità in capo alla casa di gioco, rilevava da un lato la contraddittorietà dell'impostazione difensiva del Casinò, che nonostante si ritenesse esente dal fallimento proponeva di essere ammesso ad altra procedura concorsuale, dall'altra evidenziava e motivava l'infondatezza della tesi dedotta.
In particolare, il Collegio ripercorrendo l'orientamento consolidato in materia, sosteneva il principio secondo il quale “non possono confondersi le peculiari modalità di costituzione di una società ad esclusiva partecipazione pubblica, quale il Casinò, con i presupposti normativi per la dichiarazione di fallimento, i quali non sono certamente esclusi dalla semplice circostanza che la società sia stata costituita con provvedimento normativo di carattere legislativo o amministrativo e non mediante le forme negoziali couni (atto costitutivo e statuto), come avviene nel settore privato”.
Veniva, pertanto, evidenziato che “l'atto normativo fondante la società esaurisce la sua natura di diritto speciale al momento genetico e nei rapporti con il socio unico, ma non vale certamente a qualificare la società come ente pubblico economico sottratto al fallimento, dovendosi avere riguardo all'attività effettivamente esercitata dalla società medesima e alla sua riconducibilità alla nozione di impresa commerciale”.
Proprio in relazione alla natura commerciale dell'attività esercitata dalla casa da gioco, infatti, la Suprema Corte aveva ritenuto che, in ogni caso,“tutte le società commerciali a totale o parziale partecipazione pubblica, quale che sia la composizione del loro capitale sociale, le attività in concreto esercitate, ovvero le forme di controllo cui risultano effettivamente sottoposte, restano in ogni caso assoggettate al fallimento.”
Sulla questione, poi, si evidenziava anche la sentenza n. 1055 del 2019 della Corte di Appello di Milano che, proprio con riguardo al Casinò di Campione d'Italia, aveva chiarito che i vincoli di destinazione imposti dalla legge su una parte cospicua di introiti non valgono a impedire la configurabilità dell'attività esercitata dal Casinò quale lucro oggettivo né d'altra parte lo configurano quale ente pubblico economico.
Le finalità sottese alla gestione di una casa da gioco, poi, “non possono ritenersi preordinate a soddisfare l'esigenza di realizzare un interesse della collettività, trattandosi di un'attività che, anche se eccezionalmente priva della qualificazione di illecito penale, è considerata generalmente dall'ordinamento quale attività contraria al buon costume e all'ordine pubblico e penalmente sanzionata” (cfr. Tar Valle D'Aosta sent. 140/2007).
Proprio in relazione a tale finalità, il Tribunale riportava l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la gestione di un “Casinò non realizza in modo immediato e diretto un interesse pubblico né concretava l'esercizio di una funzione pubblica o di un servizio pubblico a diretto beneficio della collettività, poiché l'attività da gioco, seppur autorizzata dalla pubblica autorità, presenta aspetti organizzativi distinti dalla normale struttura pubblicistica dell'ente locale, sia quando gestita direttamente sia tramite terzi.”
In generale, dunque, veniva affermato che l'attività di gestione di una casa da gioco ha natura privatistica e conseguentemente il denaro proveniente non può considerarsi appartenente alla pubblica amministrazione.
Rilevante, infine, anche il richiamo dell'orientamento della Corte di Giustizia Europea che ha avuto modo di qualificare i giochi d'azzardo “come attività economiche finalizzate alla realizzazione di un guadagno, che dà luogo a una remunerazione specifica e che rientra nelle libertà economiche riconosciute dal Trattato”.
Sulla base di tali pronunce, il Tribunale di Como ha affermato l'impossibilità di configurare il Casinò quale ente pubblico economico, e di qualificarne l'attività quale esercizio di funzione pubblica o di pubblico servizio a favore della collettività, specificando piuttosto che si tratta di attività autorizzata dalla legge in deroga al generale divieto d'azzardo.
In conclusione, dunque, il Tribunale ha ritenuto il Casinò assoggettabile alla legge fallimentare, ammettendo quest'ultimo alla procedura concorsuale del concordato preventivo.