Parto da un parere, mi pare di una Sezione regionale della Corte dei conti ma non posso giurarlo; lo citerò più volte: “Si ritiene che l’attività svolta dalla società, consistente nella gestione di una casa da gioco abbia natura imprenditoriale e che pertanto sia idonea a produrre utili in senso civilistico-commerciale (…). Tali utili – con riferimento specifico ed esclusivo all’attività di gestione del gioco – sono quelli derivanti dalla differenza tra i ricavi (ossia i proventi complessivamente prodotti dal gioco) e i costi di gestione, prededotto il contributo spettante al Comune (...)”.
L’attività di gestione di una casa da gioco costituisce attività economica commerciale sottoposta a libero gioco della concorrenza. Dalla riconosciuta natura imprenditoriale deriva l’idoneità della medesima attività a produrre utili in senso proprio.
L’articolo 19 del decreto legge n. 318 del 1 luglio 1986 convertito in Legge n.488/86, dal titolo: Entrate speciali a favore dei comuni di Sanremo e Venezia, recita al comma 1: “Le entrate derivanti ai Comuni di Sanremo e Venezia alle gestione di cui al Rdl 22 dicembre 1927, n.2448 convertito dalla L. 27 dicembre 1928 n.3125, nonché al Rdl. 16 luglio 1936, n. 1404 convertito dalla L. 14 gennaio 1937 n. 62, sono considerate, fin dalla loro istituzione, entrate di natura pubblicistica da classificarsi nel bilancio al titolo I, entrate tributarie. Non si dà luogo al rimborso delle imposte dirette già pagate”.
L’espressa qualificazione di entrata tributaria, operata dal citato art. 19, in riferimento specifico alle case da gioco dei Comuni di Sanremo e Venezia,vale a connotare i proventi derivati dalla gestione di una casa da gioco quali incassi i tipo pubblicistico. La disposizione in esame inquadrata nella finalità generale della legge di emanare provvedimenti per la finanza locale, era dettata da un duplice scopo di stabilire la collocazione nel bilancio dei Comuni di Sanremo e Venezia delle entrate derivanti dalla gestione delle rispettive case da gioco, dall’altro di risolvere anche con riferimento al passato, il dubbio circa il fatto che siano soggette alla imposizione tributaria diretta.
Il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare: il gestore. Il fatto che quest’ultimo soggetto partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione con il quale i lavoratori consentono al datore di lavoro di sottrarre parte di quanto elargito da terzi (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672), non pare giustificare un diritto originario del gestore ma, piuttosto, una forma di prelievo forzoso (stante la natura giuridica delle entrate) anche se non è stato regolato il presupposto, la base imponibile, ecc.. Mi pare, tra l’altro, ragionevole affermare che la parte delle mance che rimane alla gestione è un mezzo per implementare le entrate dell’ente pubblico titolare della autorizzazione alla casa da gioco che può ricevere un utile superiore dalla gestione.
Ora da qui a pretendere che tutte le mance siano da ricomprendersi nel dettato del citato art. 19 quali entrate a favore del Comune il passo mi sembra molto lungo e, per quanto mi permetto di vedere, azzardato, anche se l’ambiente potrebbe essere adatto.
Non mi pare che le mance rientrino nelle differenze tra perdite e vincite dei giocatori come, d’altra parte, si deve intendere”specifico ed esclusivo all’attività di gestione del gioco”. Si tratta di una liberalità d’uso del tutto non rimuneratoria. Certamente sono tutte degli impiegati tecnici di gioco ed il gestore vi partecipa a seguito di un patto di devoluzione che, se ben rammento proprio a Venezia prevede due diverse ripartizioni tra gestore e dipendenti tecnici, uno al 54 e 46 percento, l’altro al 40 e 60 percento.
La stessa definizione di liberalità d’uso mi pare si attagli alle mance elargite ai “valletti” del casinò. Poiché ho lavorato per tantissimi anni in una casa da gioco posso dire che, a volte, il valletto anziché la mancia si ritrova con un ammanco in quanto il cliente non ne aveva più per pagare.
A mio modo di interpretare l’ultima questione mi permetto di pensare che da parte della gestione non vi siano gli estremi per paragonarle a quelle dei croupier o altre ancora perché non è possibile trovarvi alcun riferimento specifico ed esclusivo all’attività di gestione del gioco.
Il significato di esclusivo, per mio conto, è che l’attività di gestione del gioco è fondato, di fatto e di diritto, su una piena ed unica pertinenza nel senso di competenza. Infatti l’esercizio del gioco è potestà esclusiva del Comune. Trattandosi di una deroga alle disposizioni di cui al codice penale dagli articoli 718 al 722.
Mi permetto di aggiungere, allo scopo di individuare i proventi di cui all’art 19 più volte richiamato che lo stesso sancisce soltanto la non assoggettabilità ad imposizione diretta di quelli che assumono per il Comune la natura di entrata pubblicistica, mentre tale esenzione non si estende all’imposta indiretta, ad esempio, sugli spettacoli.
I proventi derivanti dal gioco che connotano l’attività nell’ottica imprenditoriale del Comune sono finalizzati quanto meno a coprire i costi di gestione, gli eventuali utili prodotti hanno la destinazione specifica che conferisce loro carattere tributario.
Definitivamente concludendo personalmente ritengo che i proventi non soggetti ad imposizione diretta stante la specifica natura giuridica sono solo quelli che, in buona sostanza, trattiene il Comune per la propria parte di competenza e non comprendono le mance.