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Ripartizione mance, tra obblighi di legge e patti con il gestore

14 febbraio 2023 - 09:38

Il tema della ripartizione delle mance nei casinò è oggetto sia di disposizioni di legge che di trattative tra addetti e gestori.

Foto di Kaysha su Unsplash

Foto di Kaysha su Unsplash

L’argomento mance nei casinò mi ha sempre interessato stanti i molteplici punti di  vista a iniziare da quello inerente la fiscalità. Ho fatto ricerche, letto molti libri e relazioni, pareri, progetti di legge mi ritrovo con qualche conoscenza che, malgrado i miei studi, mai più pensavo di acquisirne ancora.
Salvo  i primissimi anni, dove ho lavorato da ragioniere, il rimanente dei miei quaranta anni di frequenza li ho passati in sala giochi o in attività collegate. Ecco una delle motivazioni che, unitamente alla discretamente lunga militanza sindacale, mi hanno visto impegnato nella trattazione  di temi specifici.
Oggi, dopo aver dedicato un pochino di tempo al riordino e alla distruzione di documentazione varia, mi è balenata l’idea in merito alla ripartizione delle mance tra azienda e personale tecnico di gioco (croupier).  

L’articolo 19 del decreto legge n.318 del 1 luglio 1986 convertito in Legge    n. 488/86, dal titolo: Entrate speciali a favore dei comuni di Sanremo e Venezia, recita al comma 1: “Le entrate derivanti ai Comuni di Sanremo  e Venezia alle gestione di cui al Rdl 22 dicembre 1927, n.2448 convertito dalla L. 27 dicembre 1928 n.3125, nonché al Rdl 16 luglio 1936, n. 1404 convertito dalla L. 14 gennaio 1937 n. 62, sono considerate, fin dalla loro istituzione, entrate di natura pubblicistica da classificarsi nel bilancio al titolo I, entrate tributarie non si dà luogo al rimborso delle imposte dirette già pagate”.
Nei capitolati che riportano le norme contrattuali riferentesi alla gestione delle locali case da gioco, le entrate speciali sono individuate in proventi netti (sono certo che li definiva tali quello di Venezia) facendo riferimento alla Legge n. 488/86 di conversione dell’art. 19 del Dl n. 318 del 1 luglio 1986 e mance.

La mancia è una parte della vincita. La sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo  consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti e il gestore…”.
Dalla sentenza del 1954 citata evidenzio: “il patto che attribuisce all’azienda una parte delle mance non è  nullo ….”
Mi permetto di aggiungere che a mio parere è trattabile. Molto probabilmente sul tema esistono altre sentenze sino a giungere alla L. n.488/1986; non ne ho trovato  che definiscano il quantum spettate ai dipendenti.

Partendo dalla espressione “patto” aggiungo ricordando che a Venezia (la società di gestione della casa da gioco è pubblica, Ndr) le mance chemin de fer erano così ripartite: 54 percento al Comune e 46 percento ai dipendenti. Le mance della roulette francese erano al 50 percento tra Comune e dipendenti.
A seguito dell’affido del black jack o altri giochi di carte al reparto roulette la suddivisione è stata la seguente: 60 percento i dipendenti e 40 percento al Comune.
È, a questo punto, per me agevole affermare che la ripartizione al 50 percento delle mance tra impiegati e gestore non è un obbligo di legge ma il risultato di una trattativa, appunto il patto.

Il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare: il gestore. Questo brevissimo riscontro, mi pare non fa altro che confortare quanto precedentemente affermato.
A questo punto una domanda è d'obbligo: quale è la controparte contrattuale in tema di ripartizione delle mance?
In effetti, le mance interessano il rapporto di lavoro solo in quanto siano regolamentate dal contratto di lavoro.

Le mance elargite dai giocatori vincenti al casinò di chi sono? Come vengono ripartite? Esistono disposizioni di legge in merito? In caso affermativo dove? 
Mi sono dedicato alla problematica relativa alla ripartizione delle mance  “elargite al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore” …  Il successivo quesito è obbligatorio, in più: quale può essere o quale è la controparte contrattuale in tema di ripartizione delle mance?
La parte tra virgolette è presa dalla sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, che recita: “ Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo  consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto……..” 
Dalla sentenza del 1954 citata, evidenzio: “il patto che attribuisce all’azienda una parte delle mance non è nullo ….” Mi permetto di ripetere che, stante la definizione, la questione mi pare trattabile.
Qui ne nasce un altro: se, come ritengo, l’interlocutore al quesito non può che essere la proprietà, in considerazione che la parte di mance in discorso è un fattore a valere sulla percentuale dei proventi netti, come si può intervenire?

Mi pare si possa affermare che ad una riduzione della quota spettante alla proprietà in quanto entrata tributaria, stante i costi di gestione da sostenere, la soluzione della problematica in discorso non è di poco momento.
In buona sostanza se la quota mance a favore dei dipendenti tecnici aumenta, il quantum sui proventi netti che la gestione utilizza per gestire la società -  non importa la tipologia societaria se pubblica o privata, aumenta e, conseguentemente, cala la quota relativa alla tassa di concessione. 

Esistono precedenti in materia, esattamente al casinò di Venezia! Innanzi tutto occorre conoscere, forse, se la gestione al momento era pubblica o meno. (1)
Una soluzione potrebbe consistere nel detassare le mance percepite dai dipendenti tecnici operando in modo da incrementarne il netto introitato senza intervenire sulla retribuzione.
Mi piace, a questo punto inserire quanto segue che attiene, piuttosto, alla questione fiscale ma può essere utile a comprendere il ragionamento complessivo.
L’11 dicembre del 1990 fu emanata la L. n.381, che, all’art.1 – modificando il Dpr 22 dicembre 1996, n. 917 (T. U. II. D.D.), aggiunge all’art.47 dello stesso decreto, alla lettera l), le mance ai croupiers in relazione all’attività di lavoro subordinato.
All’art. 3 della L.381/90 si afferma che le mance in parola costituiscono reddito nella misura del 75 percento del loro ammontare.

L’approvazione del decreto legislativo n.314/97, in tema di armonizzazione tra importo imponibile ai fini Irpef e quello ai fini contributivi, le mance hanno registrato una ulteriore e giusta, proprio in funzione del loro trattamento fiscale, sistemazione che è stata la normale evoluzione di un concetto da sempre sostenuto dai dipendenti tecnici delle case da gioco autorizzate. Non era logico e tollerabile, nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico, che una attribuzione patrimoniale fosse qualificata come compenso ad un effetto (quello fiscale) e non ad un altro effetto (quello lavoristico e previdenziale), proprio in un combinato normativo in cui quella qualificazione presuppone necessariamente quest’altra.
Il 19 gennaio del 1990 un autorevolissimo parere prevedeva, a seguito del riconoscimento delle mance quale reddito di lavoro subordinato, un considerevole aumento del costo di gestione dei casinò con una grossa diminuzione dell’utile operativo e, quindi, una rilevante contrazione dello scopo fiscale complessivo per il quale le case da gioco sono state create. (entrate dalla natura giuridica tributaria).

Non si poteva, e non si può, non condividere il seguito del citato parere. “La non tassabilità delle mance, invece, togliendo la premessa logico-giuridica per la sindacalizzazione anche ai fini retributivi e previdenziali, fa pesare parte del costo del lavoro sui giocatori. Ecco perché, la non tassazione delle mance, è la soluzione ideale per chi ha a cuore l’obiettivo pubblicistico di conseguire entrate tramite la casa da gioco”.
Il costo del lavoro - incrementato dalla normativa di cui al decreto legislativo n. 314/97 - e la contemporanea diminuzione degli introiti sia netti sia accessori (mance) contribuiscono non poco alla evidente riduzione (come si è potuto vedere negli ultimi anni) se non annullamento del risultato positivo di gestione.
Prima dell’entrata in vigore della L. n.381/90 le mance erano tassabili solo ed esclusivamente per la parte assoggettata a contribuzione pensionistica. 
Il trattamento previdenziale delle mance discendeva dall’accordo tra le parti per cui le mance erano tassate e comprese nella dichiarazione dei redditi in aggiunta alla retribuzione nella misura in cui queste erano assoggettate a contribuzione pensionistica. Tale misura è stata fatta propria dal ministro del Lavoro nella determinazione presa al riguardo con decreto 14 aprile 1973, emesso ai sensi del 2° comma dell’art.4 del D. P. R. n. 1420 del 1971 emanato ai sensi della riforma pensionistica, L. 30 aprile 1969, n.35, lett. e).

Il problema mi pare possa essere presentato in questi termini: se non si intende diminuire la quota a beneficio della proprietà (concedente) composta da introiti netti e mance al 50 percento ed evitare richieste salariali in sede di rinnovo contrattuale (tecnici) si potrebbe:
a) detassare ai fini Irpef e ritenute (pensioni) le mance al momento tassabili al 75 percento del loro ammontare (si tenga conto del regime per Campione d’Italia agevolato del 50 percento) e il datore di lavoro risparmia sui contributi pensionistici. Con il risparmio il dipendente può ricorrere alla pensione integrativa;
b) trasformare l’aumento di retribuzione in partecipazione agli utili esente da Irpef e contribuzione pensionistica forse sotto forma di premio di produzione. La partecipazione agli utili potrebbe essere estesa  anche al restante personale. 
Un possibile rimedio alle richieste salariali dei dipendenti potrebbe consistere nell’orientare opportunamente la domanda con una offerta votata alla ricerca della qualità. Un tempo si organizzavano gala, gare di chemin incontri dedicati alla cucina regionale, manifestazioni sportive o altro, forse è possibile farlo anche attualmente. Si potrebbero inserire nuove varianti sui giochi esistenti o fare un sondaggio mirato tra i frequentatori; d’altra parte, stante il divieto di pubblicità, qualcosa di interessante ed attrattivo allo stesso tempo lo si dovrà trovare per restare sul mercato.
È giunto il momento in cui chi di dovere metta mano a legiferare in materia come ha più volte raccomandato, a datare dal 1985 andando a memoria, la Corte Costituzionale?

(1) Non ricordo l’anno ma posso garantire che al casinò di Venezia, avendo la direzione associato alla roulette giochi di carte meno produttivi in mance, gli impiegati prima addetti alla sola roulette, con l’intervento della proprietà, hanno ottenuto che la loro partecipazione alle mance, unitamene agli impiegati addetti ai giochi di carte (già definiti meno produttivi), fosse del 60 percento. La suddivisione delle mance allo chemin de fer era e rimane del 46 percento ai dipendenti e del 54 percento al Comune. Logicamente il Comune lascia la propria parte alla società quale acconto sui costi di gestione.

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