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Campione d'Italia, il silenzio dopo il clamore

05 novembre 2018 - 08:35

Si sono spenti i riflettori su Campione d'Italia, ma i problemi sono tutt'altro che risolti.

Scritto da Anna Maria Rengo

Cento giorni il 3 novembre. Un arco di tempo che per i cittadini e i lavoratori campionesi è lungo quanto un'era geologica. Al termine della quale, sempre che terminerà, resteranno tante macerie e si spera, ma al momento non c'è molto motivo per ostentare ottimismo, qualche fondamenta su cui edificare un nuovo futuro.

Per chi, come stampa specializzata, segue quotidianamente le vicende dei casinò e di tutta l'economia e la società che ruota attorno a essi, risulta abbastanza curioso lo scarso clamore, anche mediatico, che sta avendo la vicenda di Campione d'Italia. Un paese che sta morendo, letteralmente. Dove non esistono più attività economiche, dove ha chiuso i battenti anche l'Azienda turistica, dove i dipendenti del Casinò sono a spasso dallo scorso 27 luglio e dove quelli del Comune, destinati peraltro a essere decimati nei giorni che seguiranno, non percepiscono lo stipendio da febbraio. Uno scenario apocalittico, che ha suscitato, diciamocelo, scarsa solidarietà da parte di quell'Italia che, diciamoci anche questo, ha usufruito nel corso dei decenni dei soldi provenienti dal Casinò e che non sono finiti tutti, come si crede, nelle casse del Comune. Lontana geograficamente, addirittura separata dal resto della Penisola, la cittadina lacustre, peraltro italiana, sembra al momento abbandonata a se stessa. E sta scontando, con interessi usurari, gli anni “facili” resi tali proprio dall'avere un Casinò. Sembrava una ricchezza, ma oggi è a tutti gli effetti una vera e propria maledizione. Ha creato infatti un meandro giuridico/economico dal quale, pur volendo (ma si vuole, ai livelli alti della politica italiana?) è difficile uscire; ha suscitato un'antipatia generalizzata per “quei raccomandati spendaccioni di Campione, che vivono grazie al gioco d'azzardo”; ha generato una miope e pericolosissima monoeconomia, che è crollata su se stessa.

La situazione campionese non è certo paragonabile a quella di un comune colpito da un'alluvione e per il quale, giustamente, si avvia spontaneamente una catena di solidarietà. Oltre ai doverosi aiuti statali. Qui le colpe ci sono, ad alcune si può anche dare un nome e cognome, anche se ovviamente ci sono stati anche fattori esterni che hanno influito negativamente, com il cambio euro-franco (che però, e stiamo alla terza puntualizzazione, non è certo l'unico responsabile della situazione attuale).

Ciò detto, che si vuole fare di questo pezzetto d'Italia in terra svizzera? Il sipario pare calato e si spera che dietro le quinte si stia lavorando per trovare soluzioni. Come si spera, ma i pareri sono discordanti, che la Corte d'appello trovi ragionevoli e fondate le motivazioni addotte nel reclamo presentato contro la sentenza che ha disposto il fallimento per insolvenza della società di gestione del Casinò.

Speranze, auspici, recriminazioni, preoccupazioni. L'attenzione non deve calare. Perché da oltre tre mesi a questa parte, a Campione, non è successo niente di veramente nuovo. Anzi, si sono spenti i riflettori.

 

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