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Campione, gli eterni giorni dell'attesa

24 giugno 2019 - 08:38

A Campione d'Italia ancora nulla di fatto sia sul fronte Comune che su quello Casinò: un'agonia che va avanti da undici mesi.

Scritto da Anna Maria Rengo

Cinque milioni di euro in arrivo e, forse, l'immediata esecutività della delibera dell'allora sindaco Roberto Salmoiraghi che nell'agosto scorso tagliava la pianta organica di 84 unità.

Sono giornate decisive per il futuro del Comune di Campione d'Italia e dei suoi dipendenti. Il disegno di conversione in legge del Dl Crescita è alla volata finale in Senato e il Consiglio di Stato è chiamato a discutere il ricorso presentato dal commissario prefettizio Giorgio Zanzi contro l'ordinanza del Tar del Lazio che aveva sospeso fino a novembre l'efficacia della delibera.


E naturalmente le sorti dell'ente e dei suoi impiegati sono legate a filo doppio con quelle del Casinò e, purtroppo, dei suoi ex dipendenti. Un nodo intricato che spetta al commissario straordinario del Casinò, Maurizio Bruschi, provare a sciogliere: o meglio, a suggerire al governo quali sono i fili da tirare, e come.

La peculiarità di Campione d'Italia e della situazione attuale sono paragonabili alla sventura che colpisce chi è affetto da una malattia rara, o addirittura sconosciuta.
 
Non esistono case history e il percorso è tutto da costruire, con le difficoltà e resistenze connesse al fatto di avere a che fare con un unicum.

In questi mesi si è infatti sentito di tutto, spesso ben argomentato e mal realistico.
 
Sempre con nullo esito, visto che a oggi, data di pubblicazione di questo editoriale, la situazione è esattamente quella del 27 luglio 2018: Casinò chiuso, suoi dipendenti a casa senza stipendio e dipendenti comunali al lavoro, ma senza stipendio.

Se Campione si fosse retta su un'altra attività economica, probabilmente i tempi sarebbero stati diversi.
 
Certamente, la chiusura del Casinò non ha giovato ai campionesi ma neanche al resto dell'Italia: 80 milioni di euro circa di mancati incassi significano anche mancate tasse, il tutto a quasi esclusivo beneficio dei casinò svizzeri e soprattutto ticinesi, che giustamente hanno saputo sfruttare e capitalizzare la radicalmente mutata condizione competitiva.
 
E, altrettanto ovviamente, non hanno intenzione di arretrare dalla posizione acquisita, che peraltro non sarà messa a rischio in tempi brevi.

Felici se saremo smentiti, chiudiamo con una perla di pessimismo: se non c'era la volontà di riaprire il Casinò, sarebbe stato meglio dirlo subito. Forse, dopo undici mesi di chiusura, la comunità o i singoli avrebbero già iniziato a organizzarsi diversamente.
 
Riportare in vita la struttura rischia di diventare ogni giorno non solo più difficile, ma anche più inutile.

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