Spero che sia l’ultima volta che scrivo di questo argomento: le mance ai croupier di cui all’art. 3 del Dm n. 314/1997, lett. i). Ho avuto notizia di un atteggiamento fiscale che si sposa bene, a mio parere, con due esigenze tra loro collegate a corda doppia: creare entrate per l’Ente pubblico periferico titolare della autorizzazione alla casa da gioco e diminuire il relativo costo del lavoro a tutto vantaggio dell’occupazione diretta e dell’indotto, quindi, del turismo che, per la nostra economia, rappresenta una parte rilevantissima
Non posso fare a meno, però, della premessa che molti già conoscono.
La mancia è una parte della vincita. La sentenza n. 1776 del 18 maggio 1976 della Sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “ Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore …”
Il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare: appunto, il gestore. Il fatto che quest’ultimo soggetto partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione con il quale i lavoratori consentono al datore di lavoro di sottrarre parte di quanto elargito da terzi (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672), non pare giustificare un diritto originario del gestore ma, piuttosto, una forma di prelievo forzoso (stante la natura giuridica delle entrate) anche se non è stato regolato il presupposto, la base imponibile, ecc..
Il quantum come descritto dalla Cassazione il 9 marzo del 1954 di cui l’ente pubblico beneficia (se non erro a quei tempi le case da gioco di cui alla sentenza n. 1776/86 della sezione lavoro erano gestite direttamente dalle proprietà) non discende da una norma di legge ma da un indirizzo della giurisprudenza tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto. Quindi modificabile, mi pare, come una condizione contrattuale.
Con l’occasione desidero far presente che, nel Paese, esiste un precedente in materia, ancora in uso. A una diminuzione del punto (parte mance assegnata al singolo dipendente tecnico) il gestore percepisce un percentuale sulle mance inferiore a quella precedente. Trattasi di una notizia abbastanza recente della quale gli addetti ai lavori sono, o dovrebbero essere, a conoscenza; motivo per cui non indico la località.
Mi pare ragionevole quanto riportato e altrettanto affermare che la parte delle mance che rimane alla gestione precedentemente descritte sono un mezzo per implementare le entrate tributarie dell’ente pubblico titolare della autorizzazione alla casa da gioco.
Non si può dubitare che le mance parte gestione sono, da sempre, un conforto al costo del personale. L’importanza delle mance si potrebbe dimostrare considerando il peso dei giochi da tavolo sul totale dei ricavi netti.
Per contro, dove i ricavi derivanti dalle slot machine hanno un rilievo significativo, si può riscontrare un minore impiego di personale. In altri termini se l’offerta di gioco prevede una varietà di giochi da tavolo, sempre avendo presente il criterio di uniformarla alla domanda, potrebbe assumere un valore in relazione alla politica produttiva.
L’articolo 19 del Decreto legge n. 318 del 1 luglio 1986 convertito in legge n. 488/86, dal titolo: Entrate speciali a favore dei comuni di Sanremo e Venezia, recita al comma 1: “Le entrate derivanti ai Comuni di Sanremo e Venezia alle gestione di cui al Rdl 22 dicembre 1927, n.2448 convertito dalla L. 27 dicembre 1928 n.3125, nonché al Rdl 16 luglio 1936, n. 1404 convertito dalla L. 14 gennaio 1937 n. 62, sono considerate, fin dalla loro istituzione, entrate di natura pubblicistica da classificarsi nel bilancio al titolo I, entrate tributarie Non si da luogo al rimborso delle imposte dirette già pagate”.
La normativa di cui al Dm citato implica che le mance siano assoggettate ad Irpef nella misura del 75 percento dell’ammontare percepito e siano valide al fine della contribuzione e ritenuta ai fini pensionistici in ugual misura.
Ecco ciò che ritengo sia possibile porre in discussione per contribuire efficacemente a: diminuire il costo del lavoro e, contemporaneamente, procurare maggiori entrate tributarie per l’Ente pubblico periferico che sul proprio territorio ha una casa da gioco autorizzata dai provvedimenti legislativi ad iniziare dal 1927.
Considerare le mance come reddito di lavoro autonomo (cosa che obbliga il lavoratore ad avere una partita Iva per lo specifico arricchimento); d’altra parte certamente non provengono dal datore di lavoro. Non c’è dubbio sul fatto che le vincite al gioco conseguite nei casinò autorizzati e dimostrabili sono esenti da tassazione sul reddito delle persone fisiche. La mancia è una parte della vincita non c’è il minimo dubbio! (1)
Così operando si ottiene:
a) si evita la contribuzione a carico del datore di lavoro (la diminuzio0ne di cui sopra) e il contributo a carico del lavoratore;
b) l’imponibile è il 75 per cento (percentuale che già esisteva con la valenza del decreto citato);
c) l’aliquota applicabile al reddito di lavoro autonomo è del 15 percento entro il limite stabilito dalle normativa vigente;
d) il dipendente dovrà provvedere in proprio alla pensione tramite una assicurazione a fini integrativi.
Logicamente il datore di lavoro continua ad effettuare le trattenute sulla retribuzione ordinaria e a versare i contributi a suo carico sul medesimo imponibile.
Da non esperto, ma discreto conoscitore relativamente alla questione degli impiegati tecnici di gioco dei casinò nella materia fiscale, ho cercato di esporre quanto mi pareva utile e nel migliore dei modi che mi sono stati permessi. Nella speranza che la problematica venga presa in considerazione.
(1) le vincite al gioco, in un casinò autorizzato nella Comunità europea, non costituiscono reddito diverso, non vanno dichiarate perché sono esenti da Irpef.