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Anit replica ad As.Tro: “Casinò, vera illiceità è perseverare in regime di deroga”

26 novembre 2013 - 11:55

La disamina dell’avvocato Michele Franzoso, del Centro Studi As.Tro, sul tema casinò e aspiranti tali in Italia, ha suscitato grande interesse e attenzione, e oggi giungono le puntualizzazioni in merito da parte di chi, come l’Associazione nazionale per l’incremento turistico, da decenni si batte per l’apertura di nuove case da gioco in Italia.

Scritto da Anna Maria Rengo

 

Il portavoce Anit, Gianfranco Bonanno, si dice “sorpreso, e a tratti allibito” dal commento di Franzoso, anche se non mancano i punti di convergenza.

“Sull’opportunità di assimilare casinò e sale dedicate (che è bene restino distinti nel format) nell’unica categoria del gioco d'azzardo, l’Anit sostiene le stesse tesi da dieci anni, non foss’altro per sgombrare il campo dal tragicomico equivoco (gioco d’azzardo il primo - gioco responsabile il secondo) artatamente concepito all’indomani della liberalizzazione delle slot e del conseguente rilievo pubblicistico delle attività ad essi collegate. L’artificio - semantico e comunicazionale - con cui si è voluto rivestire la natura aleatoria di un meccanismo di gioco con una patina di abilità (vi può essere abilità nel premere un tasto?), ha ormai esaurito la sua carica suggestiva e il relativo portato mistificatorio”.

 

IL MODELLO ITALIANO DI CASINO’ – “In merito ai casinò italiani – questo un altro punto di intesa tra le due associazioni - ripensare il modello (da gestione pubblica a gestione privatistica); adeguare il prodotto (vecchio di cent’anni) alle esigenze di un mutato target di clientela; ottimizzare risorse economiche e occupazionali; ‘sprovincializzarsi’: tutto ciò (e altro) è quanto l’Anit denuncia e propone nella sua annosa battaglia per l’apertura di nuove case da gioco nelle località a vocazione turistica”.

 

GIOCO E TURISMO – Bonanno sottolinea tuttavia come “il connubio turismo-gioco è stato, infatti, da sempre e ovunque la reale motivazione per l’offerta di un prodotto/servizio atipico come il gioco d’azzardo, in questo senso autentica attività di intrattenimento. Almeno fin alla finanziarizzazione delle economie - occidentali e non”. Ed è sul punto che secondo Bonanno l’analisi di Franzoso dimostra un qualche “deficit di competenza”. Al di là della riflessioni “pseudo-politiche sull’’offesa ai valori occidentali’, il riferimento all'Ungheria voleva solo stigmatizzare un fatto: che in quel Paese, almeno fino ai primi anni del Duemila, i casinò (ne esistevano nove nella sola Budapest), erano sponsorizzati dal governo dell’epoca poiché inseriti in una progettualità complessiva: l’industria termalistica, per esempio, trasse grande giovamento da quella politica di promozione, che addirittura prevedeva il rimborso (800 dollari per singolo cliente) delle spese sostenute dai casinò per ospitare i giocatori provenienti dall’estero. La ratio era chiara: incentivare il flusso di soggetti - non necessariamente facoltosi - che oltre a giocare consumavano beni e servizi.

Mutatis mutandis, una delle più singolari democrazie europee - la nostra - partorisce, dopo settant’anni di monopolio dell’azzardo sganciato da ogni logica progettuale, una serie di provvedimenti in forza dei quali vengono autorizzati i giochi a più alto tasso di addiction (automatici e telematici) nei locali più inidonei: bar, tabaccherie, etc. L’emersione del gioco illegale - fenomeno sicuramente diffuso - è il pretesto dietro il quale si celano in realtà finalità di bassa lega: fare cassa attraverso una tassa occulta, accontentando allo stesso tempo i soliti amici. Domanda (retorica): perchè questa esigenza di legalità non è stata soddisfatta convogliando le slot nei casinò, istituendone di nuovi e sanando così un vulnus normativo segnalato - per ben due volte - dalla Corte Costituzionale? Magari collegando l’offerta di intrattenimento (vero) alla più grande risorsa del Paese, il turismo? Le economie dei territori ne avrebbero sicuramente tratto giovamento e forse anche gli ex oligarchi dell’azzardo (i quattro casinò) sarebbero stati stimolati ad avviare un proficuo processo di internazionalizzazione”.

 

I CASINO’ E LE DEROGHE – “Ma ciò che più sconcerta – evidenzia Bonanno - dell’analisi di As.tro è la nota giuridica: ‘il Casinò gioco lecito non è poiché trattasi di deroga a divieto penale’. Deroga uguale illiceità? Dunque, i decreti istitutivi dei quattro casinò hanno introdotto qualcosa di non lecito nell’ordinamento? Illecito è semmai perseverare nel regime di deroga, come rilevato dalla Consulta. Illecito è disciplinare il secondo comparto economico del paese con una iperproduzione normativa - per giunta secondaria - che non a caso genera continui conflitti in ogni sede giurisdizionale. Illecito è pensare di regolare un’attività economica con la sola leva fiscale. Illecito è ingannare il consumatore presentando come occasione di divertimento uno strumento (le slot) che generano una comprovata dipendenza. Anche l’uso del termine ludopatia (i bambini sono quindi dipendenti?) è un esempio di questo tragico raggiro, che mira sapientemente a non accostare la parola azzardo ai redditizi passatempi di Stato. Questo è illecito”.

 

LA CERTIFICAZIONE DEI PRODOTTI - Infine, in merito alle certificazioni dei prodotti, Bonanno sottolinea come “sarebbe il caso di approfondire l’argomento direttamente con i casinò e con il ministero dell’Interno dal quale essi devono ricevere autorizzazione anche per sostituire il panno di un tavolo di roulette”.

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