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As.Tro: “No a modello ungherese di slot nei casinò, prendiamo spunto dalla Finlandia”

07 novembre 2013 - 14:58

“Proprio in Italia, l’astio antagonistico per il gioco lecito arriva a concepire una forma di ‘fidelizzazione’ nei confronti di un tiranno stile ‘generale sudamericano’”, ossia il premier ungherese Viktor Orban. È quanto evidenzia una nota di As.Tro, associazione secondo la quale “la lotta del tiranno contro l’insediata industria del gioco ‘regolamentato’, a favore della totale ghettizzazione del gioco all’interno dei casinò gestiti da un ‘unico proprietario’ (vicino agli interessi del premier), ha infatti riscosso due ordini di ‘applausi’.

Scritto da Redazione

Da un lato, dai fautori di un principio introdotto nel disegno di legge delega fiscale ispirato alla ‘progressiva ghettizzazione degli apparecchi in luoghi concentrati’. Dall’altro lato, dagli esponenti dei movimenti no-slot (piuttosto che anti-slot, senza –slot, slot-free, si perdoni l’approssimazione peraltro conseguente dall’altrui scelta di distinguersi solo per un avverbio o una preposizione)”.

 

Per tale contesto “la nuova legge ungherese sul gioco e le scommesse” fornisce spunto e continuità di pensiero alla rispettiva mission di “togliere le “slot dai bar”, tirando così la volata alla mai sopita lobby italiana dei “nuovi casinò”.

LA PROPOSTA FINLANDESE - A questo ‘modello’, As.Tro antepone quello ‘finlandese’, strutturato secondo un sistema politico democratico ad elevata partecipazione diretta, in grado di fornire ai cittadini un livello qualitativo di libertà, servizi e sostegni senza eguali al mondo.

Alla base di tale sistema c’è (anche) il ruolo del gioco pubblico, interamente concepito come fonte di finanziamento per il sociale, e sottoposto al controllo di una Autorità Statale che disciplina ogni profilo normativo e attuativo del business, di concerto con il Ministero degli Interni.

“È evidente – sottolinea l’associazione - che una dittatura sia sempre incline al divieto, e che ogni libertà individuale (compresa quella di mettere qualche monetina in una slot al bar, dopo il caffè) sia ricondotta in un contesto di stretta strumentalità ai soli interessi conservativi del sistema autoritario. È evidente, invece, che una democrazia debba essere incline a regolamentare, vietando solo ciò che esula dalle regole stabilite per porre in essere le attività economiche riconosciute lecite (tra le quali ci può essere o anche non essere il gioco con premi in denaro, fermo restando che, Ungheria a parte, tutta Europa studia da anni i possibili meccanismi di emulazione del sistema italiano). La differenza è quindi questa: chi opprime tutto, opprime anche il gioco; chi tutela le libertà democratiche dovrebbe tutelare anche quel gioco che la legislazione riconosce e disciplina, distinguendo tra attività autorizzata e controllata e quindi lecita, e attività illegale.

Concetti difficili? Parrebbe di sì, ma As.Tro non demorde dall’impresa di illustrarli, così come non attenuerà l’individuazione delle insanabili contraddizioni di cui si fanno portatori i detrattori di una industria “lecita” , a cui si imputano malati che non genera, effetti criminogeni che non genera, costi sanitari che non genera, declini socio-culturali che non genera.

La cortina fumogena del panico morale anti-gioco inevitabilmente troverà brecce sino a diradarsi del tutto, al pari di tutte le altre esperienze similari censite dai sociologi.

Almeno sul punto la letteratura scientifica ci conforta, decretando come inevitabile il percorso discendente di tali fenomeni dopo l’esaurimento della loro fase di maggiore cronicizzazione. In linguaggio più povero, prima o poi le bugie si svelano e bisogna trovare altri capri espiatori”.

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