Ma quali sono gli aspetti tecnici e i pro e i contro di un’eventuale implementazione del progetto? Con questa analisi, certamente preliminare e limitata, Gioconews.it intende aprire un dibattito che inevitabilmente andrà a coinvolgere pure gli enti locali che oggi sono autorizzati a poter avere dei casinò, ricavando dalla loro presenza numerosi benefici diretti e indiretti, oltre che sulle ‘strade’ alternative alla statalizzazione che potrebbero essere percorse, per esempio attraverso una diversificazione e implementazione del gioco, o anche ‘cavalcando’, in qualche maniera, le prime onde di una pur timida ripresa economica.
IL QUADRO ECONOMICO DI RIFERIMENTO - Nel 2007, alla vigilia della crisi, i casinò nazionali sviluppavano un incasso di gioco di 515 milioni di euro. Nel 2014 si è scesi a 297 milioni di euro (meno 42,3 percento). Nell’ultimo triennio la contrazione di mercato è stata di 35 milioni di euro, con una flessione di 18 milioni di euro per Venezia, di 12,5 milioni di euro per Saint Vincent, di 4,3 milioni di euro per Sanremo e 0,2 milioni di euro per Campione di Italia, un risultato di quasi parità che non basta a salvare la Casa da gioco da difficoltà di bilancio dovute al crollo del rapporto di cambio euro/franco svizzero.
In definitiva il settore è sicuramente in crisi e necessita di un rilancio e di una razionalizzazione, che superi la situazione di vera marginalità economica nel quale ormai versa, con meno di 300 milioni di euro di fatturato di gioco complessivo (un paese come la Svizzera sviluppa, con i casinò, un fatturato più che doppio).
I COSTI GESTIONALI - Sotto il profilo aziendale, pochi gruppi imprenditoriali privati quadruplicherebbero le proprie strutture gestionali a fronte di un fatturato complessivo inferiore ai 300 milioni di euro (quattro consigli di amministrazioni, altrettanti direttori generali e così pure dirigenti funzionali) e ovviamente preferirebbero agire in una logica di accentramento.
LE SFIDE - La sfida imprenditoriale del terzo millennio, in Italia si concretizza inoltre anche nell'internazionalizzazione dell'azienda, così come sul finire del secolo scorso si puntava invece sul passaggio dalla dimensione locale a quella nazionale.
I casinò italiani sotto questo profilo, anche a causa degli attuali vincoli normativi, sono in ritardo, come pure lo sono nella diversificazione, per esempio per quanto riguarda il segmento dell’online, che pure riserva, a chi ha saputo e voluto investirci, risultati significativi. Ovviamente l’obiettivo resta, oltre che quelli di garantire gioco lecito e controllato, di creare sviluppo e di produrre un flusso positivo per l’ente proprietario, un ‘nodo’ che talvolta è stato difficile sciogliere per una pluralità di motivi, tra cui figura, ma non da solo, anche l’eccessiva richiesta da parte delle amministrazioni pubbliche, con conseguente ‘effetto bancomat’ più volte stigmatizzato. Ma se queste sono considerazioni, i ‘numeri’ sono invece che nel periodo pre-crisi il settore esprimeva una redditività lorda di oltre 200 milioni di euro, che oggi è scesa a 30/35 milioni di euro. Una cifra ormai non significativa e spesso non sufficiente alle quattro amministrazioni proprietarie.
LA PROPOSTA BARETTA - Cercando di leggere nella proposta Baretta, molti sono gli spunti che possono incidere positivamente sulla situazione attuale. Se il settore necessità di un processo di razionalizzazione, tale intervento sarà evidentemente più efficace non in un singolo casinò, ma in una nuova società di gestione con oltre duemila dipendenti.
Processo che, in questo caso, sarebbe meno influenzabile dalle politiche locali, per definizione più conservatrici.
Lo Stato potrebbe intervenire direttamente a supporto degli enti proprietari, traendo risorse dalla maggiore redditività complessiva derivante dall'efficientamento della struttura aziendale.
Questo assetto potrebbe agevolare in modo risolutivo l'apertura di nuove sedi (filiali, come indicato dal sottosegretario), non più viste come competitor, ma come effettivo valore aggiunto al miglioramento dell'impresa.