Quando avevo proposto di esaminare le probabilità di vincere alla roulette francese giocando 18 numeri sulle chances semplici o su tre sestine sperando nella ripetizione che dava la possibilità matematica di quadruplicare la puntata iniziale, la risposta era una sola: questione di fortuna. Quella che comincia con la C maiuscola. Nel caso che cerco di narrare qui di seguito penso sia, il forse è poco dubitativo ma non posso farne a meno, una questione di buona volontà. Come tutti sanno esistono, per dar corso e applicazione a situazioni particolari, i contratti integrativi; probabilmente il forse potrebbe essere di troppo.
Dal 2001 sono in pensione e non ricordo quanti convegni siano state organizzati sul tema del contratto nazionale di lavoro per i dipendenti delle case da gioco.
Si sono trovati i gestori quando esisteva la loro associazione e anche dopo, ne abbiamo discusso in sede sindacale ma in entrambi i casi non si è concluso nulla.
Eppure, sulla carta, sembrerebbe semplice approdare a un contratto unico, forse lo è per me che non sono più aggiornato; mi pare che la problematica, al di là delle possibili differenze in campo fiscale e contributivo e mi riferisco alla particolarità di di Campione d’Italia che, in ogni caso non dovrebbero essere causa di un ostacolo insormontabile.
Mi permetto un ragionamento semplice ed agevolmente comprensibile, spero non solamente per me. Il seguente: la casa da gioco consente all’ente pubblico titolare dell’autorizzazione di procurarsi delle entrate atte a migliorare la propria disponibilità economica: proventi netti e proventi accessori (mance) per la parte che non è a beneficio del personale tecnico di gioco; il personale dipendente, anche per comodità di esposizione, lo si può suddividere tra tecnico addetto direttamente al gioco (croupier, così come li definisce il decreto legislativo n. 314/97, art. 3 lett. i) ed il restante personale, quadri e dirigenti compresi. I primi percepiscono le mance per la parte che non va, indirettamente alla gestione, gli altri no. Mi piace evidenziare quanto sostengo e cioè che la contrattazione del quantum in percentuale delle mance viene ripartito tra gestore e croupier esula dal contratto di lavoro e che, al tempo stesso, interviene, confortando il costo del lavoro, a definire l’importo della cosiddetta tassa di concessione.
La mancia è una parte della vincita. La sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore …”
Il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier /(si veda il decreto n. 314/97). Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare: il gestore. Il fatto che quest’ultimo soggetto partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione con il quale i lavoratori consentono al datore di lavoro di sottrarre parte di quanto elargito da terzi (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672), non pare giustificare un diritto originario del gestore...
Mi pare che le precedenti citazioni siano più che sufficienti ad indicare il percorso della mancia in discorso e, per quanto alla ripartizione tra gestore e dipendenti in ordine al quantm si veda il regime vigente al casinò di Venezia.
Sicuramente gli argomenti trattati in un contratto di lavoro sono molti più numerosi di quanto accennato che, in ogni caso, rappresenta un buon inizio.
D’altra parte è necessario stabilire delle priorità e, dopo la premessa anticipata, ritengo si possa continuare con il rimanente che è molto; può essere complicato o meno trattare quel tantissimo che manca, potrebbe mostrare notevoli difficoltà vuoi per un regie fiscale differente come è stato notato, per il costo della vita più alto che nel resto del Paese o per altre valide motivazioni.
È certo che se ognuno dei partecipanti è presente per tirare l’acqua al proprio mulino non si può pensare che una discussione prosegua; la conclusione non può essere che quella che, oggi, è possibile constatare.
Quando ancora ero dipendente e avevo l’incarico sindacale di seguire il mercato nazionale ricordo che, nella bacheca dedicata, esponevo il trend mensile aggiornato, quello annuale con le variazioni intervenute, le presenze e le quote di mercato.
Non si può negare che, certamente non il mio elaborato, la conoscenza del mercato, l’offerta e la domanda che se ne poteva ricavare, l’incidenza dei ricavi slot sul totale e, in particolare, quanto desumibile dei giochi tradizionali poteva, a ragione, fornire adeguate indicazioni per gli aventi causa stante gli interessi coincidenti.
Invece il procedere in ordine sparso non può giovare ad alcuno. Per quanto mi è dato permettermi da pensionato e da chi segue il trend delle case da gioco per diletto spero che, col tempo ma non troppo, la situazione possa normalizzarsi e tornare come un tempo o quasi.