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Riaperture: settimane decisive, tra dati incoraggianti e rischi assurdi

05 maggio 2021 - 08:26

Le riaperture derivano da necessità economiche, non dai dati epidemiologici: ma mentre il gioco rimane chiuso, nelle piazze è autogestione. E' il momento di scegliere e di calcolare i veri rischi, per tutti.

Scritto da Ac
Riaperture: settimane decisive, tra dati incoraggianti e rischi assurdi

Diciamo la verità: è arrivato forse il momento di cambiare il modello per quanto riguarda la gestione della pandemia e, in particolare, quello adottato per i piani di riapertura delle attività in relazione ai contagi. Prendendo doverosamente atto della realtà: ovvero, che non abbiamo riaperto il Paese perché i dati dell'epidemia sono tornati sotto controllo, ma perché rischiavano di finire fuori controllo quelli dell’economia. Visto che le vaccinazioni risultano ancora ben lontane dal garantire l’immunità di gregge e anche se iniziano ad agire diminuendo il numero dei decessi, non possono ancora arginare la circolazione del virus su larga scala. Ma bisognerebbe anche prendere atto, con uno sforzo generale di onestà intellettuale, che i tanti sforzi che si continuano a compiere oggi, sono ormai sistematicamente compromessi da varie e ripetute variabili fuori controllo, legate per lo più alle reazioni “emotive” della popolazione. Basta guardare cosa è accaduto lo scorso week end a Milano e Perugia, con gli assembramenti selvaggi provocati dai successi calcistici della squadre locali, che suonano come un'autentica beffa per tutte quelle attività che – come il gioco pubblico – sono ancora completamente interdette dalle restrizioni governative. Ma anche per tutte le altre categorie che sono tornate a operare, ma a mezzo servizio. Del resto, non bisogna necessariamente considerare tutte quelle persone come degli autentici irresponsabili, visto che tali atteggiamenti potrebbero essere al contrario una diretta conseguenza dell'eccesso delle restrizioni tutt'oggi in vigore. Con i cittadini che dopo tanta, prolungata segregazione hanno voglia di tornare a manifestare i propri sentimenti e di recuperare la socialità perduta. Anche se, spesso, ciò avviene in maniera decisamente scomposta (e comunque senz'altro evitabile), e altre volte in forma più moderata. Come nel caso dei ristoratori che in seguito a una manifestazione improvvisata davanti a Montecitorio nelle scorse ore, hanno annunciato che dal 7 maggio riapriranno anche al chiuso.

LO STRAPPO DEI RISTORATORI - “Sono mesi che il comparto dell'ospitalità a tavola viene penalizzato, colpevolizzato, assunto a capro espiatorio del contagio e poi vediamo le immagini dei maxi-assembramenti di decine di migliaia di persone a Milano e a Perugia”, dicono i promotori. “Lo Stato bastona il vecchietto che consuma cornetto e cappuccino al bancone, si dimostra rigido, severo e intransigente nella festività di Pasqua come in qualsiasi altro giorno, e poi stranamente dimentica eventi prevedibili da settimane, come i festeggiamenti per lo scudetto dell'Inter e quelli per il rientro in B del Perugia. E sempre stranamente continua a non accorgersi degli assembramenti sui mezzi pubblici di tutta Italia. Perché il problema, a quanto pare, sono sempre e solo i ristoratori”. Così, dopo quanto accaduto a Milano e a Perugia, hanno chiesto al premier Draghi “provocatoriamente le dimissioni del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, in quanto riteniamo che i ristoratori stiano pagando un prezzo altissimo che non rispecchia i numeri attuali della pandemia. I ristoranti sono chiusi, se non all’aperto ed esclusivamente in zona gialla, mentre le feste dello scudetto sono ammesse. Basta a queste restrizioni che penalizzano solo le nostre aziende”. Annunciano che “dal 7 maggio chi vuole salvare se stesso e le proprie attività aprirà a pranzo e cena, sia all’aperto, sia al chiuso, rispettando il protocollo e le nuove linee guida sottoscritte dalla Conferenza delle regioni il 28 aprile scorso”.

IL CASO DEL GIOCO PUBBLICO - In realtà, aggiungiamo noi, a pagare il prezzo maggiore continuano ad essere le imprese del gioco, che ad oggi sono le uniche non solo a non riaprire, oltre a non conoscere – addirittura – la data della loro ripartenza. Eppure, nel settore, non si è ancora sollevata alcuna protesta fuori dagli schemi consentiti dalla legge, ad eccezione delle singole manifestazioni – autorizzate e in sicurezza – delle scorse settimane, e nessuno ha mai ipotizzato di rialzare le saracinesche senza il via ufficiale. Anche se, pure in questo settore, la capacità di sopportazione dell'intera filiera ha raggiunto ormai i livelli critici.

IL NODO RIAPERTURE - Consapevoli di queste situazioni, dunque, si dovrebbe forse fare qualcosa di più per provare ad uscire da questo circolo vizioso che inizia ad apparire un vero e proprio cul-de-sac. Con il governo che dovrebbe iniziare dunque ad adottare nuovi criteri per la disciplina delle riaperture, valutando i rischi concreti e reali delle singole attività e location; mentre i cittadini e gli addetti ai lavori di tutti i settori, dal canto loro, dovranno adottare tutte le prudenze del caso per non tornare presto a dover introdurre nuove restrizioni per limitare i danni, come in parte già avvenuto nel 2020.
Per l'esecutivo, tuttavia, l'incognita resta legata all'entità della ripresa del contagio: ovvero a quanto le fasce più giovani della popolazione, non ancora protette in modo adeguato, pur esprimendo una manifestazione più blanda della malattia favoriranno la circolazione del virus alimentando (e di quanto) la pressione sul sistema ospedaliero. Ma tutte le valutazioni del caso verranno fatte nei prossimi giorni, nella convinzione generale di dover far ripartire presto tutti, magari già dal prossimo giugno, quando potrebbero riprendere gran parte delle attività al chiuso.

LE DATE DECISIVE - Le due date chiave a cui guardare, al momento, sono individuate nel mese corrente e in due momenti di fondamentale importanza: la prima è la settimana epidemiologica 8-14 maggio, nella quale avremo una prima risposta sugli effetti delle riaperture e del ritorno alle zone gialle (l'attesa è per una risalita dei contagi, ma sarà importante vederne la reale entità); la seconda è l'ultima settimana di maggio, perché potrebbe essere quella decisiva per capire se nuovi casi ed effetto delle vaccinazioni avranno trovato un punto di equilibrio, oppure se sarà indispensabile procedere con nuove chiusure.
La situazione attuale dell'epidemia, in questo momento, vede dei numeri in discesa, ma con estrema lentezza. L'ultima settimana epidemiologica completa (24-30 aprile) si è chiusa con un calo del 7,3 percento dei nuovi casi, a quota 86.974 (contro i 93.839 del periodo precedente). I dati della settimana in corso verranno inevitabilmente condizionati al ribasso dalla festività del primo maggio: relativamente a quella data (che cadeva di sabato e veniva quindi riflessa nella comunicazione della domenica) i test tampone elaborati sono stati 156.872, contro un range di 230-250mila delle tre domeniche precedenti. Soprattutto a questo fattore si devono attribuire i soli 9.148 nuovi casi individuati in quella data, e non a un reale calo dei positivi sul territorio. L'intera settimana epidemiologica risentirà dunque del peso di due giorni festivi, e potrebbe in parte nascondere i primi effetti legati alle riaperture del 26 aprile scorso. Per averne piena consapevolezza dovremo pertanto attendere i dati della prossima settimana epidemiologica (8-14 maggio) con la speranza di non osservare un rimbalzo del contagio troppo consistente. La tendenza alla stabilizzazione dell'epidemia si nota in particolare in alcune delle principali Regioni: in Lombardia (-3,3 percento); in Emilia Romagna (-2,9 percento) e in Campania (-1,9 percento).

NESSUNA CERTEZZA – Tutto ciò premesso, però, l'epidemia non si può affatto considerare sotto controllo. Anzi. Per esserlo, dovrebbe risultare rispettata una condizione di base: arretrare sempre più, senza alcuna possibilità di riprendere una fase di espansione incontrollata. In Italia sappiamo con precisione a quale livello corrisponda questa situazione: ai 50 nuovi casi alla settimana ogni 100mila abitanti che più volte l'Istituto superiore di Sanità ha richiamato negli ultimi mesi. E che sono stati richiamati anche dal Tar del Lazio, esprimendosi sulle riaperture dei locali di gioco. Un valore che, su base giornaliera, corrisponde alla media di 4.311 positivi. Quando oggi, con 12.424 nuovi casi di media nella settimana epidemiologica 24-30 aprile, restiamo ancora circa 3 volte oltre questa soglia. Quella soglia, cioè, che permetterebbe di riprendere le attività di tracciamento, di interrompere le catene di trasmissione del virus, e di avere, appunto, il controllo dell'epidemia. Per ora, come accade da mesi, stiamo ancora inseguendo il virus, rispondendo alle sue mosse.

I PROSSIMI SVILUPPI – Tenendo quindi conto di questa situazione generale, e della necessità – quindi – di dare una svolta all'economia attraverso risposte concrete per i lavoratori e le attività economica, oltre a contenere il più possibile i contagi, la situazione attuale ci vede in una fase cruciale della pandemia, dove, per il momento, possiamo concentrarci solo su quanto sta accadendo nel nostro Paese. Più che guardare al resto d'Europa o del mondo. Anche per questo stupisce il fatto di non aver accompagnato la campagna vaccinale più importante della nostra storia, con una campagna di informazione altrettanto massiccia: offrendo chiarezza e spiegazioni sui vaccini, e indicando le corrette modalità di comportamento in un periodo in cui stiamo riprendendo una vita più rilassata, e proprio per questo con maggiori profili di rischio.
Le riaperture, però, non devono essere viste come il segnale di un possibile ritorno alla normalità generato da una scomparsa del contagio, ma piuttosto come una scelta inevitabile per sostenere una situazione economica di assoluta emergenza, in particolare per alcune categorie.
Sulla base di questo, il messaggio da veicolare – magari attraverso un'opportuna campagna – è che comportamenti irresponsabili o allentamenti precoci e non giustificati dai dati, rischiano non solo di generare una nuova fase di espansione dell'epidemia, ma anche di costringere a un nuovo stop proprio le categorie che stanno sperimentando i primi allentamenti. Mettendo in ginocchio il Paese da un punto di vista sanitario ed economico. L'arma più importante che abbiamo in mano per combattere il virus è quella di un comportamento corretto e consapevole, che se non viene utilizzata rischia purtroppo di vanificare l'effetto di tutte le altre.

LA LINEA DEL GOVERNO - Le prossime settimane, dunque, saranno decisive: già a metà mese avremo le prime indicazioni dopo gli allentamenti con il ritorno alle zone gialle di molte Regioni ed entro fine mese sapremo con maggiore precisione se sarà possibile controllare la curva epidemica, o se invece sarà indispensabile tornare a maggiori restrizioni per evitare una nuova fase di crescita sostenuta. Da cui scaturiranno le scelte dell'esecutivo, che farà le sue valutazioni e suoi conti, avendo parlato, non a caso, di “rischio calcolato” sulle riaperture. Nella consapevolezza, che dovrebbe essere generale, che solo una corretta combinazione tra comportamenti, controlli ed effetto delle vaccinazioni renderà vincente una scommessa delicata come quella della pandemia.
Quello che ci aspetta, quindi, è un periodo in cui le riaperture risponderanno non tanto al criterio del rischio calcolato, ma piuttosto del costo calcolato e dello stato di necessità.
Il concetto di rischio calcolato, che vuol dire accettabile, risponde a criteri non sempre semplici da gestire. Se guardiamo a sistemi complessi, come nel caso di una popolazione durante un'epidemia, entrano in gioco aspetti sociopolitici che non sono riconducibili a indicatori statistici, ma anche perché i dati sottostanti alla nostra decisione possono essere facilmente condizionati (per esempio modificando il numero e la tipologia dei tamponi eseguiti) oppure raccolti con criteri non uniformi e quindi poco rappresentativi della situazione reale (ne abbiamo parlato più volte nel corso della pandemia).
Sappiamo quindi che le riaperture inevitabilmente causeranno una ripresa della circolazione del virus, perché il Covid si sposta con noi e quindi, aumentando i movimenti delle persone, aumenta anche la diffusione del virus. E sappiamo anche che, in seguito all'aumento delle infezioni, avremo un impatto diretto su manifestazioni cliniche dalla malattia, ricoveri e decessi. Tuttavia questo impatto può essere limitato grazie alle misure di mitigazione e controllo rigoroso della loro applicazione (che porteranno a meno contagi di quelli possibili senza misure), oltre agli effetti positivi progressivamente crescenti della campagna vaccinale, che mette al riparo dall'infezione un numero di persone che si aggiunge a quelle già immunizzate per via naturale. In questo modo si riduce nel tempo il numero dei soggetti suscettibili all'attacco del virus, e quindi si limitano anche ricoveri e decessi.

LE SCELTE SUI GIOCHI - In questo scenario ancora così fortemente critico, però, diventa prioritaria (e altrettanto critica) anche la tenuta del sistema economico del Paese, ormai allo stremo e per alcune categorie vicino al punto di non ritorno. Oltre alla tenuta sociale, con le possibili proteste e le crescenti aree di disobbedienza civile che si stanno già palesando, con violazioni incontrollate e incontrollabili dei divieti e delle misure di mitigazione adottate. Il costo calcolato dipende esattamente da quale piatto della bilancia viene considerato più pesante, o meglio ancora più pesante da sopportare in un sistema complesso come un Paese da oltre un anno sottoposto a misure di emergenza per fronteggiare un'epidemia.
La riflessione che ci sentiamo di proporre, riguardo ai giochi - anche alla luce della riunione di oggi, mercoledì 5 maggio, del Comitato tecnico scientifico chiamato ad esprimersi proprio sulle riaperture - è semplice ma tutt'altro che semplicistica, tenendo conto di tutte le variabili e le situazioni sopra indicate. Partendo dal presupposto, quindi, che tenere ancora ferme le attività provocherebbe la morte di migliaia di aziende e la perdita di posti di lavoro per centinaia di migliaia di addetti, l'unica soluzione ragionevole da adottare per il governo è quella di far ripartire le attività, prima possibile e non oltre l'inizio di giugno, adottando semmai misure ancora più stringenti di quelle già adottate in precedenza, che comunque avevano dimostrato di funzionare bene. Considerando pure che, offrendo qualche opportunità di svago e di intrattenimento (e sul punto, si consideri anche che oltre “all'azzardo” ad essere fermo è anche l'intero mondo delle sale giochi e quindi delle attività senza vincita), si riuscirebbe probabilmente ad allentare qualche tensione tra i cittadini, sottoposti a stress crescente e a un disagio sempre più elevato. Oltre a togliere più persone dalle strade e dagli assembramenti. Visto che è oggettivamente molto più semplice controllare i comportamenti delle persone quando si trovano all'interno dei locali pubblici, piuttosto che fuori (dove, anzi, abbiamo visto non avere nessuna capacità, a giudicare dalle piazze e dalle strade cittadine).
Infine, l'ultimo invito, è quella di superare una volta tanto ogni tabù: a partire dai più semplici. Dove è scritto, tanto per cominciare, che debbano avere priorità assoluta i ristoranti rispetto a tutte le altre categorie, pur di fronte all'evidenza di un maggiore rischio di contagio in questo tipo di locali, per via delle distanze al tavolo e dell'inevitabilità di doversi abbassare la mascherina? Mentre i locali da gioco, spesso molto ampi, frequentati da poche persone simultaneamente, igienizzati di continuo e con tutti gli avventori che non possono mai abbassare la mascherina, presentano rischi bassissimi di contagio. Certo non sfugge l'importanza economica della ristorazione e il peso del settore sul sistema paese: ma lo stesso criterio deve però valere per tutti. Anche perché gli esempi ce ne sono a profusione, guardando per esempio i centri estetici o i parrucchieri, dove il criterio di “essenzialità” appare davvero discutibile, se confrontato con le scelte prese sui giochi. Si tratta quindi, né più né meno, di applicare la stessa linea adottata dal premier Mario Draghi sul turismo, sottolineando la necessità di “offrire regole chiare, semplici per garantire che i turisti possano venire da noi in sicurezza”. E' giunto dunque il momento di calcolarli davvero i rischi, ma includendo tutti. Giochi compresi. Facendo smettere di giocare la politica e non i cittadini.

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