skin

Stato contro Stato (e contro il gioco)

23 aprile 2019 - 07:48

Ha fatto discutere, in questi giorni, il parere del Consiglio di Stato sul bando di gara per le scommesse che rilancia la questione territoriale, dopo averla riaperta.

Scritto da Ac
Stato contro Stato (e contro il gioco)

Il Consiglio di Stato che denuncia ciò che il Consiglio di Stato avalla. Ovvero, un pezzo dello Stato che smentisce se stesso e, quindi, lo Stato, a causa di un altro pezzo di Stato ancora. È ciò che accade oggi, alla luce del sole, attorno al comparto del gioco pubblico.

Con la questione territoriale che si fa sempre più aspra e tutt’altro che in via di definizione. Anzi, a compromettere ulteriormente la situazione è stata proprio una pronuncia del Consiglio di Stato, riferita alla legge della Provincia di Bolzano, con la quale veniva sostanzialmente legittimata la linea proibizionista della comunità autonoma altoatesina, seppure in maniera dubbia e tecnicamente opinabile.

 

Ma tant’è. E, purtroppo per il settore, anche questo verdetto fa giurisprudenza, compromettendo le attività di chi opera(va) legalmente su quel territorio. Peccato però che a pochi giorni dalla sentenza lo stesso organo statale, sia pure in altra veste, cioè quella consultiva, emetteva un parere consultivo su richiesta del Mef riguardo al bando scommesse, rilevando come la gara impostata dall’Agenzia delle dogane e monopoli, così com’era, non poteva stare in piedi, in quanto non considerava l’esistenza della questione territoriale e neppure la presunta intesa sottoscritta (ma mai attuata) dal precedente governo in Conferenza unificata, nel 2017. 
 
 
Cioè proprio quella anomalia che lo stesso Consiglio di Stato aveva appena avallato, a Bolzano e non solo, ignorando, in quel caso, l’accordo informale della Conferenza unificata, salvo poi ricordarsene appena qualche giorno dopo nell’altra sede. Per un corto circuito che ha del paradossale, eppure rappresenta la norma, in questo settore. Letteralmente. Che si aggiunge alla già curiosa realtà che vede lo Stato in conflitto contro se stesso sul territorio, in virtù di una riserva di legge tutt’oggi vigente, ma non applicata: con il Governo che abdica i propri poteri in favore delle regioni, ma non a tal punto da concedere la totale autonomia. Almeno sulla carta.
 

In questo gioco di potere e in un tale (enorme) conflitto di attribuzioni, a farne le spese è l’industria del gioco pubblico e i suoi lavoratori, con quest’ultimi che si trovano a dover sloggiare dai pubblici esercizi di tanti territori, pur operando nel pieno della legalità: almeno fino all’entrata in vigore di una legge di carattere locale che ha stravolto i piani industriali senza colpo ferire.
 

È dunque evidente che il riordino del comparto annunciato dal governo gialloverde e mai messo realmente sul tavolo diventa sempre più necessario: soprattutto alla luce del parere consultivo proveniente da Palazzo Spada in cui quegli stessi giudici che sembravano avere le idee particolarmente chiare rispetto alle restrizioni applicate al gioco, ammettono che la situazione non è affatto chiara né tanto meno definita, quando scrivono che non si comprende quanto l'assenza di un decreto attuativo della Conferenza unificata possa o meno impedire la procedura della gara, chiedendo al ministero di fornire “più approfondite e complete valutazioni sulla possibilità di procedere in assenza di decreto ministeriale di recepimento dell'intesa”, “in assenza delle leggi regionali attuative previste dalla legge”.
 

L’unico aspetto chiaro di questa ingarbugliata vicenda, dunque, è che più tempo passa e più la situazione si fa complessa e difficile da arginare: per l’industria ma anche per lo Stato, che a questo punto non sa più che pesci pigliare, a tutti i livelli. Regioni comprese, visto che le restrizioni introdotte sui territori non stanno facendo altro che far riemergere l’illegalità invece di calmierare i consumi, con alcuni potevamo ipotizzare. E prima o poi, qualcuno dovrà pure (pre)occuparsene.
 

Articoli correlati