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Se il gioco rimane un tabù: e uno specchio per le allodole

05 agosto 2019 - 08:10

Nonostante le promesse di riforma del comparto e i presunti buoni propositi dell'Esecutivo, il gioco pubblico continua ad essere un autentico tabù (e uno spauracchio) per la politica.

Scritto da Alessio Crisantemi
Se il gioco rimane un tabù: e uno specchio per le allodole

Prendiamone atto, definitivamente. Il gioco pubblico, in Italia, continua a rappresentare un autentico tabù. Nel modo più assoluto e oggi ancora più pronunciato, con l’ascesa al potere delle forze populiste e la costituzione dell’attuale governo. Nonostante la materia si sia sempre rivelata particolarmente scottante, a livello politico e mediatico, non si può non notare come in questi ultimi mesi la situazione sia drasticamente peggiorata, rappresentando un argomento che è impossibile affrontare. E come nessun altro, per quanto assurdo possa sembrare. Si può discutere di soldi pubblici sottratti da partiti, di traffici di armi, di affari mafiosi, come pure di alcol, droga e prostituzione, in maniera “normale” (spesso anche fin troppo leggera), ma guai a parlare di gioco. L’unico modo in cui è ammesso trattare l’argomento è proporne l’abolizione. Oppure - in modo esattamente contrario, ma a quanto pare piuttosto diffuso - chiedendone la destinazione dei proventi ad attività pubbliche, come si ascolta in questi mesi ormai quotidianamente nei dibattiti parlamentari.

In questi ultime settimane, tuttavia, l’ostinazione abolizionista è divenuta una vera e propria ossessione, al punto da spingere un vice premier, nonché ministro del lavoro e dello sviluppo economico (!), a dedicare uno dei suoi soliti video messaggi alla materia, condito da attacchi pesanti rivolti all’Autorità garante delle comunicazioni (il cui attuale assetto, manco a dirlo, era stato nominato dal precedente esecutivo e oggi in scadenza) rea - secondo il ministro - di aver favorito la presunta “lobby dell’azzardo” andando ad annacquare il “suo” divieto di pubblicità sancito dal Decreto Dignità. Proprio nel periodo in cui il paese e l’Esecutivo hanno di fronte sfide importantissime e problemi tutt’altro che banali sui quali dover concentrare intere giornate. E nonostante – per giunta - l’evidenza dei fatti mostri come l’Autorità, quale soggetto (fortunatamente) indipendente, abbia agito in applicazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e coerenza normativa, rendendo applicabile una legge che di fatto non poteva esserlo, almeno così com’è scritta dal governo. Andando quindi in soccorso dell’esecutivo e non sbugiardandolo, come vorrebbe far credere Di Maio e come spiegato anche dal presidente dell’Autorithy, Marcello Cardani.
Ciò nonostante, è bastato toccare l’argomento per riattivare il dibattito politico e mediatico, chiaramente unidirezionale, risvegliando tutti i movimenti proibizionisti e gli organi di informazioni ad essi legati. Eppure, stando alla realtà dei fatti, dallo scorso 14 luglio è cambiato tutto rispetto a prima e le pubblicità di giochi e scommesse che un tempo ricoprivano qualunque palinsesto televisivo, radiofonico, ogni manifestazione sportiva e via dicendo, non ci sono più. Non si capisce pertanto dove possa essere “l’annacquamento” denunciato dal vice premier e, di conseguenza, quale possa essere il problema. A meno che gli obiettivi politici di questo attacco non siano altri. Come quello di scalfire l’immagine di un’autorità, proprio nel momento in cui ne devono esserne rinnovato i vertici: ma questo sarebbe troppo grave per essere vero (almeno, è quanto dovremmo augurarci): tenendo conto dell’indipendenza dell’organismo e della rilevanza del suo ruolo, che è meglio non pensare neanche a una simile ipotesi (anche se è ancora più grave dichiarata vicina alle lobby, ma questo è il populismo, bellezza!). Di certo parlare di “gioco” e della tutela della salute dei cittadini è sempre un argomento valido per evitare di parlare di altro. Un diversivo perfetto per una politica che non sa come risolvere - né tanto meno affrontare - i problemi reali del paese che è chiamata a governare. O almeno, questa sembra essere l'interpretazione della realtà più diffusa.
Anche quando si è costretti a parlare di gioco, tuttavia, le cose non vanno affatto meglio. Anzi. E' forse proprio in questi casi in cui si tocca veramente il fondo. Come accaduto nelle scorse ore quando il Ministero dell’Economia si è addirittura affannato nel prendere le distanze dalla stesura di un decreto dedicato alle scommesse sportive, rivendicandone addirittura la mancata pubblicazione: come se fosse un trofeo. Anche se il provvedimento in questione, ormai già scritto, sostanzialmente adottato e con tanto di sperimentazione tecnica condotta dai Monopoli di Stato insieme ai concessionari (il che significa dietro a importanti investimenti già effettuati dalle società interessate), rappresentava qualcosa di più che legittimo, inevitabile e pure necessario, seguendo la stessa logica che ha portato il legislatore a regolamentare i diversi prodotti di gioco nel tempo, che è quella di rendere competitiva l'offerta statale rispetto a quella illecita, visto che le modalità di scommessa introdotte dal decreto in questione, sono già offerte (e da anni) dai bookmaker illeciti o border line, ancora presenti nel nostro paese. Eppure, accade che un ministero, in Italia, riesce addirittura a smentire sé stesso, rimangiandosi le azioni faticosamente portate avanti nel tempo, causando addirittura perdite economiche alle imprese, dopo che era stato esso stesso a imporre gli adeguamenti tecnici ai bookmaker italiani sulla base delle nuove modalità di gioco pronte per essere introdotte sul mercato. E come se tutto questo non bastasse, chissà cosa accadrà se uno dei tanti concessionari vittime del cambio di opinione, dovesse osare chiedere i danni allo Stato presentando il conto di queste iniziative. Presunte e mancate. Ma anche in quel caso, non c'è dubbio, il governo troverà una risposta: per i “social” e per i media più in generale. Promettendo maggiore tutela della salute pubblica, anche se nulla c'entra con l'adozione o meno di quel decreto. Facendo però passare in secondo piano le questioni economiche e le anomalie procedurali. Per un nuovo e ulteriore gioco di prestigio, che però non risolve alcun tipo di problema, creandone di nuovi e spostando avanti nel tempo quelli più antichi, per i quali non si riesce (o non si vuole) trovare soluzione. Come l'annosa Questione Territoriale che continua a creare scompensi sul territorio e presto anche nelle casse dell'Erario o come il mancato Riordino del comparto, pure strettamente legato al conflitto tra Stato ed Enti locali. Tutte situazioni urgenti da risolvere, ma non per il governo, a quanto pare.

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