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L’aporia del gioco pubblico

12 agosto 2019 - 07:50

Nell'eterna dicotomia tra favorevoli e contrari e nel lassismo più generale della politica nei confronti del gioco pubblico, esplode la crisi di governo e saltano i (presunti) lavori di riforma.

Scritto da Alessio Crisantemi
L’aporia del gioco pubblico

Il gioco fa male e, solo per questo, deve essere vietato. Eppure il gioco stesso può anche far bene, se mantenuto alla dimensione puramente ludica, oltre a far bene (e molto) all'Erario, portando fondi importanti, diretti e liquidi nelle casse dello Stato, oltre a generare occupazione in tutta la Penisola. E a rappresentare, cosa ancora più importante, un importante antidoto all'illegalità, ancora assai diffusa nel nostro paese. Già, ma a che prezzo, domandano sistematicamente i detrattori. (Pur dimenticando, in genere, di applicare le stesse riflessioni e legittime perplessità nei confronti di alcol, marijuana e altri settori “ a rischio” per i quali non esistono restrizioni così severe come quelle applicate al gioco né divieti di pubblicità).

Nell’impossibilità di arrivare a una posizione definitiva sul gioco e a una risposta politica chiara sulla materia da parte di qualunque governo che si sia susseguito a Palazzo Chigi, continua a regnare sovrana l'incertezza che da sempre caratterizza il comparto del gioco pubblico e condiziona l'esistenza degli addetti ai lavori; caratterizzata dalla solita dicotomia tra chi è favorevole e contrario rispetto all'esistenza di un'offerta legale, come alternativa “di Stato” a quella illegale.

In questo scenario, che si ripete ormai dal 2003, quando il Legislatore decise cioè di eseguire la bonifica del settore regolamentando il gioco d'azzardo, facendo emergere quell'enorme economia sommersa che regnava fino a quel momento, quello a cui si assiste ad ogni legislatura è la sistematica presa di distanza - più o meno esplicita e ufficiale - da parte di ogni rappresentante della maggioranza, cercando di sfilarsi da ogni possibile (e immancabile) polemica sul tema, in genere strumentale e da parte delle opposizioni e parti sociali, per poi promettere una riforma, ma senza mai portarla a compimento.
Ogni volta, lo stesso cliché. Anche in questa ultima legislatura, tecnicamente vicina alla sua conclusione prematura, caratterizzata da una profonda e dichiarata ostilità nei confronti del settore, che ha portato l'Esecutivo gialloverde a intervenire con qualunque soluzione “punitiva”: aumentando le tasse, legittimando iniziative popolari e locali – anche contravvenendo i principi cardine del sistema, Riserva di legge in primis – e arrivando addirittura ad applicare un divieto di pubblicità ex lege, pur in forma e modalità assai discutibili, al punto da rendere necessari degli interventi attuativi da parte dell'Autorità competente per poter essere realmente applicato. Pure in questa occasione, tuttavia, il governo di turno non si è risparmiato nel promettere una riforma generale del comparto: annunciando un Riordino generale, con una promessa che nelle ultime ore si è addirittura elevata all'annuncio di un Codice Unico dei Giochi: quello cioè che l'industria attende e auspica dal 2008 o giù di lì. Senza mai ottenerlo, manco a dirlo, sia pure di fronte a tante promesse e dichiarazioni di impegni da parte di varie forze politiche.

Peccato però che la nuova promessa governativa arrivi proprio quando il governo attuale sembra essere arrivato alla frutta. Con tanto di provvedimento del Ministero dell'Economia che sembrerebbe addirittura già scritto e posto alla firma del Ministro Tria (insieme a tanti altri provvedimenti finiti sulla scrivania del titolare del Tesoro), il quale tuttavia non sa in queste ore neppure con quale maggioranza doversi confrontare. Per uno stallo più totale che non fa bene a nessuno e che rischia di far sprofondare l'intero paese (e non solo il settore) in una crisi ancor più nera, visto che tra appena due mesi si dovranno aggiornare i conti a Bruxelles proponendo una nuova Manovra finanziaria dove bisognerà trovare un minimo di 23 miliardi se non si vorrà aumentare l'Iva.
Ora però tutto cambia con l'apertura della crisi di governo voluta dal Ministro degli Interni Matteo Salvini che potrebbe rimescolare le carte e rimettere in discussione ogni provvedimento in corso d'opera o addirittura già emanato dall'Esecutivo: anzi, è proprio quello lo scopo, visto che lo strappo arriva proprio in seguito alla difformità di vedute tra Lega e 5 Stelle su alcuni punti salienti, come il Tav, l'Autonomia, la tassazione e molto altro ancora. Con il leader del Carroccio che chiede ora “pieni poteri” al popolo, per quanto nulla voglia dire di fronte alla nostra Costituzione. Come ha spiegato bene Paolo Ridola, maestro del diritto costituzionale comparato, che di recente ha ricordato che Giovanni Spadolini, venticinque anni fa, scrisse che in democrazia chi ha la maggioranza è al governo, non al potere. Mentre fare riferimento al concetto di “potere pieno” scompone in modo assolutamente intollerabile la dimensione della legittimazione del potere da quella del limite al potere stesso: due dimensioni che devono invece andare di pari passo.
Forse è ormai troppo tardi per chiedere all’attuale classe dirigente di mettersi a studiare (o a ripassare, per chi lo avesse già fatto) un po’ di Storia, magari anche rileggendo qualche pagina di scienza politica e della Costituzione. Un consiglio però ci sentiamo di darlo al leader della Lega, tanto più se le mosse di oggi si devono considerare prove tecniche da premier: se il potere logora, come disse qualcuno, il governo può fare invece tante cose buone, per l’intero paese e per la comunità. Meglio non strafare, dunque, e pensare semplicemente a governare, che sarebbe già tanto, moltissimo. E in fin dei conti, sarebbe anche il lavoro per il quale si viene pagati e non solo votati. È giunto dunque il momento di passare ai fatti, abbandonando gli slogan, gli annunci e i proclami e pensare alle riforme: ciò di cui abbiamo più bisogno, in questo momento, in qualunque settore. E se tra i vari ambiti di intervento dovesse uscirci anche il gioco, allora ecco che potrebbe trasformarsi un’industria scomoda e così invisa all’opinione pubblica, in una vera risorsa per il paese, rendendola finalmente sostenibile. Superando una volta per tutte anche quell’innata aporia che da sempre contraddistingue il comparto ma che può, anzi deve, essere sconfitta. Per un'aporia intesa non solo come impraticabilità, ma anche nel senso socratico di una liberazione dal falso sapere.

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