skin

Aspettando Conte...(e Godot)

25 gennaio 2021 - 10:19

Le donne del gioco continuano il loro presidio a Montecitorio aspettando di essere ricevute dal premier, mentre l'intero settore attende risposte, incapace di guardare al futuro.

Scritto da Vincenzo Giacometti
Aspettando Conte...(e Godot)

"Oggi non verrà, ma verrà domani". È il messaggio inviato da Godot ai due vagabondi che lo aspettano da tempo, su una desolata strada di campagna, nella celebre pièce teatrale di Samuel Beckett. In un luogo non identificato, in un tempo sconosciuto, due personaggi ancor meno noti, attendono l'arrivo di un personaggio di cui nessuno sa nulla. L'unica cosa che i due sembrano sapere e che, se Godot arriverà, “saremo salvi”. Per quanto scontato e fin troppo banale possa apparire, è impossibile evitare il riferimento alla celebre opera beckettiana di fronte alla prolungata attesa delle “donne del gioco”, come vengono ormai identificate le rappresentanti del movimento “in rosa” delle lavoratrici del gioco pubblico, che da giorni si battono per far valere le loro ragioni e quelle di un intero comparto. Portando avanti, indomite, la loro protesta pacifica. In attesa di poter incontrare il presidente del consiglio il quale, dopo l'ennesima rimostranza aveva fatto sapere, attraverso un messaggero (proprio come nell'opera teatrale), di voler incontrare le rappresentanti del movimento da lì a breve. Anche se non sappiamo ancora quando o come. Ma prima o poi, forse, accadrà. Sperando di potersi distinguere, rispetto alla pièce, almeno in questo. Anche se i risultati, probabilmente, rimangono gli stessi. Cioè quelli di un cambiamento che non arriverà, almeno rispetto al tema delle riaperture, che rappresenta comunque l'elemento scatenante della protesta.

Quando presentò la sua opera, ai tanti che chiedevano chi fosse Godot, Beckett rispose dicendo: “Non so chi sia Godot. Non so nemmeno se esista. E non so se loro credano in lui o no – i due che lo stanno aspettando”. Offrendoci un altro elemento di parallelismo con la realtà odierna del gioco pubblico e del nostro governo. Nessuno sa, infatti, cosa potersi attendere da un eventuale incontro con il premier, se non qualche parola di conforto, o un segno di comprensione – più o meno sincero – e, magari, persino di solidarietà. Nella convinzione generale che non si potranno riaprire i locali di gioco prima del 5 marzo: quanto, semmai, nella speranza di scongiurare ulteriori rinvii, che non sono affatto da escludere, tenendo conto delle ipotesi dell'ultima ora di una proroga di varie misure di emergenza almeno fino al prossimo autunno. Ma c'è pure la possibilità che il premier Godot non si faccia neppure mai vedere. Del resto, lo sappiamo tutti quanto sia difficile il momento, con la crisi di governo che si è aggiunta a quella economica e sanitaria, rendendo ancora più fitta l'agenda (di quel che rimane) del governo “Conte 2”. Sempre più proiettati verso il terzo esecutivo della legislatura.
Nel frattempo, come Vladimir ed Estragon, che nell'opera di Beckett attendevano l'incontro raccontandosi barzellette e arrivando a pensare di impiccarsi, gli operatori del gioco pubblico attendono di conoscere il proprio destino. Senza nessuna risposta e, forse, senza neppure alcuna vera aspettativa. Nell'impossibilità di immaginare il proprio futuro, reso ancora più oscuro e critico dall'attesa stessa, che oltre a spiazzare, impoverisce: visto che le aziende che rimangono chiuse, sono soltanto parzialmente (e minimamente) ristorate, e nemmeno tutte. Con i costi fissi che continuano a sommarsi, mese dopo mese, rendendo sempre più critica la situazione economica e finanziaria di ogni impresa. E, di conseguenza, il futuro di ogni suo lavoratore.
Certo è che il parallelismo con il teatro può (e deve) favorire qualche riflessione agli addetti ai lavori del comparto, manifestando tutti i limiti della filiera e, in particolare, quel clima di perenne “belligeranza” interna alla filiera che ha sempre finito col tradursi in immobilismo, o comunque nella più totale sterilità, dal punto di vista della rappresentatività. Con l'immagine del comparto che, agli occhi dell'opinione pubblica, è rimasta pressoché immutata dalle origini del gioco legale, fino ad oggi. Rimanendo, quindi, per lo più negativa e ben distante da quella di un settore largamente responsabile, innovativo, all'avanguardia della tecnica e dalle straordinarie professionalità, qual è, in effetti, il gioco pubblico, checché se ne dica. Ma senza che nessuno se ne accorga. Se c'è una cosa, tuttavia, che l'opera di Beckett ha insegnato al mondo, è che è inutile stare fermi nell'attesa che accada qualcosa. Ecco quindi che invece di pensare a un inevitabile declino, gli operatori farebbero bene a far tesoro dei propri errori e a organizzare il futuro, preparandosi alla ripartenza nel migliore dei modi, non appena sarà possibile: evitando di tornare a commettere quegli stessi errori già compiuti in passato. Quando si tornerà ad alzare le saracinesche, quindi, non bisognerà limitarsi soltanto al rimettere in sesto le aziende e le singole economie interne, ma bisognerà (pre)occuparsi anche di dare un volto e un futuro all'intera industria. Possibilmente, in maniera unitaria. Mettendo una volta da parte le divisioni di filiera e puntando alla sopravvivenza dell'intero comparto e, magari, delle singole categorie. Perché nessuno si salva da solo e il comparto si può salvare solo con la partecipazione di tutti.

La pausa (forzata) di questi mesi sia quindi un motivo di riorganizzazione della filiera, anche in termini di unione e rappresentanza. Con le donne che hanno dato l'esempio all'intero comparto di come si può e si deve partecipare alla propria liberazione e alla (ri)costruzione del proprio destino. E anche se tutto questo non porterà alla riapertura anticipata dei locali, sarà comunque un gesto importante per dare voce a un settore che non ha mai avuto voce, e dare forza a dei lavoratori che ne hanno bisogno. Perché i loro diritti non sono secondari a quelli di nessun altro, e non c'è un lavoratore che può risultare più “essenziale” di un altro. Almeno finché continuerà a esistere la nostra Costituzione, purché venga davvero applicata.

Articoli correlati